Il governo non ha più carte da giocare nel negoziato sul nuovo Patto di stabilità. Anche la Bce si affida all’asse franco-tedesco per trovare un accordo a Bruxelles
Di ritorno dal vertice Ecofin di Bruxelles, dove ha constatato che l’Italia è più isolata che mai tra i partner dell’Unione, Giancarlo Giorgetti è costretto a rituffarsi nel mare magnum dei problemi della nostra economia, che ogni giorno fa un passo in più in direzione di una fase di prolungata stagnazione, se non addirittura di recessione, come paventato tre giorni fa in un discorso pubblico dall’ex presidente del Consiglio, Mario Draghi.
In questo scenario a dir poco problematico, i pugni sul tavolo di Giorgetti in sede Ue (meglio il vecchio Patto di stabilità piuttosto che uno nuovo frutto dell’intesa franco-tedesca) sembrano più che altro una mossa diversiva a uso e consumo dei propri elettori.
Il 23 novembre verrà con ogni probabilità convocato un nuovo vertice per proseguire il negoziato, ma al momento il governo italiano non sembra disporre di molte carte da giocare se non quella di porre il veto sulle nuove regole, con il rischio che l’applicazione di quelle sospese al tempo della pandemia finisca per avere conseguenze ancora più negative per un paese come l’Italia che grandi difficoltà a tenere sotto controllo il debito.
La stoccata di Lagarde
Intanto, venerdì, sul tema del Patto di stabilità è arrivato un chiaro segnale politico anche dalla Bce, con la presidente Christine Lagarde che in un’intervista al Financial Times ha manifestato il suo “disagio” per il fatto che i partner europei non abbiamo ancora trovato un compromesso sulla riforma.
Lagarde, che ha dato un colpo alle Borse annunciando che i tassi resteranno alti “abbastanza a lungo”, ha anche aggiunto di essere fiduciosa che grazie alla collaborazione tra Francia e Germania si arrivi a un compromesso entro la fine dell’anno.
Parole, queste, che non devono essere state molto gradite dalle parti di Palazzo Chigi, che ha impostato tutta la sua politica in contrapposizione ai piani franco-tedeschi. Se non bastassero le parole di Lagarde, anche il bollettino economico della Bce pubblicato mercoledì, ha fatto notare che le variazioni dei differenziali tra i tassi de titoli di stato dei vari paesi sono state molto contenute, con l’eccezione di quello italiano che si è ampliato verosimilmente per effetto “delle notizie riguardanti le misure fiscali previste dalla legge di bilancio”.
Una stoccata diretta a Roma, che evoca nuove possibili impennate dello spread, anche se nei giorni scorsi, per effetto anche dell’andamento dei mercati obbligazionari internazionali, le tensioni sui nostri Btp si sono molto allentate.
Il giudizio di Bruxelles
Peraltro, va ricordato che, a complicare le cose, il 21 novembre è in programma un’altra partita molto importante tra Roma e Bruxelles, una partita che finisce inevitabilmente per sovrapporsi a quella per il Patto di stabilità con il rischio di alimentare nuove tensioni.
Tra dieci giorni, infatti, la Commissione dovrebbe dare un primo giudizio sulla manovra appena varata dal governo di Giorgia Meloni. Sono molte le questioni su cui in teoria potrebbero essere sollevati rilievi. A cominciare dal rispetto del limite dell’1,3 per cento nella crescita della spesa primaria netta (esclusi quindi gli interessi sul debito) che rientra tra le raccomandazioni formulate nei mesi scorsi dalla Ue all’Italia.
Sotto la lente andrà anche la spesa previdenziale, così come il programma di privatizzazioni e quello di tagli alle spese dei ministeri che alla luce delle esperienze passate appaiono quantomeno molto ambiziosi.
Crescita zero
Al momento sembra improbabile che da Bruxelles arrivi una bocciatura netta dei piani italiani. La preoccupazione maggiore sul fronte della sostenibilità dei conti viene piuttosto dall’andamento dell’economia, da cui arrivano segnali sempre più preoccupanti.
I dati della produzione industriale resi noti venerdì dall’Istat fanno segnare in settembre un calo del 2 per cento rispetto all’anno scorso. In confronto ad agosto, invece, la variazione è nulla. Se l’industria è ferma, o quasi, aumentano le probabilità che il Pil non acceleri il passo sul terzo trimestre dell’anno, quando è rimasto stabile dopo un calo dello 0,4 per cento tra aprile e giugno.
La frenata della crescita rischia di affossare anche le previsioni sul rapporto debito-Pil formulate dal governo nella manovra, previsioni che già da quanto emerge dai documenti programmatici non indicano un chiaro percorso di riduzione nell’arco dei prossimi due anni.
Tra gli imprenditori la preoccupazione è forte, come confermano gli indici elaborati dall’Istat sulla fiducia delle imprese, che in ottobre hanno mostrato un nuovo calo toccando il valore più basso da aprile del 2021, quando sull’Italia incombeva ancora la pandemia.
Giorgia Meloni venerdì è intervenuta con un messaggio video all’assemblea di Confindustria di Bergamo e Brescia, due territori ad altissima concentrazione di industrie, in cima alle graduatorie nazionali dell’export. Meloni nel suo discorso ha puntato più che altro a rassicurare gli imprenditori, confermando l’attenzione del governo nei loro confronti dopo che dal mondo delle imprese sono arrivati segnali di delusione per le misure inserite nella manovra.
Pare difficile che in assenza di fatti concreti, la platea degli imprenditori sia uscita dall’incontro più fiduciosa sugli effetti della Melonomics.
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