La decisione della Bce di tagliare i tassi dello 0,25 per cento a giugno ma allo stesso tempo di innalzare il tasso di inflazione previsto è stata intempestiva, perché presa alla vigilia delle elezioni europee che si sapeva avrebbero potuto mutare gli equilibri politici in Ue
Nell’ultima riunione di giugno la Bce aveva deciso di tagliare i tassi dello 0,25 per cento per la prima volta dopo tanti anni, ma allo stesso tempo aveva innalzato il tasso di inflazione previsto, allungando al 2026 la prevista discesa al di sotto al 2 per cento.
Avendo previsto una dinamica dei prezzi ostinatamente al di sopra del proprio obiettivo, la Bce aveva dichiarato esplicitamente che il taglio di giugno non segnava l’inizio di una fase di discesa dei tassi, che non ci sarebbero stati ulteriori tagli nella riunione di luglio, e che anche nelle riunioni dopo l’estate ogni decisione sarebbe dipesa dai dati economici futuri, lasciando aperta la possibilità in via di principio che quello di giugno potesse essere l’unico taglio del 2024.
L’incoerenza creata con la decisione di tagliare a giugno, rivedendo però al rialzo l’inflazione stimata, nonché la mancanza di indicazioni sulla traiettoria dei tassi per il resto dell’anno, avevano colto di sorpresa gli investitori che si aspettavano una maggiore chiarezza, aumentando in questo modo la volatilità dei mercati.
Una decisione, quella di giugno, e una mancanza di chiarezza, oltremodo intempestiva perché presa alla vigilia delle elezioni europee, che si sapeva avrebbero potuto mutare gli equilibri politici in Europa. La caduta dei consensi dei socialisti tedeschi del cancelliere Olaf Scholz, superati anche dall’estrema desta di AfD, e il tracollo del partito del presidente Emmanuel Macron, che ha convocato a sorpresa le elezioni politiche anticipate per il prossimo 30 giugno e 7 luglio, ha aumentato ulteriormente la volatilità dei mercati.
Un errore
La Bce, che si riunirà il prossimo il 18 luglio per le decisioni di politica monetaria, pochi giorni dopo il risultato del voto in Francia e la nomina della nuova Commissione europea, si troverà così ad operare dovendo soddisfare molteplici vincoli, alcuni di natura politica, altri auto-inflitti, con il rischio di imporre un costo alle economie dell’Eurozona che si sarebbe potuto evitare.
Avendo dichiarato preventivamente che a luglio non ci saranno tagli, e avendo rivisto al rialzo le previsioni sulla traiettoria dell’inflazione, di fatto la Bce si è legata le mani per la prossima riunione, non potendosi smentire né rivedere la stima per l’inflazione dopo solo un mese dalla riunione di giugno; ed è più che probabile che si asterrà comunque da qualsiasi decisione o dichiarazione sulla futura traiettoria dei tassi non volendo che la politica monetaria possa essere vista con favore o criticata da qualunque forza politica vinca le elezioni francesi, dai nuovi componenti della Commissione europea o dai governi che li indicheranno.
Secondo le stime di consenso, l’inflazione sta rallentando stabilmente: la previsione media per quest’anno e il prossimo è di, rispettivamente, 2,4 e 2,1 per cento. Il raggiungimento dell’obiettivo della Bce è ormai in vista. Le previsioni inoltre vengono da mesi regolarmente riviste al ribasso perché se è vero che il rischio recessione è scongiurato, la decisa ripresa dell’attività economica che era attesa per quest’anno tarda a materializzarsi e viene rinviata al 2025.
La stagnazione cinese e la guerra commerciale latente con la Cina cominciano a pesare sull’economia tedesca, la maggiore dell’eurozona: a maggio le esportazioni della Germania verso quel paese hanno subito un crollo record del 14 per cento. L’indice di fiducia dei consumatori europei, sebbene in leggera ripresa, è agli stessi livelli di quattro anni fa, quando si era ancora in piena pandemia; e la domanda europea è trainata dai consumi pubblici, che però incontreranno presto i vincoli di bilancio.
L’inflazione misurata con i prezzi alla produzione è negativa da mesi; quella dei consumi ha una dinamica più lenta, anche perché molti prezzi sono rivisti poco di frequente (assicurazioni, affitti, spese sanitarie, tariffe).
L’enfasi che la Bce pone sulla dinamica salariale è fuorviante ai fini dell’inflazione futura perché la domanda debole impedirà alle imprese di scaricare sui prezzi i maggiori costi. Aspettare l’inizio dell’autunno per eventualmente annunciare l’inizio della fase di discesa dei tassi si può dunque rivelare un grave errore perché arriverebbe troppo tardi per sostenere la crescita economia che per allora potrebbe essere entrata in una fase di stagnazione, senza quindi che ci sia il rischio di un’accelerazione dell’inflazione. Non averlo fatto nella riunione di giugno costituirebbe un boomerang per la Bce.
Baricentro spostato
La probabile vittoria delle destre nelle elezioni francesi, e in generale lo spostamento del baricentro politico in Europa verso governi che propugnano nazionalismo e populismo porterà inevitabilmente a politiche di bilancio che privilegiano aumenti di spesa corrente improduttiva, riduzioni di imposte fiscalmente insostenibili, e trasferimenti alla ricerca del consenso delle fasce sociali che sostengono le forze politiche al governo.
Non si intravvede il rischio di una crisi finanziaria del debito pubblico, come quella del 2011: è però più che probabile che i disavanzi pubblici tenderanno a rimanere elevati, sovrapponendosi al problema dello smaltimento dell’enorme debito pubblico accumulato per contrastare il Covid, nonché delle risorse necessarie per finanziare la difesa, la transizione ambientale e i maggiori costi del welfare dovuti all’invecchiamento della popolazione.
Proprio la settimana scorsa la Bce ha pubblicato un rapporto in cui stima mediamente in 5 per cento del Pil l’aggiustamento fiscale dei paesi dell’Eurozona necessario a mantenere il debito allo stesso livello del 2023, ridurlo successivamente al 60 per cento, nonché finanziare ambiente, welfare e difesa: significa aumentare le imposte o ridurre le spese per ben 720 miliardi.
Per l’Italia la riduzione stimata sarebbe di quasi il 7 per cento del Pil. Seppure spalmato su molti anni si tratta di riduzioni dei deficit francamente irrealistiche, soprattutto tenuto conto dei nuovi equilibri politici in Europa, che spingono in una direzione opposta. Pensare che la Commissione possa imporre ai paesi il rientro del debito pubblico tramite il Patto di Stabilità, presuppone la sua capacità di imporlo anche a governi con un grande peso politico come la Francia. Gli investitori non lo credono possibile e hanno aumentato il premio per il rischio che richiedono per detenere il debito francese, oltre che quello italiano e spagnolo.
Per la Bce è un problema in più perché l’aumento dei tassi a lungo termine sui titoli di stato che ne consegue rallenta l’attività economica, riduce il valore di mercato delle banche, impattando indirettamente sull’erogazione del credito, e aumenta il rischio finanziario diminuendo la propensione a investire.
Una forma di restrizione
Il rischio politico costituisce di fatto una forma di restrizione finanziaria, che la Bce non vuole contrastare tagliando i tassi per evitare di avallare politiche fiscali espansive. Anche per questa ragione, non aver avviato la fase di discesa dei tassi prima che emergesse il rischio politico appare a posteriori come un serio errore.
Il tasso di cambio dell’euro non è un obiettivo statutario della Bce. Tuttavia, si ha l’impressione che la decisione di rinviare l’eventuale avvio della fase di discesa dei tassi sia stata motivata anche dalla volontà di non anticipare una decisione analoga da parte della Federal Reserve per non indebolire ulteriormente il tasso di cambio dell’euro rispetto al dollaro, che si è già deprezzato del 3 per cento da inizio anno, nel timore che il deprezzamento aumenti l’inflazione importata.
D’altro canto, l’indebolimento dell’euro è un modo per sostenere la domanda aggregata visto l’importante contributo delle esportazioni alla crescita del Pil di molti paesi europei. Quale che sia l’effettiva politica della Bce nei confronti del tasso di cambio, costituisce un’ulteriore fonte di incertezza sulla dinamica dei tassi nell’Eurozona, che certamente non aiuta la ripresa economica.
L’unica certezza è che il cammino della Bce sulla strada della stabilizzazione dei prezzi sta diventando sempre più stretto e accidentato, aumentando il rischio che la stabile ripresa economica si dimostri elusiva.
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