Non è solo una questione di «trasporto», spostare le cose da un punto A a un punto B prevede implicazioni sociali, politici, culturali, geografiche. Ma basta un granello di sabbia a inceppare il meccanismo, come la nave che bloccò il canale di Suez tre anni fa. Se ne è occupato Cesare Alemanni nel libro Dalle caravelle ad Amazon
Gamberetti. A gennaio un amico belga mi raccontava, incredulo, questa storia di gamberetti. Piccolissimi gamberetti belgi con cui viene preparato il suo piatto belga preferito. Si trovano nelle acque antistanti Anversa e lui aveva scoperto che, una volta pescati, vengono spediti in Marocco per essere sgusciati da mani femminili a basso costo e poi rispediti ad Anversa. Grottesco, ma… «È la logistica, bellezza!». Anche chi sta leggendo questo articolo, sulle pagine cartacee di Domani o sullo schermo di un dispositivo digitale, può farlo solo grazie alla logistica.
E il libro di cui parlo in questo articolo, e che racconta la storia della logistica, dovessi convincere qualcuno a leggerlo, potrà essere letto solo grazie alla logistica. Che lo si acquisti su Amazon o su un’altra piattaforma di e-commerce, in versione e-book o entrando in una libreria, dietro c’è sempre, comunque, lei: La signora delle merci, come da titolo. E sottotitolo: Dalle caravelle ad Amazon. Come la logistica governa il Mondo (LUISS University Press). Autore, appassionato, curioso e sempre a fuoco, Cesare Alemanni.
Tema “freddo” solo all’apparenza, in realtà bollente, vedi ciò che sta succedendo nel Mar Rosso, con gli Houthi che attaccano le navi cago, oppure a Taiwan: la logistica davvero “governa il mondo”. Capirla consente di capire la realtà, di decifrare il paesaggio in cui oggi ci spostiamo. È l’intelaiatura del presente, la sua filigrana in controluce: è ovunque, ci circonda nello spazio e nel tempo, così gigantesca e pervasiva da risultarci spesso invisibile (come da frase in esergo, tratta da Il cacciatore celeste di Roberto Calasso: «Quando una vasta parte dell’esistente si ritirò nell’invisibile, non per questo cessò di accadere. Ma diventò più facile pensare che non accadesse», e sembra quasi alludere al misterioso supercriminale Keyser Söze de I soliti sospetti: «La beffa più grande che il diavolo abbia mai fatto è stato convincere il mondo che lui non esiste»).
Il libro è solo un parallelepipedo
In queste prime righe sono comparse le parole “Amazon” e “libro”, coppia emblematica e ottimo spunto da cui partire per questo viaggio, perché «Amazon si è raccontata, ed è stata raccontata in ogni dove, come un’azienda che vendeva libri. Quasi ciò rappresentasse una vocazione legata a una peculiare considerazione etica del valore della cultura». Trent’anni dopo, è quel Leviatano che «consente a ogni utente del sito di agire su un’infrastruttura sconfinata che lo connette all’inventario di prodotti più ampio della Storia». Quando nel 1994 Jeff Bezos scelse i libri per avviare la sua attività online, non fu certo perché in loro vedeva strumenti capaci di cambiare il mondo grazie al potere della cultura eccetera eccetera. Macché: ai suoi occhi i libri erano solo cose. Cose a forma di parallelepipedo. Cose facili da immagazzinare e spostare. Scelta pragmatica e indubbiamente lungimirante, visto che, grazie ai libri, Bezos ha effettivamente cambiato il mondo, e oggi Amazon «è l’iterazione più matura di quasi tutti gli sviluppi della logistica riassunti in questo libro».
Tra questi: la logica con cui avanzavano le legioni romane, l’organizzazione delle Crociate, le Repubbliche marinare, gli imperi coloniali, la tratta degli schiavi, l’organizzazione degli eserciti, la catena di montaggio, quella del valore e le supply chain, la comparsa dei manager, delle multinazionali, del container, del supermercato, del computer, del codice a barre, la globalizzazione… Sono solo alcune delle tante storie che potrà leggere chi acquisterà questo libro, avvincenti perché La signora delle merci ha una caratteristica che è dei migliori saggi contemporanei: si fa leggere che è un piacere (ma è scritto senza «trucchi da quattro soldi», citando Carver).
I nuovi schiavi della manodopera
Cose, dunque. Alemanni usa volutamente questa parola brutalmente generica, capace di “spersonalizzare” perfino gli oggetti, anche perché non dimentica di ricordarci quante volte (tante), nel corso della Storia, le ragioni della logistica hanno ridotto a cose perfino le persone: non cede mai alla tentazione dell’esaltazione futuristica e acritica della velocità o della tecnologia o delle solite «magnifiche sorti e progressive» bensì ne mostra anche il costo, in vite umane (e non solo): è un reticolo di linee rosso sangue quello tracciato dalle rotte e dalle direttrici su cui da millenni si muovono le cose, che unisce guerre, tratta degli schiavi, i massacri di popolazioni indigene all’arrivo delle caravelle, le condizioni di vita dei marinai a bordo di quelle caravelle, e poi i nuovi schiavi della manodopera a basso costo, dei moderni porti ipertecnologici, della grande distribuzione.
Ci fa capire che la logistica non è solo «trasporto», allargando il discorso alla filosofia e alla geopolitica o svelando, ad esempio, il rapporto causale che lega la comparsa di certi oggetti apparentemente banali a enormi sconvolgimenti sociali, politici, culturali, geografici: in che modo una scatola come il container ha letteralmente cambiato il mondo? E che c’entra il carrello della spesa con la nascita dei sobborghi o la diffusione delle auto?
La presa dell’incorporeo
Cose e non solo: c’è la logistica anche dietro l’incorporeo. Il marketing, per dire. O il concetto di “brand”, perché «marchi che si contendono atleti e celebrità a suon di contratti milionari e di narrazioni contrapposte sono in realtà prodotti spesso nelle stesse fabbriche della Cina meridionale, del Messico o del sud-est asiatico». Ergo: «Quando il costo di produrre le cose si approssima allo zero, il differenziale tra esso e il prezzo di vendita ha sempre più bisogno di essere aggiunto (o a tutti gli effetti creato) attraverso la proiezione di princìpi astratti, quasi metafisici, o l’associazione con valori terzi spesso para-culturali. […] La stessa parola brand, marchio, è rivelatrice: quando aziende smettono di “fare” concretamente oggetti, l’atto di “marchiarli” diviene il loro principale strumento di produzione di valore […], un transfer quasi alchemico” (qualcuno ha detto Apple?)».
Alemanni ci rivela come, per rispondere all’esigenza di spostare le cose da A a B nel modo più efficiente possibile, l’uomo abbia raggiunto livelli tecnologici ai limiti della fantascienza in quanto a complessità, velocità, precisione ma ci mostra anche la nudità del re, la fragilità intrinseca a un organismo gigantesco sempre più sofisticato, in cui tutto è interconnesso, che si sposta a una velocità tale che è sufficiente l’impatto con un granello di sabbia per mandare tutto all’aria: quel granello può essere, ad esempio, la nave portacontainer che il 23 marzo 2021, a causa del forte vento proveniente dal Sinai (colpa del cambiamento climatico a cui la logistica ha dato il suo bel contribuito), finisce di traverso nel canale di Suez, bloccandolo per sei giorni e causando un ingorgo tale che «molte navi decidono di tornare indietro e raggiungere l’Atlantico circumnavigando l’Africa. Una retromarcia non solo geografica ma anche storica. Il ritorno a un’epoca in cui il canale di Suez, completato nel 1869, ancora non esisteva». Un blocco che ha “bruciato” 7 milioni di dollari al minuto. E se il sistema va in tilt per una nave di traverso, chissà cosa potrebbe succedere se dovesse verificarsi un evento su scala globale tipo, che so, una pandemia.
La signora delle merci assomiglia un po’ alla famosa pillola rossa di Matrix, che se la ingoi poi riesci a vedere la realtà per quello che è: a te la scelta se metterlo nel carrello di Amazon e cliccare su “acquista ora”.
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