Capitalismo” è termine che copre un’infinità di situazioni. Quella di Adam Smith era un’economia capitalistica, diversissima da quella negli Usa oggi o nell’Italia fra le due guerre; ci sono enormi differenze fra questi “capitalismi”, specie nel grado di concorrenza e nel rispetto di leggi e regolamenti che, anche a protezione dei più deboli, li animano. Chi difende il capitalismo deve distinguere tra le sue forme, poche delle quali giovano alla vita civile, mentre molte agiscono in senso opposto. Come la democrazia, anch’esso va coltivato con cura.

Nel 2018 l’assemblea dei soci di Tesla – che costruisce auto elettriche – ha concesso a Elon Musk (suo ceo e principale azionista) il diritto a ricevere circa il 10 per cento del capitale – 300 milioni di azioni – al raggiungimento di alcuni “ambiziosi” obiettivi economici.

Avendoli ottenuti, Musk vuole le azioni, ma i legali del piccolissimo azionista Richard Tornetta e altri, avevano già chiesto di annullare la delibera a Kathaleen McCormick, Chancellor della Court of Chancery del Delaware, sede di Tesla.

La giudice s’era già occupata di Musk nel 2022 quando egli, pentito d’essersi impegnato ad acquistare il 100 per cento di Twitter per 44 miliardi di dollari, cercava scappatoie legali, negategli però dalla giudice. Musk dovette così vendere azioni Tesla per circa 20 miliardi, facendo un pessimo affare su due fronti; le azioni Twitter oggi valgono la metà, mentre quelle di Tesla, che ha dovuto vendere, valgono molto più di prima.

Buyer’s remorse

Evidentemente in preda al “buyer’s remorse” Musk contava su quei 300 milioni di nuove azioni Tesla ma Tornetta & C. han sostenuto che la delibera del 2018 era viziata, anche perché i piani interni di Tesla prevedevano di raggiungere nello stesso anno quegli “ambiziosi” obiettivi, fissati proprio da Musk.

Nel board (consiglio di amministrazione) di Tesla c’erano poi troppi amici intimi del ceo, a lui legati anche da sostanziosi benefici finanziari. McCormick ha di nuovo bloccato Musk, annullando la delibera, su cui gli azionisti non avevano ricevuto informazioni adeguate, perché “unfair”.

Per Musk insofferente d’ogni regola, l’annullamento di accordi che ritiene liberamente sottoscritti fra parti indipendenti, era intollerabile. Ha quindi riconvocato l’assemblea Tesla per riapprovare la delibera e spostare la sede dal Delaware (stato democratico della costa est), al Texas, stato repubblicano del sud; è arrivato alla minaccia di sviluppare l’intelligenza artificiale in una sua nuova iniziativa, senza Tesla.

Chi, affezionato a un capitalismo evoluto, contava sulla bocciatura di tali proposte, constata che Musk, come un bimbo strepitante per avere i giocattoli, l’ha avuta vinta.

L’assemblea ha riapprovato la proposta del board, sempre troppo legato a Musk. Molti grandi investitori han votato contro, rilevando anche il grave conflitto d’interessi insito in quella minaccia; altri come Vanguard, il più grande istituzionale, l’hanno assecondato.

Ora si attende la nuova decisione di McCormick, cui gli avvocati di Tornetta – famelici anch’essi, pretendono 5 miliardi per il primo annullamento – chiedono di bocciare la nuova delibera. Nel frattempo, cresciuto il valore di mercato di Tesla il “premio” di Musk è arrivato a 75 miliardi; tale sbalorditiva cifra, che ha precedenti storici solo nei bottini di guerra, cui per certi versi somiglia, è pari ai salari di tutta una vita di 25mila lavoratori Usa.

Mutazione genetica

Va detto, per completare questo sconcertante quadro, che le minacce di Musk stanno inducendo il Delaware – premuto dagli avvocati locali, timorosi di perdere lavoro – ad annacquare le norme a difesa degli investitori dagli abusi di maggioranze e management. Esso fin qui univa norme ben accette alle imprese con una corporate governance da paladino degli investitori; ora invece permetterà accordi segreti fra società e azionisti importanti, e un singolo socio potrà porre il veto su assunzioni o licenziamenti di manager. Così il Delaware accontenta le imprese ma esautora il board e ne incrina il rapporto fiduciario con gli azionisti.

Questa mutazione genetica del capitalismo è una grave minaccia sul nostro futuro. Da tempo esso non è più il sistema che conciliò, nel Secondo dopoguerra, lo sviluppo (civile ed economico), col mantenimento della coesione sociale; entrambe continueranno a subire, come avviene da 40 anni, le evoluzioni di un capitalismo che almeno negli Usa va ormai definito predatorio. Chi parla di liberismo selvaggio aggiusti la mira se vuol centrare il bersaglio grosso.

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