Sono entrate una tantum, legate a un periodo economico meno severo. La vera sfida è proiettare il bilancio oltre il 2025 con un progetto più ampio. Le regole del nuovo Patto europeo potrebbero rappresentare un’occasione per il paese
Il governo ha accertato che nei primi sei mesi dell’anno le imposte dirette sono aumentate di 13.791 milioni di euro. Come possiamo interpretare questo dato? Non voglio difendere Giancarlo Giorgetti, ma è importante sottolineare che lo stesso ministro dell’Economia abbia sollevato più di un dubbio sull’utilizzo di queste risorse aggiuntive. Sono un tesoretto? Perché il tema è così importante per chiunque voglia assegnare al bilancio pubblico un ruolo fondamentale di politica economica?
Queste maggiori entrate fiscali sono una una tantum, legata a un ciclo economico meno severo di quello delineato da molti istituti statistici. In sintesi, le maggiori entrate non sono legate all’allargamento della base imponibile, che, nel frattempo, se possibile, si è pure ridotta.
Vincoli Ue
Inoltre, la Commissione europea non tollererebbe mai l’utilizzo di queste risorse per coprire il deficit di bilancio a politiche invariate. Infatti, le linee guida del Patto europeo (giugno 2024), sebbene meno severe del Patto in quanto tale, sono estremamente chiare nell’indirizzo e prevedono che:
1) i piani degli Stati membri devono mantenere la spesa netta in termini nominali al di sotto dei tassi di crescita annuali e assicurare il rispetto dei requisiti minimi di sostenibilità del debito pubblico così come delle cosiddette salvaguardie;
2) questo percorso può essere realizzato in un arco di 4 anni estendibile a 7 se si includono riforme e investimenti in grado di far crescere il Pil potenziale e migliorare le prospettive dei conti pubblici;
3) il quadro macroeconomico, entro cui si ascrivono i provvedimenti fiscali, si deve basare su prudenti ipotesi di crescita.
Il terzo punto, sostanzialmente, inibisce l’utilizzo delle maggiori entrate fiscali in quanto non sono figlie di una riforma fiscale compiuta.
Questa analisi sulle maggiori entrate fiscali, in realtà, nasconde i grandi temi sottesi alla legge di Bilancio per il 2025. Come è noto, la contabilità pubblica prevede un bilancio di previsione a legislazione vigente e/o tendenziale, e un bilancio di previsione a politiche invariate. Quanto vale in termini di punti percentuali di Pil la differenza tra l’indebitamento netto tendenziale rispetto a quello a politiche invariate?
L’indebitamento netto a politiche invariate è pari al 4,7 per cento del Pil per il 2025 (Commissione europea), mentre il governo, nel Def di primavera, fissa il deficit per l’anno prossimo al 3,7 per cento del Pil, perché utilizza come criterio di calcolo il metodo a legislazione vigente, cioè stima tutte le variabili di bilancio in base alle norme in essere.
Questa differenza non è un errore contabile, piuttosto svela quanto le oltre 15 misure una tantum della passata legge di Bilancio siano in realtà un vincolo difficile da superare per il 2025, tenendo conto del nuovo Patto di stabilità europeo. In effetti, la differenza tra indebitamento tendenziale e indebitamento a politiche invariate è uguale al valore delle misure una tantum che, temporalmente, valgono 20 miliardi di euro nel 2025, 23 miliardi nel 2026 e 25 miliardi nel 2027.
Il monito di Giorgetti
Credo che il ministro Giorgetti abbia scelto di valorizzare il metodo a legislazione vigente consapevolmente, utilizzandolo come monito rispetto alle politiche economiche avanzate dalla propria compagine governativa, così come alle parti sociali e agli evasori fiscali.
Il governo italiano, ma credo la maggior parte dei Paesi che hanno un deficit superiore al 3 per cento del Pil, adotterà un piano programmatico di 7 anni per diluire i vincoli del Patto europeo. Il buon senso suggerisce di proiettare il bilancio pubblico oltre l’orizzonte del 2025 perché abbia una qualche credibilità economica.
Tra il 2025 e il 2026 il Paese dovrebbe investire 100 miliardi del Pnrr, così come salvaguardare la sanità, la scuola, e dovrebbe fare una riforma previdenziale di buon senso rispetto ai tanti giovani che avranno pensioni da fame. In altri termini, tutti i soggetti sociali dovrebbero misurarsi con la prossima legge di Bilancio superando l’interesse delle singole categorie.
Forse il nuovo Patto europeo e la possibilità di considerare un periodo di tempo di sette anni è una occasione per il paese. Si dovrebbe abbandonare l’idea che la politica economica sia solo tagliare le tasse; la politica economica, fortunatamente, è molto più impegnativa.
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