Prima o poi il principio di realtà si impone alla politica, finanche a quella più demagogica che la fa da padrona, soprattutto a destra. Primo: il governo deve trovare decine di miliardi, soprattutto per gli errori commessi da Giorgia Meloni nella negoziazione del nuovo Patto di stabilità (quando è stata incapace di fare un fronte comune con la Francia e la Spagna) e perché ci sarà presto una nuova Commissione, più conservatrice della precedente e dominata da falchi in economia.

Secondo: non si possono fare ulteriori tagli, se non in misura del tutto marginale; contrariamente a quel che si sente raccontare, in Italia la pubblica amministrazione è sottofinanziata, rispetto agli altri paesi avanzati abbiamo meno personale, perlopiù anziano, e mal pagato; nell’istruzione e ricerca siamo agli ultimi posti nell’Ocse; e nella sanità pure siamo al di sotto della media, peraltro con conseguenze drammatiche per la vita dei cittadini.

È evidente che tutti questi settori avrebbero bisogno di essere finanziati e rafforzati, non tagliati come si è fatto finora (da notare che, dal 2001 al 2019, salvo un solo anno, l’Italia ha sempre avuto un avanzo di bilancio). Così come occorre investire sulle infrastrutture, nell’ambiente e nella cura del territorio, anche perché i fondi del Pnrr non si ripeteranno di certo, con questi chiari di luna in Europa.

Terzo, in Italia esistono profonde ingiustizie fiscali: ed è qui che si possono reperire le decine di miliardi di cui abbiamo bisogno. La destra su questo è confusa, perché il lassismo fiscale è sempre stata la sua bandiera, in cui trova la base del suo consenso: ne derivano dichiarazioni improvvide, un susseguirsi di proposte e ipotesi in ordine sparso, prive di respiro strategico e peraltro poco praticabili da questa maggioranza, che alla fine non fanno che accrescere la confusione.

Tre proposte

Le opposizioni hanno la possibilità di mettere in crisi il discorso della destra, a condizione di avere le idee chiare e di sapere ingaggiare su questo una grande battaglia nel paese: politica, sociale e culturale.

Gli interventi (principali) sono tre. Primo: occorre superare la diversità di trattamento fra lavoratori autonomi e dipendenti, e quella fra redditi tassati in modo progressivo e redditi tassati in modo piatto: come ha ben spiegato su queste colonne Alessandro Santoro, vanno quindi aboliti il regime forfettario per gli autonomi e (perlomeno oltre una certa soglia) la cedolare secca sugli immobili.

Secondo, occorre andare fino in fondo nella lotta all’evasione, concentrandosi in particolare sull’Irpef degli autonomi (a fronte di un recupero Iva grazie alle innovazioni tecnologiche e ai provvedimenti degli anni passati, molti hanno dichiarato margini molto bassi, in questo modo peraltro tenendosi sotto la soglia del forfettario).

Terzo, va introdotta una tassa sui grandi patrimoni. Come mostrato da uno studio di diversi economisti (Dalle Luche, Guzzardi, Palagi, Roventini, lo stesso Santoro), in Italia oggi il 7% più ricco della popolazione, soprattutto per effetto delle tassazioni piatte sui loro redditi da capitale, finisce per pagare aliquote più basse del restante 93%: il sistema diventa quindi regressivo!

Questa situazione va sanata: il modo più equo e ragionevole è una tassazione sui grandi patrimoni, progressiva e concentrata su questa minoranza di contribuenti. Secondo le stime, con una misura di questo tipo si potrebbero recuperare fino a 30 miliardi l’anno.

Del resto, di una tassa sui grandi patrimoni ormai si discute in tutto il mondo, nell’Unione europea con la piattaforma Tax the Rich e nel G20, e non solo a sinistra (si veda la Francia): perché il problema non è solo italiano e mette a rischio ormai anche la crescita economica e la tenuta delle democrazie.

In Italia il Partito democratico, con la segreteria di Elly Schlein, sta prendendo su questo una posizione chiara: è una battaglia che si può vincere, perché va a favore della stragrande maggioranza degli italiani e mette a nudo il doppio gioco della destra.

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