• Salvatore Gaziano, analista e consulente finanziario indipendente, fondatore di SoldiExpert SCF, risponde alle domande sulla Borsa e la Vita e di finanza personale. Scrivete a lettori@editorialedomani.it
• Questa settimana si parla della nuova normativa europea entrata in vigore ad agosto che obbliga gli intermediari e i consulenti finanziari italiani a richiedere le preferenze di “sostenibilità” ai risparmiatori nei questionari di profilazione
• Un risparmiatore si chiede se è una cosa seria perché nonostante le lodevoli intenzioni (lotta ai cambiamenti climatici e all'ingiustizia sociale) ha diversi dubbi sulla execution di questa normativa con un elevato rischio “greenwashing”
Ho ricevuto dal consulente finanziario della mia banca l’invito a rispondere a un questionario obbligatorio riguardo la gestione dei miei investimenti dove mi vengono chieste le mie preferenze riguardo la sostenibilità. Le confesso che sono confuso su cosa rispondere anche perché l’ad della banca dove ho i miei risparmi ho letto che ha guadagnato 7,5 milioni di euro nel 2021 alla faccia della sostenibilità... Di certo ho capito che c’è soprattutto un costo maggiore per i risparmiatori senza alcuna sicurezza di “salvare il pianeta” o di ottenere risultati migliori (o di correre meno rischi) rispetto agli investimenti tradizionali. Cosa ne pensa?
Gentile R.
Il tema è di grande attualità anche perché da metà agosto tutti gli intermediari finanziari e consulenti finanziari sono stati obbligati da un regolamento dell’Unione europea (Sfdr) nei nuovi questionari a porre precise domande ai loro clienti riguardo la “sostenibilità” ovvero se vogliono che i propri portafogli siano (e quanto) sostenibili ovvero Esg.
I risparmiatori alle banche e ai propri consulenti, in pratica, dovranno dire, nel nuovo questionario Mifid o di profilazione, se vogliono che con i loro soldi si privilegino o meno (e in che misura) prodotti e strumenti finanziari che promuovano caratteristiche ambientali o sociali o di corporate governance (Esg).
Rischio greenwashing
Detta così tutti (o quasi) vorremmo avere in portafoglio aziende virtuose che rispettano maggiormente l’ambiente, i dipendenti, i clienti, gli azionisti e il mondo.
In realtà non è così facile distinguere il grano da loglio e sono emersi nell’ultimo anno diversi casi anche clamorosi di “greenwashing” ovvero dare una bella “pennellata” di verde e sostenibile per costruirsi un’immagine ingannevolmente positiva.
Avrà forse letto dell’ex capo degli investimenti sostenibili di Black Rock, Tariq Fancy, che ha ampiamente sconfessato la “mistica Esg” della stessa azienda in cui ha lavorato e poi ha dato le dimissioni, sostenendo che si trattava di un “pericoloso placebo che danneggia l’interesse pubblico”.
Secondo il professor Aswath Damodaran della New York University – considerato fra i massimi esperti al mondo di valutazioni aziendali – troppe cose non tornano. «Credo che Esg sia, in sostanza, una truffa che sta arricchendo consulenti, società di rating e gestori di fondi, mentre non fa quasi nulla per le aziende e gli investitori che afferma di voler aiutare, e ancor meno per la società», ha dichiarato provocatoriamente.
Nel mondo finanziario sono esplosi diversi scandali nel mondo sul fenomeno del greenwashing (ovvero di società anche di gestione che dicevano che nei loro fondi selezionavano società verdi ed Esg che verdi ed Esg non erano).
Il caso Dws
Clamoroso è stato, qualche mese fa, il caso di Dws, il braccio nel risparmio gestito di Deutsche Bank, che secondo gli agenti della BaFin, l’autorità che vigila sui mercati tedeschi, avrebbe presentato come “verdi” e “sostenibili” degli investimenti che non avevano le giuste credenziali. Le indagini sono ancora in corso, ma il danno d’immagine è già rilevante, tanto che si è dimesso il numero uno di Dws, Asoka Wöhrmann.
Negli Stati Uniti, a maggio, la Sec ha presentato le regole su come vuole dare un'occhiata più da vicino a quei fondi che usano i termini “Esg”, “Sostenibile” o “Low Carbon” ovvero con basse emissioni di CO2.
Secondo l’accusa, diversi fondi di investimento che sono andati male si erano dotati di queste parole d'ordine per raccogliere più soldi dai risparmiatori senza che la loro strategia di investimento fosse davvero cambiata. E la Sec ha multato alcune banche importanti (BNY Mellon fra queste) per aver travisato o informato in modo inadeguato i clienti sugli investimenti Esg.
Investimenti etici
Come sostiene Alan Miller, fondatore della società inglese Scm Direct non esiste un modo “perfetto” per investire eticamente.
Uno degli argomenti forti negli scorsi anni dei propagandisti Esg a senso unico (spesso venditori) era che finalmente si poteva “guadagnare bene, facendo del bene”.
Come avevo facilmente ipotizzato nelle mie analisi la sovra-performance degli anni passati degli indici cosiddetti Esg rispetto a quelli tradizionali era un effetto della forte presenza di titoli soprattutto tecnologici e dell’assenza di titoli legati ad alcuni settori.
Se si depennano dalla lista degli investimenti migliaia di titoli sulla presunta ipotesi che esistano società migliori di altre o settori migliori di altri, si mette comunque in discussione uno dei principi chiave della diversificazione e bisogna essere disposti anche a pagarne le conseguenze.
In tema di concentrazione basti pensare che l'indice MSCI World (il più importante indice delle azioni mondiali) contiene circa 1.540 singoli titoli, la variante Sri (ovvero delle aziende etichettate come “Socialmente Responsabili”) solo 373.
Boom di fondi
A partire dal 2020 c’è stato un vero e proprio boom dei fondi Esg da parte di quasi tutte le società di gestione che hanno sempre bisogno di nuovi argomenti di vendita per intercettare la raccolta.
Il potente sell-off dei titoli tecnologici (arrivati da inizio anno a perdere oltre il 30 per cento mentre i titoli energetici “sporchi e cattivi” salivano del 40 per cento) ha rivelato un rischio dell'investimento etichettato come più “sostenibile” che molti avevano sottovalutato.
Non sono certo ostile ai temi etici e ambientali, ma anch’io non sopporto i temi di facile presa, senza andare mai nel pratico e senza approfondire.
Per esempio, gli azionisti di Amazon (uno dei titoli maggiormente presenti nei portafogli sostenibili di tutto il mondo) all’ultima assemblea hanno respinto la proposta avanzata da alcuni soci di aumentare la trasparenza fiscale del colosso e-commerce, obbligandolo a pubblicare le tasse pagate in ogni paese. Stessa sorte è toccata alle risoluzioni che chiedevano indagini indipendenti sulle condizioni di lavoro, sulle relazioni sindacali e sui rapporti con i clienti finali.
Quando si parla di Esg occorrerebbe trattare anche questi argomenti e non parlare solo di emissioni di carbonio, ma curiosamente non c’è invece grande dibattito su certi temi.
C’è poi il problema dei rating o scoring Esg che è spesso totalmente opinabile. Chi decide cosa è “green” o “sostenibile” e cosa invece non lo è?
Dave Rolley, gestore di fondi di Loomis Sayles, in una conferenza di qualche mese fa, ha ricordato come un fornitore leader di questi rating aveva assegnato un rating “BBB” alla Russia e un rating “CCC” a General Motors, nonostante il piano estremamente ambizioso del colosso automobilistico di trasformarsi in un produttore leader di veicoli elettronici ecologici.
Rolley ha anche notato ironicamente che l'ultima volta che aveva controllato, il Ceo di General Motors, Mary Barra «non aveva invaso tre paesi».
Chi esprime spiccate preferenze Esg con questo andazzo deve avere chiaro, quindi, che in linea teorica che non è assolutamente detto che si trovi in portafoglio società che lo siano veramente nella sostanza o all’opposto potrebbe non vedere inclusi titoli interessanti, ma che per motivi spesso difficili da decifrare sono stati invece “bannati”.
Secondo l’associazione dei più importanti gestori di fondi d’investimento in Europa (Efama) è di dubbia reale applicazione la normativa entrata in vigore ad agosto (anche in Italia) anche per il disallineamento delle tempistiche, la mancanza di dati e per il fatto che siano state scritte in modo affastellato e complicato. E impossibili da comprendere al comune risparmiatore. Risultato: “…nei primi tempi, sarà comune che nessun prodotto di finanza sostenibile soddisferà pienamente le preferenze originariamente dichiarate da un cliente”.
Per questo motivo concordo pienamente con lei che la confusione in questa materia è ancora grande sotto il cielo se si prova solo un po’ a scavare solo un po’ sotto la crosta e si ha un po’ di senso critico.
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