I produttori di vino, dal Pinot del Trentino fino al Chianti toscano, giusto per citare due etichette tra le tante. Gli imprenditori della componentistica auto, già in difficoltà su un mercato che si restringe sempre di più. E poi i campioni del Made in Italy, dai mobilieri fino alle aziende del food, quelle che portano oltre Atlantico formaggi, prosciutto e decine di altre specialità col marchio tricolore. Ecco, Giorgia Meloni dovrebbe spiegarlo a loro che non c’è fretta di rispondere ai dazi di Donald Trump, che non bisogna agire d’istinto.

«State calmi, pensateci», è il messaggio recapitato ai partner europei che preparano misure dal «massimo impatto» nei confronti dell’amministrazione Usa che ha scatenato una guerra commerciale senza precedenti. Con l’intervista al Financial Times pubblicata ieri, Meloni ha scelto un’audience globale che più globale non si può per ribadire comprensione verso le posizioni trumpiane.

Equilibrista a Palazzo Chigi

Costretta a camminare sulla corda sospesa nel vuoto di una presunta e ostentata equidistanza tra l’America e l’Europa, la leader che ama vantare una relazione speciale con il presidente Usa non è riuscita a spiegare, neppure per sommi capi, come dovrebbe essere declinata in pratica questa politica all’insegna dell’equilibrio e della pazienza verso un alleato che poche ore prima ha liquidato come «parassiti» i paesi del Vecchio Continente.

Del resto, non è stata Meloni a usare il termine rappresaglia per parlare dei controdazi allo studio dalla Ue? Nei rapporti con la Casa Bianca bisogna usare «composure», cioè compostezza, autocontrollo, dice la premier al Financial Times nell’intervista firmata, tra gli altri, dalla direttrice Roula Khalaf, la prima rilasciata a un giornale straniero da quando è approdata a Palazzo Chigi. Perché – ha detto Meloni – sarebbe infantile scegliere tra Usa e Ue. Neppure il compassato quotidiano britannico, però, può fare a meno di notare che la presidente del Consiglio ha evitato ogni accenno critico al governo americano.

«Colpa di Biden»

Quando poi si trova costretta a dare un giudizio sui dazi in arrivo, Meloni prova a cavarsela buttando la palla in tribuna. Sarà anche vero che Trump ha un approccio «confrontational», ma a inaugurare l’agenda protezionista è stata l’amministrazione di John Biden, racconta la presidente del Consiglio.

Una versione di comodo, questa, che viene spesso usata dalla destra nostrana impegnata nella mission impossible di conciliare il suo dichiarato sovranismo, la sua presunta difesa del made in Italy, con il sostegno senza se e senza ma al nuovo corso inaugurato dal presidente americano. Un approccio che usa la vecchia tattica del «ha cominciato lui» per sostenere l’insostenibile, cioè che la politica trumpiana sarebbe la prosecuzione con altri mezzi di quella di Biden.

È vero che la precedente amministrazione Usa ha varato provvedimenti con l’obiettivo di incentivare gli investimenti dell’industria nazionale e a questo proposito Meloni nell’intervista cita l’Inflation Reduction Act del 2022.

Così come è difficile negare che i democratici americani si sono opposti ai tentativi di Bruxelles di mettere un freno alle pratiche monopolistiche dei big del digitale americani. Va anche ricordato che Biden nel 2021 confermò parzialmente le tariffe doganali maggiorate per alcuni prodotti alimentari made in Italy, ma erano dazi introdotti da Trump nel suo primo mandato. E lo stesso vale per quelli su acciaio e alluminio, su cui però venne raggiunto un accordo con Bruxelles, già a ottobre del 2021.

Quelle misure, specifiche e mirate, non hanno però nulla a che fare con la tempesta che Washington promette ora di scatenare contro i paesi europei. Non è mai accaduto prima che decine di migliaia di aziende si trovassero, tutte insieme e all’improvviso, esposte ai danni provocati dalla svolta protezionista degli Stati Uniti, un attacco che si annuncia indiscriminato al cuore dell’economia italiana, molto più dipendente dall’export rispetto a gran parte dei paesi europei.

Effetto annuncio

Anche se i dazi devono ancora arrivare, per provocare danni ingenti è bastato l’effetto annuncio, con il corollario di dichiarazioni della Casa Bianca, spesso contraddittorie tra loro. Per gli imprenditori che esportano verso gli Usa è diventato impossibile programmare gli investimenti. Molte aziende hanno tentato di anticipare gli eventi inviando oltre Atlantico merci in grande quantità, evitando così la tagliola dei minacciati dazi supplementari.

Il guaio, però, è che l’aumento delle merci con destinazione Usa ha spinto al rialzo le tariffe dei container. In questi giorni, mentre si avvicina la tempesta, succede sempre più spesso che gli importatori americani cancellino gli ordini sospesi nel timore di dover pagare i dazi sui prodotti in arrivo.

Bastano questi racconti per svelare l’inconsistenza delle argomentazioni di Meloni. «Sono attonito, il problema è enorme», ha dichiarato al Corriere della Sera, il presidente di Centromarca, Francesco Mutti, che rappresenta decine di imprese esportatrici. Un grido d’allarme a cui Meloni risponde predicando calma e niente di più. Chiede tempo per «lavorare per trovare una buona soluzione». Un piano d’azione difficile da applicare se la controparte usa l’insulto come strumento negoziale.

Premier muta

Servirebbe un’Europa più unita che mai per opporsi a una minaccia che è comune. La premier, però, dà l’impressione di volersi smarcare dai partner Ue per non urtare troppo la suscettibilità dell’amico americano. Eppure, più che mai in passato, il governo sovranista adesso sarebbe chiamato a difendere l’interesse nazionale minacciato dalle politiche di una potenza straniera.

Secondo le stime della Bce, i dazi al 25 per cento taglierebbero dello 0,3 per cento la crescita già asfittica (più 0,9 per cento nel 2025) prevista per i paesi dell’Eurozona. Un numero, lo 0,3 per cento, che è il frutto di una media.

Per economie più dipendenti dall’export, come è il caso dell’Italia e anche della Germania, il contraccolpo rischia di rivelarsi ancora più pesante. Da Berlino, il cancelliere uscente Olaf Scholz ha subito annunciato una risposta adeguata alla politica Usa definita «sbagliata». Meloni invece tace. E quindi acconsente.

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