La replica del Tesoro non lascia spazio a dubbi, almeno in apparenza. “Il dipartimento dell’Economia ha gestito tutte le procedure in modo impeccabile, trasparente e in modalità similari alle due volte precedenti”, recita testualmente la nota diffusa dal ministero guidato da Giancarlo Giorgetti. Poche righe per smentire un articolo del Financial Times che sollevava dubbi sulle modalità con cui il 13 novembre scorso il Mef ha ceduto 15 per cento del capitale del Monte dei Paschi.

In sostanza l’operazione, presentata da Roma come un’asta competitiva aperta al mercato, sarebbe stata congegnata in modo da indirizzare i titoli su quattro acquirenti graditi al governo. Questo il sospetto avanzato anonimamente da molti operatori internazionali nei giorni scorsi e rilanciato lunedì scorso dal quotidiano britannico.

Come noto, quel 15 per cento di Mps è andato per un terzo al BancoBpm, il 7 per cento circa è stato spartito a metà tra il costruttore Francesco Gaetano Caltagirone e la famiglia Del Vecchio, mentre la società di gestione del risparmio Anima, legata al BancoBpm, ha acquistato un altro 3 per cento. La vendita ha fruttato al Tesoro 1.092 milioni e ora resta in mano pubblica solo l’11 per cento della banca senese, tanto che proprio ieri si sono dimessi dal consiglio di Mps cinque rappresentanti dello Stato azionista.

Caso chiuso? La procedura di vendita (accelerated book building, in sigla ABB, è la definizione tecnica) che ha portato in mani amiche del governo quelle azioni del Monte si è svolta “in modalità similari alle due volte precedenti”, per usare le parole del Mef?

A ben guardare, l’operazione gestita a metà novembre dalla squadra di Marcello Sala, direttore generale dell’Economia, ha preso strada facendo una rotta diversa da quelle che a novembre 2023 e poi a marzo di quest’anno avevano consentito al Tesoro di ridurre la sua partecipazione del 64,2 per cento in Mps prima al 39,2 per cento e poi al 26,7 per cento.

La prima novità riguarda il coordinatore della vendita, un ruolo affidato a Banca Akros, che è controllata dal BancoBpm. Proprio l’istituto milanese guidato da Giuseppe Castagna ha rilevato un pacchetto importante delle azioni cedute. Il comunicato del Tesoro emesso nella serata del 13 novembre, poco dopo la conclusione dell’ABB, non fa invece menzione di Bofa-Bank of America, Jefferies e Ubs. Le prime due banche d’affari avevano gestito l’asta di nove mesi fa e tutte e tre quella di novembre 2023, come risulta dalle note del Mef rilasciate all’epoca.

Sorpresa Akros

In particolare, ha sorpreso molti investitori l’ingresso in scena di Banca Akros, più piccola e meno attiva in questo tipo di operazioni rispetto ai concorrenti coinvolti in precedenza. Va ricordato che a ottobre 2023 il governo annunciò di aver individuato Ubs e Jefferies come consulenti finanziari “in relazione alle procedure di cessione di quote Mps”.

Banca Akros, a quanto pare, è stata incaricata solo in un secondo tempo e solo per quest’ultima asta. Secondo quanto risulta a Domani, a ottobre del 2023 Jefferies era stata scelta nell’ambito di una procedura negoziata a cui avevano partecipato una quindicina di concorrenti di levatura internazionale, tra cui, solo per citarne alcuni, anche Lazard, Jp Morgan, Merril Lynch, Morgan Stanley.

L’ufficio stampa del Mef, interpellato da Domani, replica che "non è automatico” che i consulenti finanziari, in questo caso Jefferies e Ubs, “si trasformino in bookrunners, cioè quelli selezionati per raccogliere le adesioni, ovvero promuovere il collocamento delle azioni alle migliori condizioni”.

Per l’asta di novembre è stata scelta Banca Akros perché, dice il Mef, la banca controllata da BancoBpm “ha presentato un’offerta superiore agli altri” al momento della selezione del bookrunner.

Va infine segnalato un altro fatto che non è passato inosservato agli operatori di mercato. L’accelerated book building del novembre scorso ha infatti assegnato le azioni a un prezzo superiore del 5 per cento rispetto alla quotazione borsistica di chiusura di quel giorno, il 13 novembre. In genere, però, gli ABB si chiudono con uno sconto sul prezzo di mercato dei titoli. Questo è quanto è successo in passato anche nel caso di Mps.

A novembre 2023 il Tesoro aveva piazzato una quota del 25 per cento a un prezzo del 4,9 per cento inferiore a quello di Borsa, mentre a marzo 2024 lo scarto era stato del 2,49 per cento. In entrambi i casi le azioni richieste da parte degli investitori avevano superato di molto, da tre a cinque volte, quelle messe in vendita dal Tesoro.

Anche nel novembre scorso c’è stata forte domanda per i titoli Mps. Il doppio rispetto all’offerta, secondo quanto comunicato dal Mef. Questa volta però il 15 per cento di Mps è finito a investitori graditi al governo, da BancoBpm, a Caltagirone, ai Del Vecchio, tutti disposti a pagare più del prezzo del mercato pur di infilarsi da protagonisti nella partita che sta cambiando gli assetti di potere nel sistema bancario italiano.

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