Pradace, l’unione fra le due maison, è una fusione inattesa (per la diversità dei brand) ma logica. L’operazione vale 1,5 miliardi. I rischi arrivano da Versace, che registra una perdita da 21 milioni
Le cifre sono già sul tavolo, secondo più fonti: un miliardo e mezzo di euro. Tanto costerà a Prada spa l’acquisto di Versace da Capri Holdings ltd, che a sua volta aveva acquistato il brand della Medusa, nel 2018, per 1,83 miliardi di euro.
Perché lo fanno? Perché possono. In un momento molto complicato per il lusso, Prada è solida come non mai: il fatturato del gruppo è aumentato del 17 per cento a valuta costante nel 2024, e la crescita è rimasta forte nel quarto trimestre, con un aumento delle vendite al dettaglio dell’84 per cento per il brand Miu Miu, adorato dai giovani di mezzo mondo.
Così può farsi più ambiziosa che mai: perfino immaginare di lanciare una sfida tutta italiana al monopolio francese sulla moda, anzi duopolio, perché è nei gruppi LVMH e Kering S.A. che si concentra la proprietà di gran parte del lusso internazionale. Se l’operazione andrà in porto, come si prevede accada, entro fine mese, nascerà un player che potrebbe competere – certo non ad armi pari, ma più affilate di adesso – con i due giganti francesi.
Una svolta, dopo che per anni i marchi italiani sono via via passati in mano straniere.
Moda in difficoltà
L’altra svolta è che anche per i grandissimi i tempi si sono fatti duri. Finito il “revenge shopping” post Covid – quel periodo “magico” in cui da est a ovest chi aveva i mezzi per farlo si è gettato affamato sul lusso per rifarsi dell’astinenza da pandemia – i numeri del lusso scendono. I consumatori sono oggi molto più cauti e timorosi, oltre che infastiditi da prezzi stellari non sempre giustificati da qualità altrettanto vertiginosa.
Gli annunci di Donald Trump sui dazi, e le contromosse previste dall’Europa alla Cina, rendono il settore ancor più incerto e mercuriale. Così oggi nessuno è più sicuro di tenersi a lungo il posto, nella moda. Vale per i ceo e vale per i direttori creativi dei brand. Sottoposti, più che a balletti, a danze macabre.
Giravolta stilisti
Il caso più clamoroso è quello di Gucci (che è nel portfolio di Kering), che si libera di Sabato De Sarno dopo solo due anni di lavoro e sceglie come nuovo direttore creativo Demna Gvasalia, proveniente da Balenciaga: mossa da alcuni giudicata geniale, da altri disperata. Nello stesso giorno è arrivato l’annuncio che Dario Vitale diventa chief creative officer di Versace dal primo aprile, mentre Donatella lascia il ruolo che deteneva dal 1997 e resta nella maison come chief brand ambassador, dedicandosi dunque non più allo stile, ma soprattutto a iniziative filantropiche per Versace. E qui le cose si fanno interessanti.
Dario Vitale è l’uomo del miracolo Miu Miu (del gruppo Prada). Ne è stato direttore creativo fino a gennaio, protagonista di una delle storie di successo più clamorose della moda, riassunta in quel più 84 per cento di vendite a fine 2024. Successo dovuto soltanto a lui? No, naturalmente.
Prada ha saputo far ordine in casa: gestisce ottimamente il presente, lavora strategicamente sul futuro. Il marchio ammiraglio va benissimo, la sorellina Miu Miu strepitosamente, la transizione generazionale da Miuccia e Patrizio Bertelli verso il primogenito Lorenzo è iniziata col passo giusto e diventerà il prossimo ceo.
Dal 2023 il ruolo è nelle esperte mani di Andrea Guerra, che nel curriculum ha l’aver già guidato Luxottica, Eataly, la divisione Hospitality di LVMH, ed è il primo amministratore delegato che non provenga dalla famiglia.
La strategia l’ha sintetizzata in una intervista di gennaio a The Business of Fashion: «Il settore è a un punto di svolta: c’è fermento nella creatività, c’è fermento nella leadership delle aziende e, per la prima volta da anni, ci sono numeri negativi come il settore non ha mai visto», ha detto. «I marchi con crescita positiva nel 2024 hanno tutti una visione a lungo termine su creatività, design, comunicazione e gestione. E un forte legame tra la creatività, l’immagine e l’azienda. Questa è una delle più importanti “tensioni positive” di cui si ha bisogno».
La nascita di “Pradace”
È la visione a lungo termine a rendere possibile “Pradace”, ovvero l’acquisizione di Versace da parte di Prada, ovvero il matrimonio della moda più inatteso ma per molti versi più logico. Prada e Versace sono due brand radicalmente diversi tra loro, per visione, ispirazione e aspirazione, per tipo di clientela cui guardano: ma è proprio l’estrema diversità di Dna a rendere interessante l’operazione. Risky business? Possibile, e non pochi l’hanno sottolineato: proprio Bof l’ha descritto «come comprare una casa in cui devi fare moltissimo lavoro per rimetterla a posto».
Ma dietro i brand, come sempre, ci sono le persone: e qui si tratta di Miuccia Prada e Donatella Versace. Due donne diverse come possono esserlo una milanese e un’anglo-calabrese, Lombardia e Magna Grecia, minimalismo e massimalismo, “ugly chic” finto dimesso e star system (con Lady Gaga che dedica una canzone-lettera d’amore a Donatella), quiet luxury e loud luxury, Miuccia ragazza sessantottina e femminista, Donatella ragazza che indossa le prime creazioni-provocazioni di Gianni e si fa biondo platino per meglio interpretare le visioni di quel geniale fratello adorato che adorava Patty Pravo. Opposte ma amiche, come sanno esserlo due donne intelligenti che nella diversità si riconoscono. Se Miuccia è oggetto di culto per una moda cerebrale seducente come nessuna, Donatella è “the Power of Nostalgia”, fortissimo soprattutto agli occhi della generazione Zeta per cui presente e passato sono sincronici. La Medusa, l’heritage, i codici Versace, quel patrimonio ormai collettivo con cui Dario Vitale dovrà misurarsi. Anche se l’operazione andrà in porto, Prada varrà una frazione dei suoi concorrenti.
La casa di moda quotata a Hong Kong ha una capitalizzazione di 21,8 miliardi di dollari. La famiglia di Miuccia Prada e suo marito Patrizio Bertelli controllano circa l’80 per cento della società. LVMH, che possiede Louis Vuitton e Christian Dior oltre a Fendi e Loro Piana, ha un valore di mercato di 347,5 miliardi. L’anno scorso LVMH ha acquistato una quota della società che controlla Moncler SpA, il produttore italiano di abbigliamento esterno firmato.
Versace (fondata da Gianni Versace nel 1978) ha fatturato 193 milioni di dollari per il terzo trimestre dell’anno fiscale in corso. Nello stesso periodo, la perdita operativa del marchio è aumentata a 21 milioni di dollari da 14 milioni.
© Riproduzione riservata