La Lega insiste su Quota 41, che costa un miliardo l’anno. Nessuno spazio per l’aumento dell’assegno minimo chiesto da Forza Italia. Allo studio altri tagli per diminuire la spesa per le casse pubbliche. Tra le ipotesi il cambio dei requisiti per il trattamento d’anzianità
A meno di tre giorni dal vertice di maggioranza che venerdì prossimo aprirà ufficialmente il cantiere della prossima manovra di bilancio, le pensioni sono l’esca preferita dai partiti di governo in cerca di visibilità e titoli di giornale. Ce n’è per tutti i gusti, per tutte le età e per tutti i ceti. E non è certo una sorpresa, visto che il tema della previdenza tocca gran parte del corpo elettorale, dai pensionati attuali a quelli prossimi venturi.
Il fatto è che i conti pubblici lasciano ben pochi margini di manovra per dare forma concreta agli slogan della propaganda e quindi le chiacchiere estive rischiano di restare tali. Era già successo l’anno scorso quando, per esempio, la Lega ha dovuto rimangiarsi la promessa elettorale di “superare la riforma Fornero” e “introdurre quota 41”. Vale lo stesso discorso per Forza Italia ancora impegnata a cavalcare senza risultati concreti quello che per un ventennio è stato un cavallo di battaglia di Silvio Berlusconi, l’aumento delle pensioni minime.
La giostra delle proposte
Il copione di quest’estate prevede poche novità sostanziali. La giostra delle proposte, spesso semplici ballon d’essai destinati a sgonfiarsi nel giro di poche ore, gira a tutta velocità già da settimane. La Lega insiste su quota 41, che significa pensione garantita con 63 anni d’età e 38 di contributi. Il partito di Matteo Salvini deve far dimenticare al proprio elettorato il fiasco del 2023, quando al posto della tanto sbandierata quota 41 fu costretto a incassare quota 103 (uscita anticipata dal lavoro con 62 anni d’età e 41 di contributi) e per di più depotenziata, cioè con penalità varie per chi lascia il lavoro. Queste correzioni in corsa, com’era prevedibile, hanno avuto l’effetto di scoraggiare gli aspiranti pensionati.
Flop di Quota 103
Nei primi sei mesi del 2024, le domande per quota 103 sono state solo 7mila, meno della metà di quelle previste dal governo. A rallentare la corsa al pensionamento è stato soprattutto l’allungamento delle cosiddette finestre d’uscita, cioè il periodo di attesa tra il raggiungimento dei requisiti d’età richiesti e l’effettivo collocamento a riposo. Per i lavoratori delle aziende private siamo passati da 3 a 7 mesi e per i dipendenti pubblici da sei a nove mesi. Inoltre, con le modifiche introdotte con la manovra 2024, l’assegno viene calcolato per intero col metodo contributivo, un fatto che nella maggior parte dei casi comporta un netto calo dell’importo della pensione effettiva.
A questo punto è facile comprendere per quale motivo il governo non esclude la possibilità di prorogare nel 2025 la finestra di quota 103, che andrebbe altrimenti a chiudersi a fine anno. Il costo per le casse pubbliche sarebbe infatti limitato, visto che la scarsa appetibilità del provvedimento.
Scarse anche le adesioni a Opzione Donna, una forma di pensionamento anticipato riservato ad alcune categorie di lavoratrici, tra cui dipendenti o licenziate da aziende in crisi, con requisiti d’età variabili da 61 a 59 anni.
Come per quota 103, le condizioni imposte per accedere all’assegno pensionistico hanno ridotto di molto le adesioni e quindi anche la spesa a carico del bilancio pubblico: nei primi sei mesi le domande accolte Opzione Donna sono state 2.107 contro le oltre 11 mila del 2023.
Tra l’altro, secondo i dati diffusi dall’Inps, oltre 800 delle 2.100 pensioni erogate garantiscono un reddito davvero esiguo, inferiore ai mille euro al mese.
Zero risorse
A dispetto di tutte le promesse dei partiti, quindi, il governo con l’ultima manovra è riuscito a restringere il più possibile i varchi all’uscita anticipata dal lavoro rispetto ai 67 anni, con 20 di contributi, che rappresentano la soglia ordinaria per il pensionamento. Quest’anno le risorse a interventi sulle pensioni sembrano prossime allo zero, con il Tesoro alla caccia disperata di 25 miliardi per far quadrare i conti della manovra, a cominciare dalla promessa proroga del taglio del cuneo fiscale.
Quota 41 chiesta dalla Lega potrebbe costare fino a un miliardo, decisamente troppo vista l’aria che tira dalle parti del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. L’alternativa sarebbe mantenere l’etichetta di Quota 41 a un provvedimento con stringenti requisiti supplementari rispetto a età e contributi. Il risultato, ancora una volta, sarebbe quello di falcidiare la platea degli interessati.
A conferma che nelle stanze del Tesoro si ragiona di previdenza solo con l’obiettivo di tagliare i costi per lo stato, l’ultima ipotesi in ordine di tempo che avrebbe preso forma tra i tecnici del governo è quella di cambiare le condizioni per accedere alla pensione d’anzianità. In base alle regole in vigore si può lasciare il lavoro a 62 anni con 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, che diventano 41 anni e 10 mesi per le donne. Ebbene, secondo indiscrezioni, si sta pensando di aumentare di alcuni mesi, fino a sette, i contributi richiesti.
Solo ipotesi, certo, che saranno oggetto di discussioni nelle prossime settimane. Quanto basta, però, per dimostrare che le richieste dei partiti per nuovi varchi verso le uscite anticipate dal lavoro non entreranno nel menu della prossima manovra.
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