- Il vertice di maggioranza sulla questione balneari si è concluso con un nuovo rinvio, con la proroga della delega al governo e l’avvio di un tavolo con la categoria.
- Maurizio Gasparri di Forza Italia ha dichiarato esplicitamente che per il suo partito l’opinione della categoria «sarà fondamentale per la decisione», il governo fa trapelare invece di essere critico sulla proroga delle concessioni.
- Ma la mossa del governo segue già i desiderata della lobby delle imprese balneari che da luglio chiedono di attendere il pronunciamento della Corte di giustizia Ue. In questo modo Meloni gioca di equilibrismo tra la Ue e le imprese.
La maggioranza ha deciso di non decidere, di tergiversare ancora una volta, prorogando di altri tre–quattro mesi la delega al governo per la riforma delle concessioni del demanio marittimo. Il tutto nell’interesse dei balneari, con cui sarà avviato un confronto.
Uscendo dalla riunione di maggioranza con il ministro degli Affari europei, Raffaele Fitto, il senatore Maurizio Gasparri ha dichiarato esplicitamente che per il suo partito l’opinione della categoria «sarà fondamentale per la decisione», mentre la Lega si è già detta soddisfatta.
La verità, infatti, è che il rinvio segue i desiderata della lobby delle imprese balneari, tra le più organizzate e informate. Già da luglio la categoria chiede di attendere la Corte di giustizia Ue, a cui si è rivolto il Tar di Lecce, dopo il pronunciamento del Consiglio di stato.
Il massimo tribunale amministrativo italiano aveva ribadito il primato del diritto europeo e quindi la necessità di mettere a gara le concessioni, in nome dell’interesse pubblico e della tutela della concorrenza, ma i giudici di Lecce hanno sospeso la questione e rinviato alla Corte Ue. E questo nonostante ci sia stata, nel frattempo, una legge dello stato, voluta dal governo Draghi, che rispondeva alla sentenza del Consiglio di stato, mettendo fine ad anni di favori alla categoria elargiti da tutto l’arco parlamentare.
Sembra un garbuglio giuridico difficile da seguire, ma su questo garbuglio i concessionari contano almeno per prendere tempo.
Ieri nella riunione di maggioranza, infatti, sono state illustrate le novità dell’ordinanza del 16 ottobre della Corte di giustizia Ue: i giudici europei hanno spiegato che non si sarebbero pronunciati oralmente sul ricorso del Tar di Lecce e siccome di solito la pronuncia orale può significare un immediato rigetto, i balneari si sono appesi all’ordinanza nella speranza, come minimo flebile, che i giudici europei rigettino il diritto europeo.
Il gioco del governo
Questa situazione di attesa fa gioco anche al governo Meloni e alla sua fragile e scalpitante maggioranza. Con la scusa del pronunciamento della Corte di giustizia, il governo può convincere l’Ue a non andare avanti nell’iter di procedura di infrazione, ma senza risultare inadempiente. Non sarebbe la prima volta.
Quando a dicembre 2020 la Commissione europea ha inviato una lettera di messa in mora per il mancato rispetto della direttiva Bolkestein in vigore ormai da 16 anni, l’Italia aveva risposto con un parere giuridico del dipartimento degli Affari europei per prendere tempo, poi in autunno era arrivato il Consiglio di stato a imporre alla politica di rispettare il diritto europeo. Con la legge 118 del 2022 l’esecutivo Draghi ci aveva formalmente messo in regola, prevedendo la fine della proroga delle concessioni al 31 dicembre, e il rinvio al 2024 per i comuni che hanno problemi a stilare i piani della costa. Una multa potrebbe costare all’Italia svariati miliardi: 4,5 quelli spesi per le quote latte volute dalla Lega. Per il nostro paese la sanzione forfettaria minima è di 7 milioni di euro, con una penalità giornaliera minima di circa 8mila euro.
Fitto si è recato a Bruxelles la scorsa settimana e ieri il governo ha fatto filtrare di essere critico nei confronti dei partiti che hanno chiesto un nuovo rinvio per la messa a gara. Ma allo stesso tempo, in questo gioco di equilibrismi, l’esecutivo può dimostrare alla lobby dei balneari di aver fatto tutto il possibile, e questo è vero, per tutelarli.
Di proroga in proroga
L’Italia, peraltro, aveva già subìto una procedura di infrazione europea sulle concessioni balneari nel 2009, chiusa nel 2010 quando Silvio Berlusconi aveva messo fine ai rinnovi automatici. Peccato che poi siano arrivate proroghe su proroghe delle concessioni, al 2015, al 2020, al 2033. Ancora nel 2020 era il ministro Dario Franceschini a proporre un decreto per confermare la proroga decisa dal governo gialloverde.
La Corte di giustizia Ue in ogni caso si è già espressa sulla situazione italiana. La sentenza “Promoimpresa” del 2016 è stata uno spartiacque, ricorda Roberto Biagini, avvocato di Rimini e presidente del Coordinamento Mare libero, «e con altre sentenze aveva già specificato la diretta valenza della direttiva Bolkestein e del trattato europeo sul demanio marittimo».
Secondo il legale le speranze delle imprese balneari risiedono nel fatto che la Corte Ue ha aperto la possibilità di non mettere a gara le spiagge in alcuni casi specifici per ragioni di interesse pubblico, ma si tratta di casi come quelli in cui un tratto di spiaggia viene affidato a una cooperativa di promozione sociale, non a aziende famigliari che hanno in uso un bene pubblico.
Poco importa, c’è sempre un pretesto per prendere tempo, in questo caso con un emendamento al decreto Milleproroghe. Poco importa se il rischio alla lunga è che alle quote latte si sostituiscano le quote spiagge.
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