Giorni e giorni a spiegare che no, non c’è nessuna ipotesi di imporre balzelli supplementari alle aziende che da anni fanno utili a palate, a dire che, semmai, si potrà ipotizzare una qualche forma (mai specificata, in verità) di contributo al bilancio nazionale. Ed ecco che nel pomeriggio di giovedì 3 ottobre, intervenendo all’evento Bloomberg Future of Finance Italy, Giancarlo Giorgetti ha invertito all’improvviso la rotta evocando anni bui, i prossimi, con tasse in aumento per tutti, ma proprio tutti. Verranno colpiti «i profitti e i ricavi», ha scandito il ministro dell’Economia parlando del Piano strutturale di bilancio che il governo ha appena recapitato al Parlamento.

Questa la premessa, piuttosto vaga. Subito dopo è arrivato l’affondo, un paio di frasi che hanno gettato nel panico la Borsa, con l’indice che in meno di venti minuti, tra le 14 e le 14 e 20 ha perso quasi 400 punti, circa l’1,3 per cento, per poi chiudere in ribasso dell’1,5 per cento, il risultato peggiore tra tutti i mercati europei. Ma ecco le parole di Giorgetti.

«Sarà uno sforzo che l’intero Paese deve sostenere, ovvero individui, ma anche società piccole, medie e grandi», ha detto il ministro descrivendo l’impegnativo percorso di risanamento dei conti descritto nel piano strutturale. Per poi aggiungere che «non è corretto parlare di extraprofitti, ma di andare a tassare i profitti a chi li ha fatti».

Infine, il discorso del titolare del Mef è approdato agli ipotizzati contributi volontari, che però, dice Giorgetti, non esistono, perché «le aziende non fanno beneficenza». Il ministro ha anche aggiunto che «andremo a tassare i giusti profitti, gli utili determinati in modo corretto e sono convinto che alla fine troveremo una soluzione equilibrata». Frasi, queste ultime, che sembrano scelte per rassicurare l’uditorio. Troppo tardi, perché è bastato tirare in ballo tasse e sacrifici per scuotere il mercato azionario e provocare qualche sbandamento tra i partiti della maggioranza.

Arrivano i pompieri

Federico Freni, leghista come Giorgetti e sottosegretario al Mef, si è precipitato a gettare acqua sul fuoco smentendo che ci siano nuove imposte allo studio. «Non fanno parte del Dna di questo governo», ha detto Freni. Mentre il vicepresidente dei deputati azzurri, Raffaele Nevi ha ribadito che Forza Italia «è sempre stata contraria ad innalzare la tassazione».

Anche il Mef, in serata ha precisato che non ci saranno nuove tasse sugli individui «sforzo solo da grandi imprese», recita una nota del ministero dell’Economia. Ovviamente, a cose fatte, la maggioranza proverà a derubricare il sorprendente discorso del ministro dell’Economia al rango di semplice infortunio verbale. Qualcosa tipo “frasi dal sen fuggite”. E in effetti Giorgetti non è nuovo ad affondi rigoristi seguiti a stretto giro da mezze retromarce e chiarimenti.

Se fosse così, però, se davvero l’intemerata del ministro è andata oltre le intenzioni dell’oratore, allora l’evento segnala una volta di più lo stato semi confusionale di un esecutivo, diviso al suo interno come mai prima d’ora sulle misure da prendere per chiudere il cerchio di una manovra che si annuncia ad alto grado di difficoltà, nonostante le rassicurazioni diffuse a piene mani a proposito del Pil che cresce e le entrate tributarie da record.

Da tempo è in corso la caccia alle coperture per mantenere le promesse e soddisfare le molteplici richieste che arrivano dalle diverse componenti della maggioranza. Un indice chiaro delle difficoltà del governo arriva proprio dal fronte delle imposte, con il decreto Omnibus che di fatto apparecchia un condono tombale a favore dei lavoratori autonomi per convincerli ad aderire al concordato preventivo biennale appena introdotto dalla riforma fiscale messa a punto dal viceministro dell’Economia, Maurizio Leo.

Il problema è che il governo contava su un incasso di almeno un paio di miliardi dal concordato che invece, come molti avevano previsto, sta riscuotendo ben poche adesioni.

E così il condono appare come una mossa disperata per recuperare terreno. Senza quei due miliardi, infatti, il sentiero che porta alla legge di bilancio diventa ancora più stretto.

I paletti di Bruxelles

In altre parole, il governo costretto dalle nuove regole dell’Unione europea a far quadrare i conti senza far ricorso a maggior deficit come è sempre successo negli ultimi anni, è costretto a trovare nuove entrate oppure a drastici tagli di spesa. Su questo secondo fronte ci si affida alla spending review dei ministeri che però ha sempre dato ben pochi frutti oppure al riordino delle spese fiscali, altra questione tirata in ballo a ogni manovra ma mai realmente affrontata. E il polverone di queste ore sull’ipotizzato aumento delle accise sul gasolio è la conferma che sulle spese fiscali siamo ancora allo stadio delle buone intenzioni.

Non resta allora che metter mano alle entrate, un terreno minato per un governo fondato sulla solenne promessa di non aumentare le tasse degli italiani.

La via d’uscita potrebbe essere quella di andare a prendere i soldi dove ci sono, cioè nei bilanci delle grandi imprese che in questi ultimi anni, grazie all’andamento di alcuni settori dell’economia, hanno visto crescere di molto i loro profitti. A parte gli slogan sugli “sforzi che l’intero paese deve sostenere”, le parole pronunciate da Giorgetti sembrano andare in questa direzione.

All’elenco dei possibili bersagli del governo, un elenco che comprende banche, grandi aziende dell’energia e farmaceutiche, il ministro ha aggiunto anche le imprese legate al settore della difesa, beneficiate dall’aumento della spesa legato alle guerre in corso. «È una situazione di mercato favorevole che produce utili superiori», ha detto in proposito Giorgetti. Utili che peraltro già finiscono nel casse pubbliche sotto forma di dividendi, visto che il più grande gruppo del settore difesa è Leonardo, controllato dallo Stato.

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