- Non sembra un buon segnale ai sindacati metalmeccanici il rimborso del prestito con garanzie statali da parte del gruppo che ha inglobato la Fiat.
- Anche gli industriali del settore temono la perdita di 70 mila posti di lavoro a causa della transizione verso i motori a zero emissioni
- Il ministro Giorgetti, molto impegnato nelle trattative quirinalizie, non ha più convocato il tavolo con le parti sociali sulla crisi dell’automotive. Se arrivasse dopo il piano esuberi di Stellantis rischierebbe di essere inutile.
Tra l’emergenza pandemica, il caro bollette e le trattative per il prossimo presidente della Repubblica, nei palazzi della politica sta passando sotto traccia un movimento rovinoso che riguarda l’industria italiana. Il precipizio annunciato della filiera dell’auto.
I segnali di scricchiolamento vanno avanti da mesi con le crisi di diverse aziende della componentistica auto, da Giannetti Ruote a Gkn, e a queste ora si sommano i 1.200 esuberi annunciati negli stabilimenti Bosch di Bari e di Magneti Marelli. Ma siamo solo agli inizi dello smottamento.
A preoccupare i sindacati dei metalmeccanici è soprattutto Stellantis, che occupa un terzo della manodopera del settore e dovrebbe presentare il suo nuovo piano industriale globale il prossimo 1° marzo. L’amministratore delegato Carlos Tavares ha appena restituito, in anticipo, il prestito agevolato di Intesa San Paolo da 6,3 miliardi di euro, ottenuto tramite il decreto Liquidità con garanzia all’80 per cento dallo Stato tramite Sace.
L’annuncio fatto ad horas non promette niente di buono in relazione all’atteso piano esuberi per l’Italia che potrebbe essere annunciato già ai primi di febbraio, è interpretato da Fiom Fim e Uilm come un voler mani libere rispetto alle garanzie occupazionali e di radicamento industriale contenute nei requisiti per il prestito, in un momento in cui il gruppo euroamericano che ha inglobato la Fiat è tutto proteso a conquistare fette di mercato cinese insediandosi potentemente in quella filiera produttiva.
«Capisco che siano tutti concentrati a risolvere il nodo del Quirinale ma c’è un mondo reale che va avanti e il tavolo al ministero dello Sviluppo che chiediamo da mesi non è stato ancora convocato mentre stiamo andando a precipizio», dice il segretario nazionale Fiom per il settore automotive Simone Marinelli.
Inutile dire che se la convocazione arriverà dopo l’annuncio di Stellantis sarà largamente inutile. Secondo l’Anfia, l’associazione degli industriali italiani a cui Stellantis si è sempre rifiutata di aderire, di fronte al divieto di commercializzazione dei veicoli a benzina e diesel fissato dal piano europeo “Fit for 55” alla data del 2035, i posti di lavoro che andranno persi saranno almeno 70mila, tra diretti e indiretti, rispetto agli attuali 163mila addetti.
Puntare tutto sulle proroghe
Senza interventi di sostegno anche il settore dell’elettrico non andrà molto avanti. Secondo le associazioni dei consumatori interessate alla mobilità sostenibile, da Adiconsum a eMotus, «senza interventi strutturali già nel 2022 il mercato dei veicoli a zero emissioni precipiterà». L’Italia è infatti l’unico paese europeo a non avere più bonus per l’acquisto di auto elettriche, ibride o plug in, che costano in media il doppio di quelle a combustibili fossili. Il governo si è dimenticato di inserirlo nella manovra di bilancio e ora vorrebbe recuperare con il decreto Milleproroghe in arrivo. Ma soltanto per tre anni.
Niente di nuovo, poi, da luglio, quando è stato deciso il luogo in cui dovrebbe sorgere (Termoli), per quanto riguarda la realizzazione della terza gigafactory europea per batterie elettriche, produzione indispensabile per evitare la marginalizzazione dell’industria italiana dell’auto e le inevitabili delocalizzazioni in Francia e Germania, dove già stanno costruendo le altre due gigafactory.
Il ministro Giancarlo Giorgetti, molto impegnato nelle trattative quirinalizie, la scorsa settimana annunciando uno stanziamento aggiuntivo di oltre 400 milioni di euro per le attività colpite dalla pandemia tra cui discoteche e sale da ballo, ha espresso dispiacere per il fatto «che non sia stata accolta la nostra proposta di sostegno all’automotive per mancanza delle necessarie risorse».
Il piano non c’è
Nella legge di bilancio il fondo per la transizione industriale è stato finanziato con appena 150 milioni. Nel Pnrr sono stati messi 350 milioni fino al 2026 per lo sviluppo di autobus elettrici e 750 milioni sono destinati allo sviluppo di filiere produttive innovative, incluso però il turismo sostenibile. E questo è tutto.
Il vice ministro, l’azzurro Gilberto Picchetto Fratin, rimasto al Mise a trattare le noiose questioni dell’economia reale, ha ammesso rispondendo a una interrogazione parlamentare che “è interesse prioritario del ministero dello Sviluppo economico predisporre un sistema di misure volte ad attrarre e consolidare investimenti nell’intero settore dell’automotive e del suo indotto” ma poi non ha potuto far altro che elencare gli stessi disarticolati interventi e gli stessi spiccioli impegnati finora.
Niente a che vedere con il piano strategico sull’auto che chiedono non solo i sindacati ma anche le imprese piccole e medie che vedono avvicinarsi la transizione tecnologica senza avere la forza per fare gli investimenti necessari ad adeguarsi.
«Servono interventi per la formazione di nuove competenze e la riqualificazione professionale, che non siano il Gol a lavoro già perso, e poi ammortizzatori sociali straordinari che vadano oltre i contratti di espansione e i prepensionamenti perché la transizione sarà una fase lunga», spiega Marinelli.
Ancora di più serve sapere il progetto industriale per il paese, cosa produrre in alternativa. Giorgetti insiste invece sul dilazionamento degli obiettivi europei di decarbonizzazione. Un obiettivo da poco se non si sa dove andare a parare. Tanto più che il mercato globale è già incanalato verso la transizione all’elettrico.
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