La recente introduzione (e poi sospensione) del nuovo decreto sul redditometro offre l’opportunità di fare un po’ di chiarezza sugli strumenti anti evasione e sull’utilizzo delle banche dati.

In primo luogo, è acclarato il fatto che l’Agenzia delle entrate utilizza poco il redditometro. Da un punto di vista strettamente tecnico, il redditometro ha sempre avuto due problemi principali. Il primo consisteva nel fatto che le spese erano confrontate con il reddito al lordo delle imposte; il secondo che il modello non aveva accesso ai dati che potessero quantificare il risparmio.

A queste difficoltà cerca (o forse sarebbe meglio dire cercava) di porre rimedio il decreto andato in Gazzetta Ufficiale, e poi sospeso dal governo.

Tuttavia, occorre chiarire che non è affatto detto che ovviando a questi problemi lo strumento avrebbe avuto certamente un maggiore utilizzo. Rimane il fatto che la ricostruzione sintetica del reddito dal lato dei consumi, che non possono essere tutti tracciati individualmente, richiede comunque una qualche imputazione di carattere probabilistico.

Cosa si controlla

I consumi che oggi l’Agenzia delle entrate può ricondurre con certezza all’individuo (e quindi in modo deterministico) sono prevalentemente quelli inclusi nella dichiarazione precompilata e che danno diritto a una detrazione fiscale: le spese sanitarie, le spese per l’istruzione, la sottoscrizione di polizze assicurative, le spese per lo sport, alcune spese per i figli, le spese per manutenzioni straordinarie degli immobili.

Sono disponibili anche le spese per affitti ed è possibile ricostruire alcuni consumi, come quelli per la manutenzione ordinaria di beni immobili e di beni mobili registrati, attraverso apposite elaborazioni. Infine esiste una componente, in particolare legata alle spese quotidiane, che richiede la ricostruzione dei consumi in base all’analisi statistica dei dati. Quindi, il redditometro non fornisce un dato certo relativo a quanto evade il singolo individuo, ma un parametro di rischio che deve essere utilizzato principalmente per le situazioni dove si concentra maggiormente l’economia in nero.

L’interpretazione del redditometro come un modo deterministico per stabilire automaticamente una pretesa tributaria, tipo spendi x devi pagare y, non appartiene all’approccio moderno all’utilizzo delle banche dati, è un patrimonio del passato che è bene abbandonare.

L’idea di poter ricostruire sinteticamente tutti i consumi individuali attraverso la tracciabilità dei pagamenti elettronici è errata. Oggi l’Agenzia delle entrate è in grado di sapere qual è il fatturato giornaliero che un operatore economico incassa con pagamenti elettronici, ma non di attribuire ai singoli consumatori le spese effettuate, seppure tramite moneta elettronica. Il redditometro va quindi interpretato come uno schema logico per organizzare e analizzare un insieme di basi di dati.

Il modello

Questo inciso ci consente di arrivare al secondo punto: contrapporre al redditometro l’incrocio delle banche dati (e l’“intelligenza artificiale”, espressione di cui molti sembrano abusare senza averne una diretta conoscenza) appare come un nonsenso. Il redditometro non è altro che un modello per incrociare le banche dati, ricavando da esse l’informazione statistica che completa quella deterministica.

La domanda vera da farsi è: come va fatta questa operazione? E a quali risultati può portare? Se qualcuno chiede a un funzionario dell’Agenzia delle entrate perché non viene fatto l’incrocio delle banche dati la risposta con ogni probabilità sarà: «Ma lo facciamo da decenni!». E in effetti è così. Infatti, già da svariati decenni l’Agenzia delle entrate elabora i criteri di selezione per l’accertamento incrociando le banche dati in suo possesso, ottenendo risultati per nulla trascurabili in termini di recupero di gettito. Sono risultati indispensabili per controllare gli adempimenti dei contribuenti, ma non sono ancora abbastanza per ridurre significativamente il grande stock di evasione che differenzia l’Italia dai suoi principali partner europei.

Se si intende incidere strutturalmente sul fenomeno è necessario passare a un incrocio “massivo” delle banche dati (e non del numero di soggetti da sottoporre a controllo), che richiede necessariamente l’impiego di metodiche analitiche che ci sono offerte dalle nuove tecnologie, tipo intelligenza artificiale.

Quindi, la soluzione non è banalmente quella di incrociare le banche dati, ma di realizzare un avanzamento culturale e tecnologico tale da massimizzare la capacità deterrente che scaturisce dall’analisi di milioni di informazioni trattate con opportune metodologie analitico-statistiche.

La strada da fare

E questo ci porta al terzo e ultimo punto: a che punto è tale processo di avanzamento culturale e tecnologico? Indubbiamente l’Agenzia delle entrate ha investito molte risorse umane e finanziarie per dotarsi delle competenze e delle infrastrutture necessarie per essere in grado di effettuare l’incrocio massivo appena descritto.

Ma rimane ancora della strada da percorrere per coniugare l’impianto normativo tributario con l’utilizzo delle nuove tecnologie, ovvero trovare un linguaggio e un modus operandi che consentano agli esperti tributari di dialogare con gli analisti al fine di trovare le soluzioni più efficienti e rispettose di tutte le garanzie stabilite dalla legge.

Un esempio di questa integrazione riguarda il rapporto con la legge sulla privacy. L’incrocio massivo delle banche dati, che sia fatto per ricostruire il reddito dal lato dei consumi o che avvenga da quello, concettualmente equivalente, del patrimonio, infatti, genera una “profilazione del rischio fiscale individuale” che viene talvolta vista con sospetto.

Rischio privacy

La vicenda dell’utilizzo dell’Anagrafe dei rapporti finanziari è esemplificativa. L’articolo 1, comma 683, della legge 160/2019 (legge di bilancio per il 2020) prevedeva l’utilizzo massivo dell’Anagrafe dei rapporti (costituita da molti anni e utilizzata solo per pochi accertamenti individuali) attraverso una procedura di pseudonomizzazione dei contribuenti al fine di mappare il rischio fiscale. Questa procedura doveva essere definita da un apposito decreto del Mef, a sua volta concordato con il Garante della privacy. Finalmente, dopo tre anni di attesa, e sfruttando ancora una volta la pressione derivante dall’attuazione del Pnrr, il decreto del ministro dell’Economia e delle Finanze del 28 giugno 2022 ha dato attuazione alla norma.

Il decreto si basa su un principio molto semplice. In una prima fase, l’incrocio massivo si svolge su dati anonimi (o meglio pseudoanonimi: i dati non sono riconducibili a un individuo se non con l’utilizzo di una chiave di decrittazione che non è nella disponibilità di chi tratta quei dati) ed è volto a quantificare il rischio fiscale.

Ad esempio, incrociando i dati delle dichiarazioni dei redditi, quelli dell’anagrafe dei rapporti e quelli degli accertamenti, viene fatta un’analisi degli scostamenti tra redditi e patrimoni che sono probabilisticamente più legati all’evasione. In questa fase, da cui non derivano conseguenze concrete per il contribuente, i diritti individuali previsti dal regolamento europeo sulla Privacy sono sospesi, una possibilità esplicitamente prevista dal regolamento stesso.

In una seconda fase, la mappatura del rischio viene esaminata dall’Agenzia, che sceglie quale livello del rischio sia significativo, come integrare l’analisi e come rapportarsi ai contribuenti che decide di selezionare, sulla base dei propri obiettivi e delle forze disponibili. In questa fase, i diritti dei contribuenti (per esempio quello all’accesso ai dati) tornano a essere pienamente operativi, perché si passa dal dato anonimo a quello individualizzato.

Questo schema sembra essere ripetibile per altre banche dati (eventualmente anche per quelle utilizzabili per il redditometro), ma non è chiaro a oggi in che misura abbia trovato applicazione. Sembra che l’Agenzia lo stia utilizzando per selezionare i casi di evasione macroscopica ed evidente (ad esempio: ingenti flussi patrimoniali da parte di contribuenti che non dichiarano alcun reddito), e quindi non (ancora) per effettuare quell’analisi probabilistica e di mappatura massiva del rischio fiscale che è il risultato più promettente che può arrivare dall’uso delle tecniche di incrocio della banche dati basate sull’intelligenza artificiale.

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