Le ultime parole famose sono quelle pronunciate da Giancarlo Giorgetti giusto un mese fa, il 13 novembre. «Abbiamo portato a termine un’operazione di politica bancaria e finanziaria italiana in modo serio e riservato come da sempre dichiarato in questi due anni di governo». Così parlò il ministro dell’Economia poche ore dopo il felice esito della vendita del 15 per cento del Monte dei Paschi di Siena a una pattuglia di soci di fiducia dell’esecutivo sovranista.

Quattro settimane dopo quell’annuncio, l’operazione vantata da Giorgetti ha imboccato un tunnel di cui per ora non si scorge l’uscita. Il doppio colpo sul BancoBpm, prima con l’offerta di Unicredit seguita dall’incursione dei francesi del Crédit Agricole, saliti al 15 per cento dell’istituto milanese, ha ribaltato il tavolo apparecchiato da Giorgetti con la benedizione della premier Giorgia Meloni. E così, il progetto di terzo polo bancario da costruire sull’asse Mps-Bpm ha già bisogno, come minimo, di una drastica revisione.

Non finisce qui, perché il passo falso di queste settimane potrebbe avere conseguenze imprevedibili anche su un’altra partita decisiva per gli assetti di potere del capitalismo nostrano. L’operazione gestita dal governo «in modo serio e riservato», per usare le parole del ministro dell’Economia, è infatti parte di un disegno più ampio che comprende anche Generali e Mediobanca, quello che un tempo veniva chiamato il salotto buono della finanza nazionale.

La posta in gioco, qui, è il controllo della compagnia di Trieste, da anni oggetto del desiderio del costruttore ed editore Francesco Gaetano Caltagirone, che a lungo ha potuto contare sul sostegno di Leonardo Del Vecchio, a cui sono subentrati i suoi numerosi eredi, ora in conflitto tra loro per la spartizione del patrimonio miliardario del fondatore di Luxottica.

Norme pro Caltagirone

Ebbene, la nuova “Legge Capitali” varata dalla maggioranza di centrodestra, di fatto spiana la strada alla conquista di Generali da parte di Caltagirone. Se non altro perché le norme in vigore dal marzo scorso rendono molto difficile la nomina di un consiglio di amministrazione gradito a Mediobanca, socio di comando della compagnia, nella prossima assemblea in calendario l’8 maggio.

L’imprenditore romano, con l’appoggio dei Del Vecchio e altri investitori, potrebbe quindi presentare una lista di amministratori alternativa oppure trattare la spartizione delle poltrone con Mediobanca, ma questa volta da una posizione di forza. Entrambe le soluzioni sarebbero gradite a Palazzo Chigi, che non si sente garantito dall’attuale assetto di potere a Trieste, con il francese Philippe Donnet sulla poltrona di amministratore delegato ormai dal lontano 2016.

Incassata la garanzia di un appoggio del governo in vista della resa dei conti su Generali, Caltagirone ha preso la strada di Siena. Una strada che conosce bene, per altro, perché già una quindicina di anni fa aveva investito, rimediando pesanti perdite, nell’istituto toscano.

Questa volta, però, è il Tesoro che chiama e all’appello di Giorgetti ha risposto una pattuglia di investitori che ha messo sul piatto oltre un miliardo di euro, per l’esattezza 1.092 milioni, per rilevare il 15 per cento di Mps. La quota versata di Caltagirone ammonta a 255 milioni circa per una partecipazione del 3,5 per cento. La stessa somma è stata versata dalla famiglia Del Vecchio, a cui si aggiunge il contributo di 365 milioni del BancoBpm, guidato dall’ad Giuseppe Castagna.

Il 3 per cento, per quasi 220 milioni, è infine andato ad Anima, una società di gestione del risparmio con base a Milano. Non è affatto un caso che ai primi di novembre Anima è diventata l’obiettivo di un’offerta pubblica di acquisto (Opa) lanciata dal suo maggior azionista, ovvero il BancoBpm che di lì a 20 giorni diventerà anch’esso oggetto di una scalata ostile, quella di Unicredit.

L’intreccio è complesso, ma intanto vale la pena di fare un bilancio parziale dell’operazione. Ebbene, a un mese esatto da quell’investimento, gli amici del governo possono semmai rallegrarsi della rivalutazione delle loro azioni, visto che il titolo Mps, nel frattempo, ha messo a segno un rialzo di oltre il 20 per cento. Caltagirone, forte di una liquidità pressoché illimitata, ha pensato bene di arrotondare la sua quota in Mps e alla fine di novembre è salito al 5 per cento, con un investimento supplementare stimato circa 170 milioni. Al momento si può dire che la scommessa del costruttore su Siena vale oltre 400 milioni.

Resa dei conti

Una montagna di soldi messa al servizio dell’obiettivo del governo, che è quello di stabilizzare l’azionariato della banca senese per legarla al BancoBpm, in modo da farne un polo bancario alternativo a Intesa e Unicredit. Un piano che già in partenza si presentava tutt’altro che privo di rischi. Ed è diventato un rompicapo dopo che l’Unicredit guidata da Andrea Orcel si è messa di traverso con la sua offerta per il Banco.

Il governo ha reagito minacciando l’uso del golden power per bloccare la scalata di Orcel, salvo poi ritrovarsi spiazzato dall’incursione del Crédit Agricole che si è rafforzato dal 9,9 al 15 per cento nel capitale della banca milanese e potrebbe arrivare presto sulla soglia del 20 per cento.

Per uscire dall’impasse, qualcuno dei consulenti del governo aveva ipotizzato una fusione tra Monte dei Paschi e BancoBpm. Il risultato dell’operazione sarebbe un istituto di credito, il terzo del paese per dimensioni, che avrebbe come principale azionista il Crédit Agricole, gigante della finanza che batte bandiera francese. Un esito, questo, che non sembra esattamente in linea con il nazionalismo esibito dall’esecutivo.

Così, adesso, i due avversari, Giorgetti e Orcel, si trovano paradossalmente sulla stessa barca. Il futuro di entrambi è appeso alle scelte del Crédit Agricole, che dietro adeguata contropartita potrebbe farsi da parte, favorendo Unicredit, oppure appoggiare i piani dell’esecutivo.

Insomma, il futuro del sistema bancario italiano dipende da decisioni che verranno prese lontano da Roma. Ed è francese anche Donnet, il manager di lungo corso, ben inserito nell’alta finanza d’Oltralpe, che Caltagirone, ma anche Palazzo Chigi, vorrebbero sostituire al vertice delle Generali. Come dire che per il governo Meloni la via verso il sovranismo bancario passa da Parigi.

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