- Tutti dicono: se vuoi capire di gas parla con Gilberto Dialuce.
- Il presidente di Enea, l’agenzia nazionale per l’energia e lo sviluppo sostenibile, è stato per anni l’uomo chiave per gli approvvigionamenti energetici al ministero dello Sviluppo.
- Dialuce è molto chiaro: non si possono bloccare i prezzi su base nazionale, serve subito una campagna di riduzione dei consumi e un coordinamento tra le imprese.
Tutti dicono: se vuoi capire di gas parla con Gilberto Dialuce. Il presidente di Enea, l’agenzia nazionale per l’energia e lo sviluppo sostenibile, è stato per anni l’uomo chiave per gli approvvigionamenti energetici al ministero dello Sviluppo. Dialuce è molto chiaro: non si possono bloccare i prezzi su base nazionale, serve subito una campagna di riduzione dei consumi e un coordinamento tra le imprese.
I prezzi del gas proseguono i rialzi, le forniture dalla Russia continuano col contagocce, e il costo della crisi si distribuisce a cascata, dice Dialuce. L’autorità per l’energia dovrà aggiornare le tariffe per le fasce di consumatori nel regime di tutela tenendo presente anche le possibili difficoltà delle aziende che vendono il gas.
Le imprese del commercio e del terziario che sono particolarmente esposte ai rincari li tradurranno in aumenti per i consumatori, anche quelli che sono stati tutelati dal governo perché a basso reddito.
Poi ci sono le grosse imprese energivore con contratti di fornitura pluriennali spesso indicizzati al prezzo corrente: per loro i rinnovi dei contratti su base annua diventano molto complessi e anche riuscire a prevedere la capacità di produzione e quindi gli ordini che possono garantire ai clienti.
C’è una soglia di prezzo che deve far scattare l’allarme?
Il livello di allerta è già superato. Prezzi così alti non sono sostenibili a lungo, aumenterà la morosità delle famiglie, i rincari del commercio si rifletteranno sull’inflazione, con tutte le conseguenze, alcune imprese esposte sui mercati esteri con concorrenti per esempio americani che non sono agganciati ai meccanismi di formazione dei prezzi europei, rischiano di perdere quote di mercato e quando si perdono recuperarle è molto difficile. Ci sono casi in cui il costo dell’energia ha una forte incidenza sul prodotto finale, per esempio le piastrelle di ceramica. Le imprese della ceramica consumano un miliardo e due di metri cubi l’anno solo a uso termico, e esportano gran parte della produzione.
Che si deve fare?
Intanto dal 5 agosto c’è un regolamento Ue vincolante che prevede che tutti gli stati facciano un piano di misure volontarie per ridurre i consumi del 15 per cento. Se prendiamo i consumi storici dal mese di agosto al 31 marzo, significa tagliare di 8,3 miliardi di metri cubi su un totale di 55 miliardi. Nel caso di emergenza a livello europeo che può essere dichiarata dal Consiglio europeo, o con cinque stati che vadano in emergenza, scatterebbero misure obbligatorie: per l’Italia vuol dire tagliare la domanda del sette per cento, anche se avremo un bonus perché abbiamo riempito gli stoccaggi.
Come Enea avete presentato un piano di riduzione dei consumi residenziali, si parte da lì?
Presto partirà una campagna di informazione che chiede al singolo cittadino un impegno abbastanza soft, ma importante, che va promosso e incentivato: riduciamo di quindici giorni il periodo di riscaldamento, iniziamo una settimana dopo e finiamo una settimana prima, di un’ora quello giornaliero, abbassiamolo di un grado: se tutti lo facessero si risparmierebbero 2,7 miliardi di metri cubi in inverno. Con l’uso delle pompe di calore, altri 800 milioni. Ci sono misure che fanno un po’ sorridere, ma che moltiplicate fanno una enorme differenza: ridurre di due minuti e di tre gradi la doccia, per tutte le docce, fa un miliardo di risparmi all’anno. Staccare il frigorifero quando si è in ferie, spegnere gli elettrodomestici, usare meglio la lavatrice: sommando questi comportamenti possiamo arrivare a meno cinque miliardi: sono necessari a prescindere se vogliamo lottare contro il cambiamento climatico, ora sono strategici per rendere i prezzi sostenibili. Dipende da tutti, non c’è una misura salvifica.
E invece la strategia sul fronte industriale?
Dall’inizio dell’anno c’è già stato un calo dei consumi industriali del dieci per cento, con l’autunno bisognerà ripartire dalla interrompibilità industriale: il ministero della Transizione ecologica lancia una manifestazione di interesse per le aziende che sono disponibili a interrompere il ciclo di produzione, in questo caso l’Arera deve offrire incentivi maggiori per allargare la platea, se avessimo una settimana di freddo eccezionale, dobbiamo avere aziende disponibili in due o tre giorni a fermare l’attività.
Poi si può organizzare un piano di contenimento programmato dei consumi, per esempio cercando di capire chi può rinviare alcune produzioni, anticipando le manutenzioni nella seconda metà dell’inverno, che è il momento più delicato, quello in cui gli stoccaggi vengono a mano a mano utilizzati.
Ridurre la domanda del settore civile, industriale, sia di gas sia di elettricità prodotta da gas, vuol dire far durare le scorte più a lungo. Anche perché per riempirli lo stato si è sostituito al mercato: è il Gse che sta comprando il gas.
Quali aziende vanno convocate?
Tutte. Il contributo di ognuna dipende dai cicli di produzione, dall’incidenza del gas su unità di prodotto, dalla categoria di impresa. Per esempio le aziende del vetro sono energivore, ma se blocchi i forni si crea un danno, ci sono alcune imprese che possono ridurre i volumi, altre che possono fermarsi per qualche giorno.
E il tetto sui prezzi del gas?
In un mercato interconnesso, anche fisicamente, i tetti nazionali non si possono fare, anche immaginando di derogare alle regole europee della libera circolazione. Lo hanno potuto fare in Spagna, perché le connessioni energetiche della Spagna sono estremamente ridotte, l’Italia invece importa dalla Russia, con un gasdotto che passa da Ucraina, Repubblica Ceca e Austria, è collegata tramite la Svizzera al mercato francese e tedesco. Se per ipotesi imponessimo un tetto del gas, avremmo chi viene ad acquistare da noi a prezzo più basso per poi esportare. Al momento il mercato è impazzito, una manutenzione di tre giorni del Nord Stream, che succede tutti gli anni, causa subito un picco. Alla borsa olandese, l’ormai famoso Ttf, i prezzi sono sganciati dalla realtà, sono determinati tramite i futures dalle aspettative a breve e medio termine, che diventano profezie di rialzo che si autoavverano: se firmo una consegna a termine, poniamo a tre mesi e temo per qualche motivo di non poter avere la fornitura, tutta la struttura finanziaria assicurativa del contratto viene appesantita. Al momento è abbastanza infattibile modificare i meccanismi di fondo del mercato. In passato la Ue credeva che funzionasse benissimo e ha incentivato una maggiore flessibilità, spingendo per agganciare i contratti al gas spot, mentre un tempo erano legati a un paniere di greggi. Ora si è creata una tempesta perfetta difficile da interrompere. Basta guardare il mercato del Gnl, che è più liquido. Quello che però la Commissione europea sta valutando è un tetto al prezzo coordinato, che è la misura proposta dal premier Mario Draghi che sta andando avanti.
Si può invece staccare il prezzo dell’elettricità da fonti rinnovabili da quello del gas a livello nazionale?
È tecnicamente complesso, ma si può intervenire differenziando i mercati. La strada da percorrere è però necessariamente quella della riduzione dei consumi. Anche perché è anche quella della decarbonizzazione, che passa da investimenti in rinnovabili, nelle tecnologie per l’accumulo e in idrogeno verde per produrre elettricità.
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