- Il governo Meloni ha presentato il suo progetto di riforma fiscale: un ritorno al mondo precedente la riforma Irpef del 1971. Una restaurazione piuttosto che una rivoluzione.
- C’è un consenso diffuso nella letteratura teorica e nelle raccomandazioni degli organismi internazionali: occorre spostare la tassazione dai fattori produttivi verso rendite e consumi.
- La riforma del governo fa esattamente l’opposto: si alleggerisce il carico sulla rendita immobiliare e si incentivano le micro-imprese a restare tali con la flat tax per gli autonomi.
«Un’ampia delega per rivoluzionare in modo strutturale il sistema fiscale italiano dopo 50 anni dall’ultima riforma complessiva che risale agli anni Settanta (legge delega n. 825 del 1971)». Così il governo presenta il suo progetto di riforma fiscale. Quella del 1971 segnò, in effetti, una rivoluzione, soprattutto per l’introduzione, con l’Irpef, di un’imposta personale progressiva sul complesso (o quasi) dei redditi percepiti da un soggetto in luogo del precedente sistema di imposte proporzionali che tassavano separatamente ciascuna categoria di reddito.
Nei decenni successivi, la base imponibile dell’Irpef si è via via svuotata allontanandosi sempre più dal modello di tassazione del reddito onnicomprensivo, a partire dalla difficoltà di tassare i redditi finanziari da capitale che godevano di una crescente libertà di movimento, arrivando, all’inizio di questi anni Venti a comprendere solo redditi da lavoro dipendente e pensioni, accanto a una serie disordinata di regimi speciali per gli altri tipi di reddito.
La riforma proposta dal governo Draghi (nella sua prima versione) rispondeva adottando esplicitamente il cosiddetto modello duale: un’imposta personale progressiva per tutti i redditi da lavoro, dipendente e autonomo, e un’imposta proporzionale uniforme per i redditi da capitale, incluso quello immobiliare). Un modello che, pur abbandonando quello del reddito onnicomprensivo, presenta comunque una sua coerenza e riduce le distorsioni associate a una miriade disordinata di regimi speciali.
Ritorno a prima del 1971
La proposta del governo Meloni rappresenta, invece, di fatto un ritorno al mondo precedente la riforma del 1971. Una restaurazione piuttosto che una rivoluzione.
Così il reddito da lavoro autonomo, per la maggior parte, viene sottratto all’imposta progressiva e tassato con un’imposta proporzionale del 15 per cento, rendendo il lavoro autonomo per chi lo offre e chi lo domanda molto più conveniente del lavoro dipendente.
I redditi da locazioni immobiliari erano già stati assoggettati per la componente residenziale a una cedolare secca del 21 per cento o del 10 per cento, sulla base dell’obiettivo di indurre l’emersione di una parte dell’evasione, con un risultato netto negativo per l’erario.
Ora si propone di estendere lo stesso regime agli immobili commerciali, per i quali non vi è alcuna necessità di favorire l’emersione. Un riordino al ribasso. A ciascuno la sua imposta: il sistema multi-duale.
La delega si apre con l’enunciazione di «principi generali del diritto tributario nazionale» su cui si baserebbe il disegno della riforma.
Mattone e micro imprese
Il primo è lo stimolo della crescita. Su questo c’è un consenso diffuso nella letteratura teorica e nelle raccomandazioni degli organismi internazionali: occorre spostare la tassazione dai fattori produttivi verso rendite e consumi. Qui invece si alleggerisce il carico sulla rendita immobiliare. E riguardo ai fattori produttivi, si incentivano le micro-imprese a restare tali con la flat tax per gli autonomi.
Semmai, si sposta la tassazione verso le imprese più grandi e più efficienti. Così, si intende eliminare l’Irap che tassa tutte le imprese, compensandola, sembra, con una sovrimposta sull’Ires che tassa solo le società di capitali.
Peraltro per il superamento dell’Irap si annuncia un’attuazione graduale dando priorità alle società di persone e alle associazioni tra professionisti e solo in una fase successiva alle società di capitali. Insomma, mattone e micro imprese, i punti di forza dell’economia italiana.
Per lo stimolo alla crescita, si conferma la cosiddetta flat tax incrementale per i lavoratori autonomi, che tassa al 15 per cento gli incrementi di reddito rispetto agli anni precedenti, annunciandone l’estensione ai lavoratori dipendenti. Una misura che forse incentiverà qualcuno a produrre più reddito ma che certamente indurrà un forte perdita di gettito sull’evoluzione spontanea degli stessi redditi.
Fattore evasione
Poi c’è la grande questione dell’evasione, il problema più serio del nostro sistema tributario. Si propone la piena utilizzazione delle banche dati a disposizione del fisco, il potenziamento dell’analisi del rischio e le soluzioni di intelligenza artificiale. Benissimo, è proprio ciò che serve. Peccato che poi si introduce la possibilità per il contribuente di concordare preventivamente con l’Agenzia delle entrate il reddito tassabile per i successivi due anni. Ovvi, come è stato osservato da Stefano Lepri su La Stampa, gli spazi che si aprono per corruzione e concussione. Con il che la restaurazione, il ritorno al mondo pre-riforma del 1971, è completa.
Tra i principi generali non mancano le due dimensioni dell’equità, quella verticale (la progressività) e quella orizzontale che prevede la stessa imposta a parità di capacità contributiva. Entrambe, in realtà, vengono gravemente peggiorate nell’immediato. Ma non c’è da disperare: per il futuro c’è la promessa, irrealizzabile, di una flat tax per tutti.
Consola il fatto che la riforma non sarà fatta in disavanzo ma come ricorda l’ultimo articolo della proposta di legge delega eventuali oneri finanziari saranno coperti con minori spese o aggravi di imposte.
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