Il Governo festeggia per tasso di occupazione da record (che non è merito suo), ma non si deve trattare di un punto d’arrivo: il distacco con il resto dell’Ue è ancora enorme
Nella suo discorso in apertura del primo consiglio dei ministri dopo la pausa estiva, Giorgia Meloni ha sottolineato ancora una volta che, nonostante le difficoltà che la nostra economia sta attraversando, i numeri sull’occupazione sono ottimi.
È una narrazione che viene portata avanti da mesi dal Governo, in molti casi in maniera fuorviante. A maggio, per esempio, il Sottosegretario alla Presidenza Fazzolari dichiarò che il Governo aveva completamente invertito la tendenza sull’economia e sull’occupazione.
Questa versione dei fatti gioca su una mezza verità: è effettivamente vero che, da quando raccogliamo i dati sul tasso di occupazione, non si è mai toccato un livello così alto, ma sarebbe sbagliato sostenere che il merito sia dell’attuale governo.
Come sottolineato da Carlo Canepa su Pagella Politica e confermato dai dati Istat, la tendenza positiva dell’occupazione è in realtà in corso da ben prima che si insediasse il Governo.
Lo stesso è avvenuto per la disoccupazione, anche se non è ancora arrivata ai minimi storici. Il livello però è decisamente più basso rispetto agli standard cui eravamo abituati prima della pandemia.
A giugno, il tasso di disoccupazione era pari al 7,4 per cento, contro il 9,5 di gennaio 2020. Anche in questo caso, la tendenza è in discesa, ma da prima che si insediasse il Governo attuale. Nessuna inversione di tendenza, dunque, ma questo non significa che i dati che arrivano dal mercato del lavoro non siano un’ottima notizia.
Per capire davvero se le cose vanno bene, però, bisogna andare oltre i dati generali e concentrarsi su chi sono questi nuovi occupati.
Va detto innanzitutto che una parte molto rilevante dei nuovi occupati è stata assunta a tempo indeterminato. Degli 1,3 milioni di nuovi dipendenti, solo 310 mila sono stati assunti con contratti precari.
Più donne al lavoro
Va poi osservato il lato demografico. Le donne sono state coinvolte nella crescita occupazionale tanto quanto gli uomini. Dei circa 1,5 milioni di occupati in più rispetto all’inizio del 2021, 829 mila sono uomini e 648 mila sono donne.
Se si considera in termini relativi, il numero di donne al lavoro è aumentato del 7 per cento, contro il +6,5 degli uomini. Naturalmente sono tassi di crescita ancora insufficienti per chiudere il divario occupazionale (anzi, il gap tra tasso di occupazione maschile e femminile è passato da 17,2 a 18,4 punti percentuali), ma vanno accolti positivamente rispetto alle tendenze precedenti la pandemia.
Troppi giovani disoccupati
Anche dal lato dei giovani le notizie sono positive: rispetto all’inizio del 2021, a giugno 2023 gli occupati con meno di 25 anni sono il 31 per cento in più, il tasso di disoccupazione è calato al 21,4 per cento dal 25,5 di due anni e mezzo prima e il numero di inattivi è calato del 3 per cento.
In generale, a beneficiare dell’aumento dell’occupazione, almeno in termini relativi, sono stati soprattutto i giovani, come mostra anche il +14 per cento di occupati tra 25 e 34 anni. Se si guarda in termini assoluti, però, sono cresciuti soprattutto gli occupati con più di 50 anni (+769 mila), anche a causa del sempre maggiore invecchiamento della popolazione.
Proprio questo dato fa capire come, anche se la crescita per i giovani è più rapida in termini relativi, il terreno da recuperare è moltissimo. In Italia si festeggiano i record sull’occupazione come un punto di arrivo, ma è fondamentale considerarli un punto di partenza, perché la strada da fare per recuperare è davvero lunga. Nonostante i numeri senza precedenti, il tasso di occupazione tra 20 e 64 anni in Italia resta di 10 punti percentuali inferiore rispetto alla media Ue e di 15 rispetto alla Germania. Nel riportare i nostri successi, sarebbe sempre bene metterli sempre in prospettiva con questa statistica.
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