- Il settore alimentare sta vivendo un momento complicato dovuto all’aumento generalizzato dei prezzi delle materie prime a livello mondiale. Le cause di questa situazione sono numerose, ma la radice è comune ed è la globalizzazione dell’industria alimentare.
- Il Food Price Index della Fao monitora i prezzi dei principali beni alimentari a livello mondiale e a ottobre ha raggiunto 133,3 punti: un massimo che non si toccava da luglio 2011.
- Soluzioni di breve periodo non ci sono, purtroppo. La speranza è che il prezzo dell’energia scenda il prima possibile. Tuttavia, l’urgenza è agire sul clima: «La siccità è stato l’ennesimo grosso problema quest’anno».
Il settore alimentare sta vivendo un momento complicato dovuto all’aumento generalizzato dei prezzi delle materie prime a livello mondiale. Le difficoltà nel reperire molti ingredienti stanno spingendo diverse aziende a terminare le scorte nei magazzini e i problemi di approvvigionamento dall’estero muovono i prezzi verso l’alto. Le cause di questa situazione sono numerose, ma la radice è comune ed è la globalizzazione dell’industria alimentare.
Ingredienti come l’amido di mais, la vitamina C, lo sciroppo di glucosio e la creatina sono introvabili in Italia e in Europa. Possono sembrare ingredienti secondari – visto che spesso si imparano solo leggendo le etichette delle confezioni – ma sono componenti essenziali dei prodotti finali che si trovano al supermercato. E la crescita così elevata del loro prezzo, in molte circostanze ben oltre il 50 per cento, si potrebbe riversare a breve sui consumatori.
Una conferma arriva dal Food Price Index della Fao, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di politiche alimentari e agricole con sede a Roma. L’indice monitora i prezzi dei principali beni alimentari a livello mondiale e a ottobre ha raggiunto 133,3 punti: un massimo che non si toccava da luglio 2011. Negli ultimi dodici mesi l’indice è aumentato del 31,3 per cento. L’aumento dei prezzi non ha specifici confini nazionali e riguarda ogni continente. Ma non sorprende visto il livello di interconnessione del commercio alimentare.
Delocalizzazione
Il settore alimentare europeo non produce più molto, oramai preferisce importare da diversi anni. Questo è certamente un vantaggio in termini di costo, ma espone ai rischi di un’eccessiva dipendenza dai paesi produttori e dalle loro contingenze, che si possono tradurre negli attuali aumenti generalizzati dei prezzi delle materie prime come conferma Luca Benati, Ceo del gruppo Faravelli, azienda italiana a conduzione familiare che distribuisce materie prime nel settore alimentare.
«In Cina, a causa dei tagli alla disponibilità di energia per le aziende e delle normative stringenti sull’inquinamento si è creata una scarsità di beni che a volte non dipende dalla materia prima in sé, ma proprio dall’energia necessaria per lavorarla». Tuttavia, non si tratta di un problema solamente cinese perché «anche in India, altro grosso produrre di addensanti e coloranti, il problema energetico è concreto».
Chi commercia con le aziende cinesi sa che anche i grandi eventi sportivi in Cina si possono trasformare in ostacoli alla produzione industriale. In vista delle Olimpiadi invernali di Pechino, le autorità locali desiderano ridurre il livello di inquinamento. I Giochi inizieranno il 4 febbraio 2022 e diverse acciaierie di Tangshan, città a due ore di auto da Pechino dove si produce circa l’8 per cento dell’acciaio globale, hanno già aderito ai piani di riduzione delle attività per ripulire l’aria. La città era stata coinvolta in un’operazione simile in occasione delle Olimpiadi del 2008, quando però il mondo non era ancora così dipendente dai prodotti cinesi.
A queste difficoltà si aggiungono anche quelle del settore logistico, colpito da una penuria di container e dal congestionamento di vari porti, come quelli californiani. «Il trasporto su nave costa sempre di più, i prezzi variano molto rapidamente e in alcuni casi ci sono state moltiplicazioni di prezzo anche di 10 volte», dice Benati. Inoltre, una volta scaricate le merci, nemmeno il trasporto su gomma allevia i problemi.
In Italia, il costo della benzina è aumentato da alcune settimane e non scende dall’1,7 euro al litro. È anche molto difficile trovare camionisti qualificati in questo momento. Poi, se paese di produzione e di lavorazione non sono gli stessi, le ristrettezze dei trasporti si amplificano, come nel caso della proteina del pisello giallo, usata per aumentare il contenuto proteico di alcuni alimenti. Il pisello giallo viene prodotto quasi esclusivamente in Canada, ma è spedito prima in Cina per essere trasformato e poi – sempre via mare – in Europa.
Le complicazioni nel trovare alcuni ingredienti alimentari sono influenzate anche dal cambiamento climatico e da aspetti normativi. L’amido di tapioca, molto presente nei prodotti senza glutine, arriva soprattutto dal sudest asiatico. Forti piogge però hanno bagnato eccessivamente le radici, provocando una resa minore e una corsa ad accaparrarsi l’ingrediente da pochi altri fornitori.
L’India rifornisce il mondo di guar e xantano, addensanti impiegati rispettivamente nei prodotti da forno e nei gelati, ma sulla merce arrivata in Europa è stato scoperto l’ossido di Etilene, un pesticida vietato. Le aziende europee si sono così dovute rivolgere ai pochi produttori continentali. Ad esempio, lo xantano è lavorato da una sola società in tutta Europa, che ha potuto così alzare i prezzi fino a 3-4 volte quello originale.
Conseguenze
Questi problemi non colpiscono solamente l’Italia, ma tutta Europa, come racconta Monica Saccani, general manager di Next Ingredients, società che commercia ingredienti alimentari. «L’Europa negli anni si è data ai servizi e la maggior parte della produzione si è spostata in Cina. Ora con la ripartenza post pandemica ci troviamo ad avere prezzi diversi a seconda dei continenti. Le aziende cinesi e americane hanno aumentato la loro domanda superando quelle dei paesi europei. Anche i pochi produttori europei rimasti preferiscono vendere alla Cina o agli Stati Uniti, che sono disposti a pagare di più».
Un’altra categoria di prodotti mancanti sono i materiali da imballaggio per gli ingredienti. «Durante il lockdown carta e plastica non costavano nulla, ma appena è passata l’emergenza i prezzi si sono impennati, anche per via della crescita del mercato online. Ora trovarli è diventato costosissimo quando non impossibile. E vale anche per aziende globali, ben più grandi di noi», specifica Saccani.
Infatti, allarmi da alcune multinazionali sono già arrivati. Pochi giorni fa era stato Manuel Biella, direttore della supply chain di Coca-Cola in Italia, a dirsi preoccupato perché con l’attuale spirale inflattiva e le difficoltà del trasporto è impossibile fare programmazione.
Secondo il professor Daniele Rama, che insegna economia agro-alimentare all’Università Cattolica di Piacenza, l’aumento dei prezzi delle materie è destinato a passare sui prodotti finiti. «Ci saranno sicuramente degli aumenti sui beni che mangiamo. Prevedere della carenze invece è più complicato perché esistono comunque dei meccanismi di aggiustamento. Il mercato con l’aiuto delle istituzioni recupera». Ma con il Natale sempre più vicino, saranno molti i consumatori colpiti dai prezzi maggiori.
In ogni caso, la grande distribuzione farà da ammortizzatore, almeno in un primo momento: «Chi fa la spesa al supermercato non ama vedere i prezzi che ballano, quindi solitamente si verificano delle riduzioni dei margini per la grande distribuzione. Nessuna beneficienza però. Vengono regolarmente recuperati in seguito: quando i prezzi delle materie prime tornano a scendere, la discesa dei prezzi finali è più lenta», spiega il professore.
Guardando la filiera alimentare dall’altro lato, però, molti piccoli produttori e trasformatori sono in difficoltà perché i grandi supermercati non sono disposti a modificare il prezzo con cui si riforniscono.
Soluzioni
Soluzioni di breve periodo non ci sono, purtroppo. La speranza è che il prezzo dell’energia scenda il prima possibile. Ma esso è legato a così tanti fattori – anche geopolitici – che non è possibile immaginarne sviluppi futuri. È difficile anche pensare che l’Europa riduca la propria dipendenza da grossi partner commerciali come Cina e India. Si tratta di un fatto strutturale, che solo la presenza di un numero maggiore di produttori in quelle stesse nazioni potrebbe attenuare. I singhiozzi nella supply chain dovrebbero sparire non prima della fine del 2022.
Tuttavia, l’urgenza è agire sul clima: «La siccità, come nel caso del Canada e degli Stati Uniti, è stato l’ennesimo grosso problema quest’anno. Un atteggiamento più responsabile sul cambiamento climatico è necessario non solo per la sostenibilità ambientale, ma anche per quella alimentare», conclude il professor Rama. Un tema che a Glasgow deve essere affrontato.
© Riproduzione riservata