«Ci sono stati casi in cui dei colleghi hanno dovuto consegnare 370 pacchi al giorno. In genere dobbiamo portare un pacco in due minuti e 33 secondi. Ma, se si fanno due conti, è impossibile avere tutto quel tempo». Cecilia, nome di fantasia, è un corriere e lavora per una ditta di Firenze che consegna pacchi per Amazon. Da qualche anno fa questo mestiere, part time per quattro giorni alla settimana, a 1.600 euro al mese. «Entro in ditta alle 8 e 30 e finisco alle 17 – racconta –. Ho solo 30 minuti di pausa pranzo, ma sono costretta a farla sul furgone: anche volendo in così poco tempo non potrei mangiare da nessuna parte. E non parliamo poi di quando dobbiamo andare in bagno».

E i disagi non finiscono qui: «Amazon ci fornisce il percorso da fare ogni giorno. Ma spesso si verificano problemi con le fermate oppure gli itinerari sono fatti male. In questi casi capita di dover scegliere noi stessi i percorsi migliori. Con il tempo ci si abitua ma i primi mesi di lavoro sono un delirio».

Le aziende “furbette”

Ma Cecilia, tutto sommato, è fortunata. L’azienda per cui lavora, in base al suo racconto, tiene conto delle condizioni di lavoro dei suoi dipendenti: «I nostri datori ci chiedono di non correre con il furgone e in più ci permettono anche di tornare in sede con dei pacchi non consegnati». Ma ad alcuni è andata peggio.

Infatti Amazon appalta le proprie consegne ad aziende private, e quindi le condizioni cambiano in ogni posto di lavoro. E non sempre le cose vanno bene. Come è successo a Michele, altro nome di fantasia, che, dopo quasi dieci anni, ha appena deciso di lasciare il settore: «Dove lavoravo, se non riuscivi a consegnare i pacchi ti arrivavano pressioni da parte dell’azienda», sottolinea.

Ma perché succede? «Amazon propone all’impresa un contratto cospicuo se rispetta un certo numero di consegne in un determinato tempo. Le cifre sono stratosferiche per un’azienda medio-piccola. E quindi fanno di tutto per non perdere l’affare». E le pressioni, quindi, vengono indirizzate tutte verso i lavoratori: «Vengono fatte minacce di licenziamento, soprattutto su chi ha un contratto a tempo determinato. Questa categoria solitamente rappresenta il 45 per cento dell’organico. E quindi la minaccia più comune è: “O finisci le consegne anche fuori dal turno o non ti rinnovo il contratto”».

Il problema dell’algoritmo

E non sempre va tutto liscio: «Faccio un esempio – racconta Luca, che opera su Roma –. Può capitare che, dopo essere sceso dal furgone, abbia difficoltà nel reperire un cliente e ci metto dieci minuti per trovarlo: l’algoritmo mi conta quel tempo come pausa perché il furgone è fermo. Se questo episodio avviene più volte in una giornata, il sistema mi incrementa la durata della rotta, nonostante stia comunque lavorando».

Nonostante tutto, bisogna comunque ammettere, che tutti e tre i corrieri che abbiamo intervistato hanno dichiarato che le condizioni di lavoro sono decisamente migliorate.

«Abbiamo avuto diversi step di intervento sul lavoro dei driver – dice Stefano Malorgio, segretario generale di Filt Cgil –, che ci hanno consentito di raggiungere un accordo con Amazon. A mano a mano le condizioni sono migliorate. Recentemente abbiamo ridotto di due ore l’orario settimanale, sia part time sia full time, su tutta la filiera. Adesso punteremo, già sul nuovo contratto, a raggiungere un’ulteriore diminuzione. Sulla questione dei carichi e dei ritmi di lavoro, in questo momento è stata avviata una sperimentazione con Amazon in Emilia-Romagna. Vedremo come andrà a finire».

E sul tema delle imprese “furbette” commenta: «Abbiamo un accordo con Assoespressi. Bisogna fare un lavoro azienda per azienda».

La replica di Amazon

Su tutto quello che abbiamo scritto abbiamo raccolto anche la replica del colosso americano: «Amazon collabora con decine di fornitori di servizi di consegna, che forniscono opportunità lavorative a migliaia di persone che si occupano di consegnare gli ordini ai nostri clienti in Italia. I corrieri sono assunti dai fornitori di servizi di consegna al livello G1 del Ccnl Trasporti e Logistica con una retribuzione d’ingresso pari a 1.771 euro lordi al mese per i dipendenti a tempo pieno, oltre a un’indennità giornaliera di 400 euro netti mensili», spiegano.

«Abbiamo definito standard elevati per i nostri fornitori e ci aspettiamo che rispettino le leggi in vigore e il codice di condotta dei fornitori Amazon, attento a garantire agli autisti sicurezza, equità e retribuzioni adeguate. Effettuiamo regolarmente verifiche di idoneità per assicurare la conformità al codice di condotta e interveniamo se riscontriamo che un nostro fornitore non rispetta tali aspettative. Garantire un’esperienza positiva ai corrieri rappresenta una priorità, su cui ci impegniamo continuamente in ottica di miglioramento».

«Per questo motivo», spiegano, «lavoriamo a stretto contatto con i nostri fornitori per definire insieme obiettivi realistici, che non mettano pressione su di loro o sui loro dipendenti. Utilizziamo una tecnologia che prende in considerazione molteplici aspetti, tra cui la quantità di pacchi da consegnare, la complessità della rotta e delle distanze da percorrere, inclusi i tempi per le pause, per determinare il numero di consegne che un autista può effettuare in sicurezza durante il suo turno di lavoro. Le nostre rotte sono programmate in modo da tener conto di pause e pasti, consentendo alla maggior parte degli autisti di terminare le consegne prima della fine prevista del turno. Se durante il percorso si verifica un evento che causa un ritardo, vengono assegnati altri autisti per completare le consegne».

«È importante ricordare che agli autisti vengono assegnate rotte con le spedizioni già pronte e non devono smistare i pacchi da soli: tutte le spedizioni sono pre-caricate in sacchi, che vengono sistemati in carrelli, che sono a loro volta pronti per essere caricati sul furgone. Teniamo conto del tempo di attesa prima del carico, del tempo necessario per caricare i pacchi e del tempo necessario per riportare i pacchi non consegnati al deposito di smistamento. Gli autisti sono comunque liberi di decidere se utilizzare o meno la funzione di navigazione».

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