Gli sconti sulle imposte valgono solo pochi euro per gran parte dei lavoratori dipendenti. Per i pensionati con assegno al minimo c’è la beffa dell’aumento di 3 euro al mese. E sugli annunciati tagli delle tasse pesa il probabile flop del concordato biennale
Aumentare le tasse? Non se ne parla. Sacrifici per famiglie e lavoratori a basso reddito? Mai e poi mai. Partita con queste granitiche certezze, alimentate dalle anticipazioni sapientemente centellinate dalla propaganda di governo, la legge di Bilancio appena depositata in parlamento rischia di essere ricordata come la manovra delle mance. Il gioco di anticipi, scaglioni, prelievi e detrazioni che corre da un capo all’altro del testo produce pochi effetti concreti e molte illusioni ottiche.
È vero, il taglio del cuneo fiscale, seppure articolato in modo diverso, è confermato. E così pure la riduzione delle aliquote Irpef da quattro a tre. Questo però era l’obiettivo minimo, la soglia di partenza di una manovra che aveva ben altre ambizioni, esibite in settimane di dichiarazioni a favor di social e di telecamere.
E invece, se si esaminano nel dettaglio, per esempio, le misure in materia di salari, imposte personali e previdenza, cioè i settori che incidono sulla platea più ampia di cittadini, ci si trova davanti a una lunga lista di micro interventi che cambiano di poco lo scenario. In altre parole, il saldo finale, in positivo o in negativo, ammonta a una manciata di euro.
Minime promesse
L’esempio clamoroso è quello delle pensioni minime, che secondo la legge di Bilancio aumenteranno di circa 3 euro, da 614,7 a 617,9 euro. «Vogliamo continuare nell’incremento delle pensioni minime per arrivare a un assegno di mille euro mensili», ha dichiarato più volte il vicepremier e leader di Forza Italia, Antonio Tajani. Un obiettivo ambizioso e anche molto distante. Di questo passo, quello previsto dalla manovra presentata dal governo di centrodestra, il traguardo verrà tagliato tra 127 anni. A conti fatti, quindi saranno i nipoti dei nostri nipoti a godere di questo ricco (si fa per dire) vitalizio.
Va detto che su questo punto Forza Italia ha già lasciato intendere che darà battaglia in parlamento. Sarà dura, viste le scarse risorse a disposizione e le prevedibili resistenze del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. I margini di miglioramento non mancano e con qualche sforzo forse sarà possibile aumentare l’andatura: mille euro tra 50 anni? Tra 30? Staremo a vedere.
Sgravi per pochi
Sempre su mille euro, questa volta all’anno, si misura anche il bonus per i lavoratori dipendenti con redditi tra i 20 e i 32mila euro annui grazie al nuovo meccanismo di calcolo del cuneo fiscale. Questo almeno è quanto viene accreditato dalle fonti di governo. La realtà dei fatti sembra però smentire gli annunci di queste ore. Secondo una dettagliata analisi pubblicata dal Sole 24 Ore, per chi guadagna tra i 23 e i 35mila euro lordi l’anno, i mille euro di maggior guadagno equivalgono praticamente a quanto riconosciuto già quest’anno.
Andrà un po’ meglio, sempre secondo il Sole 24 Ore, per chi ha un reddito lordo intorno ai 37mila euro all’anno, che avrà una busta paga più pesante di circa 900 euro annui, un’ottantina di euro mensili. Per effetto del nuovo meccanismo di calcolo, l’incremento di reddito si riduce poi velocemente: supera di poco i 450 euro all’anno per chi guadagna 40mila euro e si azzera a 43 mila euro lordi.
Tirando le somme, si può dire che lo sbandierato (dal governo) bonus garantito dal taglio del cuneo in versione riveduta e corretta finirà per favorire una platea molto più ristretta rispetto al milione di contribuenti che secondo il ministro Giorgetti sarebbero andati ad aggiungersi a quanti, circa 13 milioni, già ne hanno beneficiato quest’anno. È un passo avanti, certo, ma siamo lontani dalla svolta annunciata nei giorni scorsi. Senza dimenticare che questo nuovo meccanismo produce anche un altro effetto che va in senso contrario rispetto alle intenzioni, quelle dichiarate, dal governo.
Da settimane, infatti, il mantra della propaganda annunciava come imminente un’energica revisione delle spese fiscali, a cominciare dagli sconti, sotto forma di detrazioni e deduzioni, che spesso favoriscono lobby politicamente influenti al prezzo di una riduzione del gettito per lo Stato. Ebbene, la riforma è rimasta sulla carta. In compenso, il taglio del cuneo fiscale dall’anno prossimo funzionerà in parte grazie all’introduzione di una nuova categoria di detrazioni. Tutto il contrario, insomma, di quanto promesso dal governo.
Detrazioni ristrette
Sul fronte più ampio degli sconti fiscali è invece arrivato, com’era nelle attese, un nuovo giro di vita sulla possibilità di detrarre dalle imposte una lunga serie di spese. L’intervento riguarda chi guadagna oltre 75mila euro l’anno, in base anche al numero di figli a carico. La scure non colpirà le spese sanitarie e per i farmaci e, in parte, gli oneri per il pagamento degli interessi passivi sui mutui. Con questa stretta il governo punta a risparmiare un miliardo. Mancano i soldi, invece, per ridurre dal 35 al 33 per cento la seconda aliquota Irpef, quella sui redditi compresi tra 28 e 50mila euro. L’esecutivo puntava a finanziare quest’ultima misura con i proventi del concordato biennale destinato, con tanto di condono quasi tombale, ai lavoratori autonomi. Per avere dati precisi bisognerà attendere fino al 31 ottobre, quando scadono i termini per l’adesione, ma forse anche più in là, visto l’annunciato sciopero dei commercialisti. La previsione, però, è che l’incasso sarà di gran lunga inferiore rispetto alle attese del governo, forse un paio di miliardi invece di quattro. Un magro raccolto che allontanerebbe ancora l’annunciato taglio dell’Irpef.
Le schede sulla manovra
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