ll percorso per l’Ilva di stato è ufficialmente iniziato. Ieri Invitalia, la società tuttofare che si occupa anche della gestione delle crisi industriali, amministrata dall’ex commissario al Covid, Domenico Arcuri, ha annunciato l’atteso investimento da 400 milioni di euro nel capitale sociale di AM InvestCo Italy, controllata del colosso globale dell’acciaio con in tasca il contratto di acquisto dello stabilimento di Taranto.

L’investimento di Invitalia corrisponde di fatto alla nascita di una nuova società: dà diritto infatti a una quota del 38 per cento del capitale e alla metà dei diritti di voto, quindi il controllo di AM InvesCo Italy diventa congiunto. La società cambia nome, sarà Acciaierie d’Italia holding e a sua volta controllerà la nuova ArcelorMittal Italia trasformata nel polo produttivo dal nome in salsa nazionalista di Acciaierie d’Italia.

Esattamente all’opposto di quanto succede con Alitalia, dove si sbandiera discontinuità e si fatica spesso a trovarla, qui la discontinuità è anche di sostanza. ArcelorMittal che si stava già ritirando dall’investimento in Ilva dopo il noto scontro con il governo italiano sullo scudo penale, ha già fatto sapere che tutto quello che riguarda la nuova società sarà separato dal bilancio del gruppo (de-consolidato), incluse le passività per l’affitto degli stabilimenti e le perdite che a oggi hanno fatto registrare. «La partecipazione nella società», si legge nella nota diffusa dalla multinazionale, sarà calcolata «secondo il metodo del patrimonio netto».

Al 60 per cento nel 2022

L’accordo di acquisto della città-fabbrica di Taranto si basa sempre su un contratto con la ex Ilva e prevede che alcune condizioni siano rispettate. Alcune sono scontate, altre meno. È previsto l’adeguamento del piano ambientale al nuovo piano industriale, ma anche la revoca di tutti i sequestri penali e l’assenza di restrizioni imposte «nell’ambito di procedimenti penali in cui Ilva è imputata nei confronti di Acciaierie d’Italia holding o di sue società controllate». In mancanza di queste condizioni, si legge nella nota pubblica ieri da ArcelorMittal, cadrebbe l’obbligo per la nuova Acciaierie d’Italia holding di perfezionare l’acquisto. Se invece tutto andasse secondo i piani, Invitalia salirebbe al sessanta per cento del capitale entro maggio 2022 e per mantenere il controllo congiunto della società cioè il 50 per cento dei diritti di voto e il 40 per cento delle quote di capitale, ArcelorMittal dovrebbe investire 70 milioni di euro.

I sindacati hanno accolto la notizia del ridimensionamento e della parziale uscita di scena del gruppo franco indiano con cori quasi all’unisono. Il segretario della Uilm Palombella l’ha definita semplicemente «la fine di un’esperienza fallimentare. Questa deve essere la fine di un incubo e l’inizio di una fase nuova che metta al centro il rispetto dell’ambiente e i lavoratori eliminando qualsiasi ipotesi di esuberi e ricorso massiccio alla cassa integrazione». Oggi in cassa integrazione sono quasi la metà dei lavoratori di Taranto su 8.200 totali, per la vera bonifica dello stabilimento ci vorranno anni e intanto se non ci saranno intoppi ArcelorMittal si separerà da una società in perdita. Per la segretaria generale Fiom-Cgil Francesca Re David e il responsabile siderurgia Gianni Venturi, «le conseguenze di questa operazione che porterà a maggio 2022 alla separazione delle attività e delle passività di bilancio carica sul nuovo soggetto societario un’eredità sicuramente pesante ma non solo in termini finanziari».

Il memorandum

Negli ultimi anni segnati da sequestri giudiziari e cassa integrazione è stata ritardata o sospesa anche la semplice manutenzione degli impianti. E mentre i sindacati chiedono a gran voce di essere coinvolti nella progettazione di una nuova politica industriale anche grazie ai fondi in arrivo del Recovery plan, in realtà ArcelorMittal Italia si è già affidata a Fincantieri e alla società Paul Wurth Italia. Il 13 aprile le tre aziende hanno firmato un memorandum di intesa «per la riconversione del ciclo integrale esistente dell’acciaieria di Taranto secondo tecnologie ecologicamente compatibili».

Il piano di ripresa approvato a gennaio ipotizza una prima sperimentazione di acciaio all’idrogeno nel 2026, ma è al memorandum firmato con Fincantieri che bisogna guardare. Prevede la verifica della fattibilità ambientale ed economica del progetto di riconversione, compresa la valutazione di «progetti innovativi per il contenimento delle emissioni, nonché attività per lo studio e lo sviluppo di nuovi modelli di business congiunti, come la realizzazione di acciai ad alta resistenza per la produzione di navi e grandi infrastrutture, oltre alla fornitura di acciaio». Se i fondi li mette il soggetto pubblico Invitalia, a valutare la sostenibilità del progetto è stato messo direttamente uno dei principali possibili committenti per conto dello stato.

 

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