Mattarella: «Patrimonio prezioso da difendere e adeguare». Affondo dem contro la Nadef: «Settore in crisi, un cittadino su cinque non si può curare. Servono almeno 10 miliardi. E la revisione del Pnrr taglia di oltre un quarto le case e gli ospedali di comunità»
Tagli alla sanità pubblica, scritti neri su bianco sulla Nadef, la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza approvato nell’aprile scorso, in cui sono segnati i paletti della prossima manovra di bilancio. Basta leggere bene il documento per capire una delle ragioni principali per le quali in queste ore il governo parla di altro, dalla presunta invasione dei migranti ai presuntissimi complotti europei. Mentre il presidente Sergio Mattarella, dal Festival delle Regioni di Torino, sottolinea che la sanità è «un patrimonio prezioso da difendere e adeguare», davanti a lui i presidenti e il ministro del Pnrr Raffaele Fitto lo applaudono con slancio. Ma gli applausi, come le chiacchiere, stanno a zero: il ministro della salute Orazio Schillaci ha già preso la prima sportellata dal collega dell’economia Giancarlo Giorgetti: aveva chiesto 4 miliardi, nella Nadef ne sono computati poco più di due.
Ignorato anche il ministro Schillaci
Il report del responsabile economico del Pd Antonio Misiani è severo: «Nella Nadef la spesa sanitaria è prevista in diminuzione: da 134,7 miliardi nel 2023 a 132,9 nel 2024. La sanità pubblica è in grave crisi: tempi di attesa sempre più lunghi, fuga dei medici verso il privato, carenza di infermieri», «Per riportare la spesa sanitaria pubblica in rapporto al il al livello del 2022 (6,7 per cento) servirebbero nel 2024 oltre 10 miliardi in più. Il ministro Schillaci ne ha chiesti quattro. Ma nemmeno su questo obiettivo minimale il governo Meloni ha preso impegni concreti. Nel frattempo, la revisione del Pnrr taglia di oltre un quarto sia le case che gli ospedali di comunità. È una scelta politica precisa di disinvestimento e privatizzazione della sanità pubblica».
Le opposizioni hanno deciso di fare una battaglia comune, sul modello di quella sul salario minimo, su pochi essenziali punti unitari: portare la spesa per la sanità al 7 per cento del Pil, un piano di assunzioni di medici e personale sanitario, una strategia per abbattere le liste di attesa e, anche, dire no all’autonomia differenziata che in questo settore porterebbe a un ulteriore divario fra regioni, «insomma finirebbero per “legalizzare” le differenze di trattamento fra nord e sud», spiega Marina Sereni, responsabile sanità Pd, «la Nadef disegna una prospettiva persino peggiore di quella che ci aspettavamo. Le regioni chiedono risorse in più, invece di fatto ci hanno presentato un piano di tagli. Un segnale di cecità e un campanello d’allarme».
Emiliano: andremo tutti in default
A dimostrazione di quello che sta succedendo, le parole del presidente della Puglia Michele Emiliano: «Se non c’è un aumento del fondo sanitario nazionale nella prossima legge di bilancio di almeno 4 miliardi, la sanità italiana è tecnicamente in default anche per le regioni più ricche e importanti» che tradotto in concreto significa «che non potremo fare assunzioni, non potremo abbattere le liste d’attesa. In Puglia dobbiamo inaugurare due nuovi ospedali per più di 1.200 posti e abbiamo bisogno che il fondo sanitario nazionale regga questo miglioramento della rete sanitaria». Non è un tema solo per le regioni governate dal centrosinistra. Anche il presidente del Friuli-Venezia Giulia, il leghista Massimiliano Fedriga, che pure invita i colleghi a non fare «liste della spesa», ammette che il fondo sanitario nazionale «va integrato».
Ma il governo non ci sente. Se ne riparlerà in aula. Nelle scorse settimane i confronti nella minoranza parlamentare sono iniziati. Sereni ha già finito il primo giro di incontri «bilaterali», cioè con i singoli rappresentanti delle forze politiche, ma ancora è presto per scrivere le proposte comuni. Gli obiettivi sono condivisi, resta da affilare gli strumenti. E i Cinque stelle hanno chiesto del tempo per maturare meglio le loro proposte.
Schlein: Meloni non cerchi un nemico al dì
Intanto però il governo va avanti, anzi indietro, e il Pd è partito lancia in resta, per provare a spostare l’attenzione dell’opinione pubblica dall’agenda della premier a quella delle necessità del paese. «Il governo continua a tagliare il servizio sanitario nazionale mentre un italiano su cinque rinuncia a curarsi a causa della crisi», spiega la segretaria Elly Schlein, «La situazione della sanità pubblica costringe sempre più italiani a non curarsi e la risposta del governo è tagliare ancora fondi: un atteggiamento gravissimo e incomprensibile che non faremo passare sotto silenzio. Tutte le persone devono sapere che Meloni mentre cerca un nemico al giorno sta smontando pezzo per pezzo il nostro diritto alla salute».
Dal Pd è un fuoco di fila. Dalla Nadef, aggiunge il deputato Arturo Scotto, viene confermata la tendenza a «ridimensionare la spesa per la salute e per il secondo anno consecutivo portarla sotto la media europea. Significa privare di un diritto universale milioni di cittadini e aprire la strada cinicamente alle assicurazioni private. Anziché perdersi in mille bonus, mettano almeno quattro miliardi sulla sanità».
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