La spesa per la sanità è destinata a calare: dal 6,7 per cento del Pil si passerà al 6,2 nei prossimi anni. Il ministro Schillaci aveva chiesto quattro miliardi in più, ma ne arriveranno solo la metà. Il governatore leghista Fedriga: «Chiediamo un aumento delle risorse». Il confronto tra le regioni che spendono di più e la qualità del servizio offerto
Giancarlo Giorgetti ha confermato che la legge di bilancio «finanzierà anche il rinnovo contrattuale del pubblico impiego, con particolare attenzione al settore sanitario». L’ipotesi è di detassare a un’aliquota bassa gli straordinari del personale medico. Ma il proposito del ministro dell’Economia non basterà a ridare fiato a un settore provato dalla pandemia e poi abbandonato alle carenze strutturali.
Anche perché dalla Nadef arrivano segnali poco rassicuranti. Nella Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza si legge che a legislazione vigente (cioè se il governo non interverrà) la spesa per la sanità calerà nei prossimi anni: dal 6,7 per cento del Pil nel 2022 si passa al 6,6 per cento nel 2023 e al 6,2 per cento dal 2024 in poi. In numeri assoluti si scende dai 134,7 miliardi di quest’anno ai 132,9 del prossimo.
Tagli alla sanità
Quanti soldi andranno alla sanità si saprà solo con la presentazione della manovra. Ma i segnali non sono buoni. Il ministro alla Salute, Orazio Schillaci, per l’anno prossimo aveva chiesto quattro miliardi in più, ma se andrà bene ne arriveranno la metà o al limite due e mezzo.
Le regioni chiedono più soldi per la sanità e al coro si uniscono anche i governatori di centrodestra. «Lo scorso anno sono state aumentate le risorse, ma chiediamo ancora un’integrazione sul fondo sanitario nazionale», ha detto Massimiliano Fedriga, presidente del Friuli-Venezia Giulia e della Conferenza delle regioni e province autonome. «Con i 3.500 medici che mancano da noi risolveremmo tutti i problemi di liste d’attesa in un giorno e mezzo», gli ha fatto eco il governatore del Veneto Luca Zaia.
Le critiche del Pd
Oggi in difesa della sanità pubblica si è levata anche la voce del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: «Il servizio sanitario è un patrimonio prezioso da difendere e adeguare. In questo la riflessione delle regioni, in dialogo con il paese e la società, è preziosa e importante» ha detto il capo dello stato, intervenuto a Torino alla seconda edizione del Festival delle regioni.
E unito è sembrato anche il Pd, all’attacco del governo sui tagli alla sanità pubblica. «Meloni continua a tagliare il servizio sanitario nazionale mentre un italiano su cinque rinuncia a curarsi a causa della crisi», ha detto la segretaria del Pd, Elly Schlein. «Il governo cerca un nemico al giorno e intanto smonta pezzo per pezzo il nostro diritto alla salute».
Pronto alla battaglia è anche il Movimento 5 stelle, che propone di rivedere il titolo V della Costituzione, togliendo la competenza alle regioni per centralizzare il sistema. Il tema animerà la manifestazione del 7 ottobre a Roma, voluta dalla Cgil con oltre cento associazioni; una mobilitazione che si propone anche di «assicurare il diritto alla salute e un sistema socio-sanitario che sia pubblico, solidale e universale».
Medici e infermieri
Un ulteriore definanziamento della sanità avrà effetti che non tarderanno a farsi sentire, in un paese in cui capita di aspettare un anno per fare una semplice ecografia all’addome, gli screening oncologici barcollano e mancano infermieri e medici.
Se la prima categoria soffre di gravi carenze diffuse (si stima che manchino 65mila professionisti), la scarsità di camici bianchi vale solo per alcune specialità: la crisi è diffusa in settori come l’emergenza, nelle chirurgie e nelle terapie intensive. Sono circa 3mila i dottori che lasciano ogni anno, di cui mille vanno all’estero e gli altri si spostano nel privato.
Le regioni bocciate
A gettare altre ombre sui meccanismi della sanità italiana è anche un rapporto della Corte dei conti, che confronta la spesa pro capite di ogni regione e i risultati ottenuti dalla sua sanità nelle aree dei “Livelli essenziali di assistenza” (area ospedaliera, sanità territoriale e prevenzione).
La correlazione tra i due fattori è tutt’altro che ferrea. In Molise, Valle d’Aosta, Abruzzo e Liguria la spesa per gli ospedali è oltre la media nazionale, ma i risultati sono modesti. In Emilia-Romagna e Toscana, invece, accade il contrario. Sette regioni su 21 hanno servizi insufficienti in uno o più settori: il quadro più nero arriva da Valle d’Aosta e Calabria, dove tutti e tre gli ambiti si fermano sotto la sufficienza.
Negli ospedali la spesa più alta si registra in Molise, che nonostante i suoi 1.436 euro per cittadino ha il punteggio Lea peggiore, mentre la provincia di Trento ottiene i risultati più brillanti, con soli 1.191 euro a persona. In medicina territoriale, invece, Lombardia e Veneto spendono meno di Puglia e Sardegna ma con risultati migliori.
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