- Una relazione della Corte dei Conti svela le mancanze nella realizzazione del Piano. Alla fine del 2022 ancora zero interventi concreti per l’agricoltura sostenibile.
- Le risorse impiegate nel settore della sanità sono sotto l’1 per cento, mentre la spesa per le famiglie e il terzo settore si attesta all’1 per cento degli 11 miliardi e 216 milioni di euro a disposizione.
- Nel complesso la spesa, al netto dei crediti di imposta e dei bonus edilizi, è al 6 per cento. Dal 2023 inizia il periodo decisivo per il completamento del Pnrr, al punto che anche il capo dello stato ha detto che è ora di darsi da fare.
Turismo, cultura e salute restano indietro nell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, che in generale procede a rilento, restando spesso aggrappato ai bonus edilizi e a misure temporanee. E, intanto, da quest’anno bisogna fare sul serio, come ha ricordato proprio oggi il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella che, citando Alcide De Gaspari, ha detto che sul piano «è tempo di mettersi alla stanga», di impegnarsi e fare sacrifici. Il cronoprogramma prevede un’accelerazione fondamentale.
Nel triennio 2023-2025 ci sono in ballo 124 miliardi di euro da spendere e se le prospettive generali restano incerte, ci sono alcuni settori che sono particolarmente trascurati per quanto riguarda l’avanzamento della spesa. Lo rivela la corposa relazione completata dalla Corte dei Conti che mette insieme tutte le informazioni disponibili sul Recovery plan.
L’influenza dei bonus
Il dato complessivo racconta come «il livello della spesa sostenuta a fine 2022 si attesti oltre i 23 miliardi», andando addirittura oltre il valore di 20 miliardi e 400 milioni della pianificazione finanziaria. Si tratta, spiegano i magistrati contabili, di «un avanzamento stimato intorno al 12 per cento delle dimensioni finanziarie complessive del Piano». Una performance che a una prima occhiata sembra più che positiva. Solo che i numeri sono influenzati da tre misure, che nell’ordine sono: i crediti d’imposta del piano transizione 4.0 relativi ai beni strumentali innovativi, i crediti di imposta per l’attività di formazione e all’intervento di rafforzamento dell’ecobonus-sismabonus. Depurate da questi interventi, le cifre subiscono una revisione al ribasso: il livello di attuazione cala infatti al 6 per cento. In termini numerici significa che la spesa sostenuta è di poco superiore a 10 miliardi di euro totali.
I buchi nel Pnrr
Nel dettaglio, la voce più efficiente è quella riferita ai lavori sulla «rete ferroviaria ad alta velocità/capacità e strade sicure», che si attesta al 16,8 per cento con un impiego di risorse di 4 miliardi e 100 milioni di euro. Tutte le altre “missioni”, l’etichetta che nel piano definisce i vari settori di intervento, sono molto lontane da quella soglia. La situazione peggiore riguarda l’agricoltura sostenibile e l’economia circolare - che coinvolge diverse competenze ministeriali, dall’Agricoltura di Francesco Lollobrigida all’Ambiente di Gilberto Pichetto Fratin - per cui la spesa effettiva era a zero alla fine del 2022.
Non va tanto meglio il capitolo destinato alla sanità, che fa capo principalmente al ministro Orazio Schillaci, ed è suddiviso in due macro capitoli: le iniziative a favore delle reti di prossimità, alla telemedicina e all’assistenza sanitaria territoriale sono inchiodate sullo 0,1 per cento. Sono briciole quelle già spese rispetto al plafond di 7 miliardi a disposizione. L’innovazione e la digitalizzazione del sistema sanitario nazionale raggiungono invece lo 0,9 per cento dell’attuazione, con 74 milioni effettivamente impiegati sulla dotazione complessiva di 8 miliardi e 600 milioni di euro.
Un caso isolato? Non proprio. Turismo e cultura non se la passano tanto meglio: il report della Corte dei Conti svela che i due ambiti, uniti sotto la stessa voce, hanno provveduto a spendere solo lo 0,7 per cento, ossia 47 milioni rispetto ai 6 miliardi e 600 milioni di euro a disposizione. Per Daniela Santanchè e Gennaro Sangiuliano ci sarà un bel daffare per completare il Pnrr. E ancora: la spesa per le famiglie, le comunità e il terzo settore si attesta all’un per cento degli 11 miliardi e 216 milioni di euro a disposizione. Il dato sulle politiche del lavoro è all’1,4 per cento con un primo bilancio di 96 milioni già impiegati. Non brilla nemmeno la missione ribattezzata «dalla ricerca all’impresa», che è all’1,6 per cento, con 185 milioni su oltre 11 miliardi di euro di dote. A parziale consolazione, una situazione migliore si verifica per la tutela del territorio e della risorsa idrica, che in tempi di siccità è rilevante. Il livello di attuazione è al 12,8 per cento.
Rincari e niente parità
I magistrati contabili hanno poi esaminato tanti altri elementi connessi al Pnrr. Tra questi spicca la disamina del settore edile, spesso definito cruciale per il pil italiano. Anche in questo caso è stato rilevato un impatto notevole degli incentivi e in particolare del Superbonus. Di sicuro, evidenzia il dossier, «tra la fine del 2019 e il secondo trimestre del 2022 gli investimenti in costruzioni hanno registrato una crescita del 29 per cento, pari a 10 miliardi di euro al trimestre (quindi circa 40 su base annua)». Tuttavia, persistono delle problematiche non secondarie, a cominciare dal rispetto della parità di genere, che sarebbe una degli obiettivi del Recovery plan. Il settore è fra quelli che presentano una minore incidenza di manodopera femminile con appena il 7,3 per cento del totale dei lavoratori. E adesso bisogna affrontare un’altra questione: i rincari dei prezzi che in Italia si sono fatti sentire più che altrove. Solo i prezzi del mattone e del vetro sono aumentati del 40 per cento.
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