Il voto del parlamento europeo, mercoledì scorso, sul piano di riarmo dell’Unione ha avuto una grande eco sui quotidiani italiani, per le presunte divisioni all’interno di alcuni partiti. In Germania e in Francia, invece, non se n’è quasi parlato. Perché alla fine è stata votata solo una “risoluzione non legislativa”, di ben poca rilevanza.

Il parlamento è stato letteralmente scavalcato, con l’utilizzo dell’articolo 122 del Trattato sul funzionamento dell’Ue, che consente all'esecutivo europeo di presentare un testo direttamente al Consiglio in caso di emergenza.

Un piano di riarmo da 800 miliardi di euro sarà quindi imposto senza un vero dibattito, senza la voce dei rappresentanti direttamente eletti dai cittadini europei. Un modo di agire che ha indignato anche il capogruppo del Partito popolare europeo (Ppe), il tedesco Manfred Weber, appartenente alla stessa famiglia politica di Ursula von der Leyen. «Bypassare il Parlamento con l'articolo 122 è un errore», ha detto Weber. «La democrazia europea si regge su due pilastri: i suoi cittadini e i suoi Stati membri. Abbiamo bisogno di entrambi per la nostra sicurezza».

Davanti agli eurodeputati riuniti a Strasburgo, Von der Leyen ha però invocato la necessità di un’assistenza finanziaria di emergenza, che sarebbe possibile solo congelando il parlamento.

L’urgenza dell’indipendenza

Ma siamo veramente di fronte a un’emergenza? Pochi giorni prima del voto, per giustificare l’urgenza del riarmo, la presidente della Commissione Europea aveva dichiarato che «il Cremlino sta spendendo più di tutta l'Europa messa insieme». E, quindi, se l’Europa dovesse difendersi da sola, visti i chiari segnali di disimpegno lanciati dal presidente Usa Donald Trump, sarebbe urgente investire in «domini di capacità paneuropee come, ad esempio, la difesa aerea e missilistica, i sistemi di artiglieria, i missili e le munizioni, i droni e i sistemi anti-drone, ma anche rispondere ad altre esigenze, dalla cibernetica alla mobilità militare».

E qui sorgono i primi dubbi.

I numeri fuorvianti

L’appello di Von der Leyen fa leva su uno studio dell’Iiss (Istituto internazionale per gli Studi strategici) dello scorso 12 febbraio e sulle interpretazioni divulgate dai media. Che però, secondo l’Osservatorio Cpi (Conti pubblici italiani) dell’università Cattolica di Milano, rifletterebbero «due seri errori». Correggendo i quali, la spesa europea risulterebbe in realtà eccedere quella russa del 58 per cento nel 2024.

A conclusioni simili arriva uno studio tedesco, pubblicato nel novembre del 2024, coordinato da Herbert Wulf, già direttore del Bonn International Center for Conversion (BICC). Lo studio conferma una spesa maggiore (del 40 per cento) da parte dell’Europa e aggiunge che la Nato sarebbe chiaramente avvantaggiata in settori chiave, come gli aerei da combattimento e i carri armati. Mentre gli sforzi della Russia per sviluppare sistemi moderni sarebbero fortemente frenati da limiti economici e tecnologici.

«L’ampio divario tra spesa russa ed europea nel 2024 suggerisce cautela nel concludere che sia necessario un forte aumento della spesa militare in Europa, tranne che nei Paesi ancora al di sotto del 2 per cento del Pil», fa presente l’Osservatorio Cpi. E prima di tutto «andrebbe risolta urgentemente la questione dell’inadeguato coordinamento tra le forze armate dei 27 paesi membri dell’Ue».

Ci troviamo quindi di fronte a due ordini di problemi. Per prima cosa, i dati su cui si basa la presunta emergenza, sarebbero errati o comunque contraddittori. Prima di lanciarsi in un piano imponente e improrogabile di riarmo, sarebbe forse stato opportuno valutare la reale minaccia rappresentata oggi dalla Russia in termini militari.

Anche considerando che gli Stati Uniti, e l’ha detto la stessa Von der Leyen, «naturalmente rimangono nostri alleati», perché «gli interessi comuni che abbiamo prevalgono sempre sulle nostre differenze».

Governance europea al palo

In secondo luogo, nel misero dibattito che c’è stato finora sul piano di riarmo europeo, non si è parlato di migliorare la governance europea in campo militare. Attualmente, la spesa europea per la difesa, come ha spiegato l’economista Massimo Bordignon su lavoce.info, è frammentata e, di conseguenza, inefficiente. «Nonostante gli sforzi dell’Unione volti a favorire investimenti comuni nella difesa» - scrive Bordignon, «in questo campo ciascun paese tende a perseguire in autonomia i propri progetti e a difendere i propri produttori nazionali, con il risultato di non riuscire a sfruttare i rendimenti di scala, spendendo alla fine più di quanto necessario».

C’è un serio problema di governance europea ma finora, purtroppo, si è parlato solo di soldi. La maggior parte dei quali (650 miliardi di euro sugli 800 totali) proverrà dagli Stati membri, che aumenteranno la spesa nazionale per la difesa e la sicurezza.

«È veramente un pensiero magico ritenere che tirando fuori più soldi si risolvano tutti i problemi», ha spiegato Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Italiana Pace e Disarmo. «E il riarmo dell’Europa non è una novità. Dal 2021 abbiamo l’European Defence Fund, che non ha funzionato come previsto, perché manca una seria politica europea di difesa comune, che permetterebbe di razionalizzare le spese militari, evitando sprechi di risorse. Questo però ridurrebbe anche i profitti delle imprese militari, che sfruttano momenti di tensione e incertezza come questi per accaparrarsi nuovi contratti».

I principali beneficiari degli investimenti dovrebbero essere i produttori di armamenti europei come Thales, Rheinmetall, Leonardo, Airbus o Fincantieri. Questo, almeno, è quello a cui ambisce Von der Leyen per la parte del piano di riarmo (150 miliardi di euro) che sarà finanziata dal budget europeo. «Ci saranno ricadute positive sulla nostra economia e sulla nostra competitività», ha spiegato. «Si svilupperanno nuovi siti e linee di produzione».

Anche qui, però, le incognite non mancano. Al momento gli stati europei della Nato comprano il 64 per cento delle armi dagli Stati Uniti. Come spiega il Sipri (Istituto di Ricerca Internazionale sulla Pace di Stoccolma), le importazioni sono aumentate di 12 punti percentuali negli ultimi cinque anni. Quasi 500 aerei da combattimento e molte altre armi sono ancora in ordine dagli Usa. Ci sono poi settori in cui le aziende americane hanno quasi il monopolio, come ad esempio i missili di difesa Patriot di RTX (Raytheon). Lì le commesse continueranno ad aggiudicarsele inevitabilmente gli americani.

Un’eventuale clausola ‘made in Europe’ sarebbe inoltre difficilmente applicabile agli ordini dei singoli Stati, quindi ai rimanenti 650 miliardi di euro del piano. Che, in ogni caso, si scontrerebbero con una capacità produttiva europea non sufficiente e largamente inferiore a quella americana, almeno nel medio periodo. Insomma, questo piano di riarmo europeo, lanciato in fretta con l’obiettivo dichiarato di emancipare il continente dall’influenza di Washington, potrebbe finire per legarci ancora di più ai nostri alleati di sempre. Che negli anni della presidenza Trump, potrebbero rivelarsi sempre più scomodi e inaffidabili.

Tempi del riarmo

Un altro snodo fondamentale riguarda i tempi del riarmo. Come dichiarato nel 2024 da Amin Papperger, amministratore delegato della tedesca Rheinmetall, l'Europa avrà bisogno di 10 anni prima di essere completamente pronta a difendersi. Una stima confermata due settimane fa anche da Emmanuel Macron: «Ci vorranno dai cinque ai dieci anni per arrivare una difesa europea autonoma».

Non sono scontate nemmeno le possibili ricadute del piano sulla crescita economica del continente. Come sottolineato da Reuters, ci sono diverse ragioni per cui la spesa per la difesa, in genere, non ha lo stesso effetto di ricaduta sulla crescita della spesa per le infrastrutture civili. Uno dei motivi è che i progetti militari richiedono tempo per essere pianificati ed eseguiti. In più sono generalmente ad alta intensità di capitale, con benefici relativamente più bassi in termini di creazione di posti di lavoro.

L’istituto di ricerca pubblico tedesco IfW Kiel è più ottimista. Come si legge nella ricerca “Guns and Growth” (Pistole e crescita) pubblicata a febbraio, il prodotto interno lordo paneuropeo potrebbe crescere dello 0,9-1,5 per cento se la spesa per la difesa aumentasse dal 2 al 3,5 per cento del pil nei paesi membri. Ci sarebbero poi effetti di ‘spillover’, quindi ricadute positive, dai progetti di ricerca e sviluppo nel settore militare sui comparti civili dell’economia, in particolare in campo tecnologico.

I benefici sulla crescita economica si vedrebbero però solo se «una quota molto maggiore della spesa europea per la difesa sarà destinata ad acquisti all'interno dell’Europa». Una condizione che, come abbiamo visto, sarà molto difficile soddisfare nel breve periodo.

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