La spesa per le pensioni in Italia continua ad aumentare e nell’arco dei prossimi dieci anni, per effetto dell’invecchiamento della popolazione e del calo demografico, il bilancio dell’Inps è destinato ad andare in rosso. Dall’avanzo di 23 miliardi registrato nel 2023 si arriverà a una situazione patrimoniale in negativo per 45 miliardi nel 2032.

Questa in estrema sintesi la previsione e le cifre illustrate ieri dal presidente del Comitato di indirizzo e vigilanza (Civ) dell’Inps, Roberto Ghiselli, sentito in audizione dalla Commissione di controllo parlamentare sugli enti previdenziali. Numeri che non potevano non fare scalpore, a tal punto che lo stesso istituto previdenziale ha reagito a stretto giro con una nota per spiegare che i dati forniti dal Civ “non sono inediti, ma valori previsionali di medio periodo (…) in linea con le previsioni della programmazione di bilancio dello Stato”.

Resta il fatto che il sistema pensionistico nostrano resta esposto ai venti della demografia, che di anno in anno si fanno sentire sempre di più sui conti dell’Inps, di pari passo con l’aumento della popolazione anziana. Nel 2050, ha detto proprio ieri il presidente dell’Inps, Gabriele Fava, i cittadini con più di 65 anni di età saranno il 35 per cento della popolazione italiana. Nel lungo termine, quindi, uno degli aspetti di maggiore preoccupazione è rappresentato dal rapporto tra lavoratori attivi e pensionati, su cui influisce da una parte il continuo calo delle nascite e dall’altra l’aumento della speranza di vita.

Giovani a rischio

L’incertezza riguarda in particolare, scrive il Civ, “l’adeguatezza delle future prestazioni pensionistiche legata principalmente alle condizioni reddituali maturate nella carriera lavorativa più che al sistema di calcolo”. In parole povere, occupazioni saltuarie e poco pagate, sempre più frequenti soprattutto tra i giovani, non sono in grado di garantire una pensione decente. Nel frattempo, l’Inps deve far fronte anche ad altri oneri imprevisti. Nel 2023, evidenzia la relazione del Civ, la spesa previdenziale ha raggiunto i 304 miliardi con un aumento del 7,4 per cento rispetto all’anno precedente. Un aumento che si spiega in gran parte con l’adeguamento degli assegni per tener conto della fiammata dell’inflazione. Questo trend è destinato a proseguire anche nei prossimi anni. Lo spiega il Documento di economia e finanza (Def) pubblicato ad aprile dal governo, che stima un incremento della spesa pensionistica del 5,8 per cento nel 2024 e del 2,8 per cento in media nel successivo triennio.

In prospettiva, però, l’esecutivo non rinuncia all’ottimismo, visto che, in rapporto al Pil, gli oneri per la previdenza sono previsti in crescita quest’anno al 15,6 per cento rispetto al 15,3 per cento del 2023, ma nel 2027 non dovrebbero superare il 15,5 per cento. Previsioni che naturalmente sono condizionate anche dall’andamento del Pil. Se quest’ultimo facesse segnare un rallentamento rispetto alle stime governative, il peso delle pensioni lieviterebbe di conseguenza.

Lo chiede Bruxelles

Il tema della spesa crescente per le pensioni è stato affrontato anche da uno specifico paragrafo delle raccomandazioni formulate mercoledì dalla Commissione europea all’Italia, così come a tutti gli altri paesi dell’Unione europea. “La spesa per le pensioni è destinata a crescere almeno fino al 2040”, si legge nel testo diffuso da Bruxelles, che quindi non condivide l’ottimismo del governo di Roma.

La Commissione individua anche una causa supplementare di questo andamento preoccupante dei conti previdenziali. La crescita della spesa, trainata dall’invecchiamento della popolazione, è stata “esacerbata” (cit) dalle misure introdotte negli anni scorsi per favorire l’uscita anticipata dal lavoro. Il riferimento evidente è a provvedimenti come “Quota 100”, introdotta nel 2019 dal governo Lega-Cinque Stelle.

Del resto, anche il Def segnala che le nuove pensioni liquidate nel periodo 2019-2023 è stato “significativamente superiore” rispetto a quelle registrate in media nei due anni precedenti. In prospettiva, sottolinea il rapporto della Commissione, è ancora possibile contenere l’aumento della spesa, “a patto di applicare pienamente la riforma pensionistica del 2011” (meglio conosciuta come Legge Fornero), limitando allo stesso tempo le possibilità di andare in pensione prima del tempo.

C’è anche un'altra politica, però, che può contribuire a limitare gli effetti nefasti dell’invecchiamento della popolazione. L’indicazione arriva ancora dalla Commissione europea che fa sue le conclusioni degli studiosi che ritengono indispensabili provvedimenti per favorire il lavoro femminile e ad aumentare le possibilità d’impiego soprattutto di livello medio alto per i giovani. Vale lo stesso per i migranti che in numero sempre maggiore potranno contribuire a tappare i buchi, anche in termini di contributi previdenziali, causati dalla diminuzione dei lavoratori italiani.

Questi, in breve, prospettive e consigli che coprono un orizzonte lungo. Nei tempi brevi, invece, quelli della prossima manovra finanziaria, tornano ad aleggiare proposte che vanno in senso contrario alle raccomandazioni dell’Unione europea. Nella maggioranza di governo, soprattutto tra le fila della Lega e di Forza Italia, c’è chi ancora insiste per prorogare “Quota 103” o addirittura per aprire le porte a quota 41, cioè la pensione con 41 anni di contributi a prescindere dall’età. Uno stress supplementare per i bilanci dell’Inps. E anche per i conti pubblici, che già faticano a mantenere le altre promesse, su cuneo fiscale e Irpef, messe nero su bianco dalla maggioranza di governo.

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