Oltre due milioni di persone beneficerebbero del salario minimo, che la proposta dell’opposizione fissa a 9 euro l’ora. Sindacati ed esperti sono divisi: le paghe sono troppo basse, ma una soglia per legge può avere effetti negativi. Re David (Cgil): «La contrattazione collettiva non sarebbe indebolita». Le storie di chi lavora e non arriva alla fine del mese
«Ho una paga base di 5,60 euro l’ora e uno stipendio mensile di 1.090 euro. Contando la tredicesima spalmata e i 100 euro di Draghi sono sugli 800 euro reali per un lavoro full time». Mirko lavora come guardia giurata per un’azienda privata del porto di Civitavecchia, nel Lazio. Prima ha lavorato in un SerT con un contratto da portierato, pur svolgendo un servizio di vigilanza. È solo uno dei tanti italiani – da colf e badanti ai lavoratori stagionali, due milioni e mezzo secondo le stime Inapp – che beneficerebbero di un salario minimo legale, una soglia della retribuzione fissata in modo uguale per tutte le categorie e sotto la quale non si potrebbe scendere.
Il testo presentato da Pd e M5s, Avs, Più Europa e Azione, rinviato per la seconda volta in commissione alla Camera, introduce un minimo salariale di 9 euro lordi l’ora valido sia per i lavoratori subordinati che per rapporti diversi «con analoghe necessità di tutela». La legge incontra più favori tra i cittadini e nelle stanze della politica che tra i sindacati e gli esperti di lavoro. Ha compattato il “campo largo” e ha messo in difficoltà il governo, che non può dirsi troppo contrario a una proposta che piace molto agli elettori (anche al 71 per cento di chi vota Fratelli d’Italia).
Ma sul tema il dibattito è aperto, con favorevoli e contrari tra le parti sociali. Se Cisl e Uil sono tendenzialmente contro, la Cgil ultimamente si è detta a favore. Una posizione su cui da tempo convergono i sindacati di base: «In Italia gli stipendi sono in calo da trent’anni, mentre aumentano il costo della vita, la precarietà, le delocalizzazioni. Serve un salario minimo per legge a 10 euro l’ora con l’adeguamento annuale all’inflazione», rilancia Federico Fornasari, membro della federazione del sociale Usb.
Lavori sottopagati
In Italia la contrattazione collettiva copre oltre il 92 per cento dei lavoratori, più del minimo previsto dalla direttiva Ue in materia. Per la Fondazione dei Consulenti del lavoro – l’ordine presieduto per 18 anni dalla ministra Marina Calderone e alla cui guida c’è ora il marito – su 61 contratti collettivi, individuati tra i più rappresentativi, 39 presentano minimi retributivi superiori ai 9 euro e (solo) 22 sono al di sotto. Questi ultimi, nella gran parte dei casi, hanno livelli che oscillano tra gli 8 e gli 8,90 euro.
Esistono poi contratti collettivi che hanno minimi retributivi inferiori, ammette la Fondazione evocando il contratto di vigilanza privata di 3,96 euro netti che la Cassazione ha dichiarato incostituzionale. In quel settore una mensilità si aggira sui 700 euro, al di sotto della soglia di povertà che l’Istat fissa sugli 800 euro. «Ci sono laureati in storia dell’arte che non riescono a lavorare nei musei come personale pubblico, dato che i concorsi sono troppo pochi. E allora vengono inquadrati come guardie giurate», denuncia Fornasari. Conoscono le lingue e le opere esposte ma hanno un contratto “servizi fiduciari”, per cui lavorano dodici ore al giorno per mettere insieme uno stipendio.
«I settori più a rischio sono quelli in cui si lavora a piccoli gruppi in un luogo diverso dall’azienda: le imprese di pulizia che pagano 6,83 euro l’ora, le portinerie degli uffici – spiega Francesca Re David, che fa parte della segreteria nazionale della Cgil – Invece nell’industria non ci sono contratti sotto i 9 euro e spesso c’è la contrattazione di secondo livello», dice alludendo a Confindustria, toccata solo di striscio dal salario minimo e non apertamente contraria.
L’Istat ha però evidenziato che a determinare la condizione di dipendente a bassa retribuzione sono la ridotta durata dei contratti e il numero contenuto di ore lavorabili, più che la presenza di bassi salari. «Posso anche prendere 20 euro l’ora, ma se lavoro dieci ore a settimana o tre mesi l’anno rientro tra i lavoratori sottopagati. Ho un salario orario elevato, ma non guadagno certo abbastanza», nota Maurizio Del Conte, ordinario di diritto del lavoro all’Università Bocconi.
A questo si unisce il problema dei lavoratori in nero, che colpisce settori come quello del lavoro domestico, con molte colf e badanti che un contratto nemmeno ce l’hanno. Senza contare che in alcune circostanze il salario minimo non sarebbe applicabile. È il caso dei rider, che spesso hanno rapporti a prestazione occasionale o a partita Iva: oltre a non aver diritto a tutele come la disoccupazione o il Tfr, non beneficerebbero in alcun modo della nuova misura.
Sindacati più deboli
«Temo che gli svantaggi di un minimum wage sarebbero superiori ai vantaggi. Non darebbe nessun contributo al rilancio della contrattazione collettiva e delle retribuzioni medie, che sono il nostro vero problema, e anzi rischierebbe di depotenziarla – aggiunge Del Conte, che tra il 2016 e il 2019 ha guidato Anpal, l’Agenzia per le politiche attive del lavoro – Per questo sorprende che un pezzo del sindacato abbia cambiato idea e sia diventato a favore».
Introdurre il salario minimo potrebbe quindi privare la contrattazione collettiva del suo ruolo di garante dei lavoratori. È l’argomento accarezzato anche dal Cnel, che due settimane fa ha bocciato la proposta di legge delle opposizioni. Ma la tesi è contrastata dalla Cgil: «Avere una soglia minima sotto la quale non si può andare è un sostegno alla contrattazione, non il contrario. È un punto da cui partire per negoziare al rialzo. Le ferie, i permessi, la tredicesima dipenderanno ancora da noi», ribatte Re David.
Molto critico con il salario minimo è invece il mondo delle agenzie per il lavoro, che giocano un ruolo chiave nell’incontro tra domanda e offerta. «È la classica risposta semplice a un problema complesso. Se fissiamo una soglia e la applichiamo a tutti i settori, dai chimici agli agricoli, rischiamo una fuga dal contratto collettivo: sarebbe un incentivo per le aziende a disdire il contratto e applicare solo il salario legale», dice Agostino Di Maio, general manager di Assolavoro, l’associazione che riunisce le agenzie interinali.
La scorsa settimana Di Maio ha partecipato a “Il lavoro che cambia”, un evento organizzato da E-work, una delle agenzie che supportano le imprese nella ricerca di candidati e i candidati nella ricerca di lavoro. «L’Italia è un paese di mille chilometri con economie diverse da nord a sud, un costo della vita diverso, settori merceologici diversi – dice l’ad Paolo Ferrario – Per i bancari il minimo retributivo è di 13 euro l’ora, ma se si potrà pagare 9 euro qualcuno magari lo farà. Come si può immaginare la stessa paga nel settore bancario e nelle pulizie?».
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