Tanto rumore per nulla, o quasi. Il nuovo concordato preventivo biennale si risolverà in un buco nell’acqua. Il provvedimento corretto in corsa e infine varato due giorni fa dal Consiglio dei ministri non servirà a contrastare la gigantesca evasione fiscale tra i lavoratori autonomi (il 67 per cento dell’imposta sui redditi non viene pagato). E c’è grande incertezza, per usare un eufemismo, anche sul maggior gettito garantito dalla nuova misura.

Questo gettito supplementare dovrebbe contribuire a finanziare un’ulteriore riduzione delle aliquote Irpef, come spera il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, promotore di quella che lo stesso Leo ha in più occasioni definito una “riforma fiscale ambiziosa e strutturale”. Va da sé che l’aggettivo “strutturale” pare quantomeno improprio per un intervento, come quello sugli scaglioni dell’Irpef, che dura un solo anno, il 2024, e poi si vedrà, a patto di recuperare tra le pieghe del bilancio pubblico le risorse necessarie alla proroga.

Pagelle inutili

Anche il concordato preventivo, una delle novità più rilevanti tra quelle previste dalla legge delega sul fisco, rischia però di fare poca strada. La nuova e definitiva versione, approvata sulla base delle indicazioni formulate in Senato dalla maggioranza, ha esteso i benefici del provvedimento all’intera platea di circa 4 milioni di autonomi e piccole imprese.

Compresi quelli a cui l’Agenzia delle entrate attribuisce un indice sintetico di affidabilità fiscale (Isa) inferiore a 8. Insomma, ci sono premi in palio per tutti, anche per i contribuenti con una pagella a forte rischio di evasione.

Il meccanismo introdotto dal governo è il seguente: l’amministrazione fiscale nei prossimi mesi presenterà una proposta per la tassazione Irpef valida per il 2024 e il 2025 sulla base dei dati sul singolo lavoratore autonomo o piccolo imprenditore già in possesso dell’Agenzia delle entrate. Se il contribuente accetta, pagherà le imposte concordate e si metterà al riparo da futuri controlli, previsti in pochi specifici casi.

Fisco amico

Solo i prossimi mesi potranno fornire indicazioni sul funzionamento di questa prima applicazione concreta del concetto di “fisco amico”, da sempre in cima agli slogan dei partiti della maggioranza.

Al momento, gli interrogativi riguardano l’Agenzia delle Entrate. Il braccio operativo dell’amministrazione sarà in grado di formulare proposte che spingano i contribuenti a dichiarare almeno in parte i loro redditi nascosti? Secondo Leo, il concordato avrà l’effetto di far aumentare gradualmente, anno dopo anno, la “base imponibile”.

C’è il rischio, però, un rischio paventato da molti esperti, che le cose vadano diversamente. In pratica, i contribuenti più affidabili, quelli con Isa pari a 8 o superiore, non avranno interesse ad accettare la proposta dell’Agenzia, visto che, in forza della loro pagella fiscale, possono già godere di benefici e meccanismi premiali.

Anche gli altri, quelli per cui il sospetto di evasione è più alto, potrebbero però declinare l’offerta del fisco e continuare a evadere contando di non essere sottoposti a successive verifiche. Oppure, se l’offerta fosse molto più bassa rispetto alle somme evase, l’eventuale accordo farebbe emergere ben poco “nero” mettendo allo stesso tempo al riparo da verifiche il contribuente infedele.

Incognite

Va inoltre segnalato che nel primo anno di applicazione del nuovo concordato è previsto che la partita Iva avrà tempo fino al 15 ottobre per accettare la proposta dell’amministrazione. A quel punto il professionista, il commerciante o l’artigiano è già in grado di conoscere quanto riuscirà a guadagnare nell’arco dei 12 mesi e potrà fare i suoi calcoli di convenienza. Senza contare che chi teme di avere forti alti e bassi nei propri introiti, difficilmente accetterà di sottoscrivere un accordo che lo vincola per due anni.

Insomma, le incognite sull’efficacia del provvedimento sono moltissime. Leo si fa forte dei dati sugli accertamenti. Visto che solo il 5 per cento delle partite Iva viene sottoposto a verifiche tributarie, tanto vale venire a patti con gli evasori con un incentivo per indurli a dichiarare qualcosa in più.

Questo, in sintesi, il ragionamento del viceministro. È un approccio gradualista che molti critici descrivono come una resa nei confronti del potentissimo partito del nero, che vale milioni di voti. Di certo con il nuovo concordato aumentano di molto i margini discrezionali dell’Agenzia delle entrate guidata da Ernesto Maria Ruffini, al vertice della macchina dei controlli una prima volta tra il 2015 e il 2018 (con Renzi e poi con Gentiloni a Palazzo Chigi) per poi tornare a capo dell’Agenzia nel 2020 (governo Conte 2), riconfermato da Mario Draghi e infine da Giorgia Meloni.

Rischio politico

Toccherà all’Agenzia gestire i rapporti con l’enorme platea dei 4 milioni di lavoratori autonomi potenziali destinatari della proposta di concordato. Solo una verifica sul campo potrà dire se la macchina fiscale sarà in grado di sfruttare l’enorme massa di dati di cui dispone per convincere i contribuenti riluttanti a venire a patti con il fisco favorendo l’emersione dei redditi sommersi.

È un compito ad alto rischio, anche politico. Nei mesi in cui la riforma targata Leo ha preso forma, con il viceministro molto esposto mediaticamente, Ruffini ha diradato interventi e interviste.

Ora che si passa dalle parole ai fatti e il fisco funzionerà con le nuove regole imposte dal centrodestra la sintonia tra il tecnico e il governo andrà verificata sul campo.

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