Alle prese con la crisi del mercato dell’auto, la famiglia che controlla Stellantis investe lontano dall’Italia. Mentre l’inchiesta della procura di Torino e l’aperta ostilità di Palazzo Chigi può portare altri guai
Meno male che Thiago c’è, esultava il popolo bianconero a fine agosto. Thiago, ovviamente, è Thiago Motta l’allenatore che ha preso il posto di Max Allegri sulla panchina della Juventus.
I tre pareggi consecutivi senza gol delle ultime tre partite hanno un po’ raffreddato gli entusiasmi, ma siamo solo a inizio campionato e c’è tutto il tempo di rimettere le cose a posto. Insieme ai tifosi se lo augura anche John Elkann con casa Agnelli tutta.
Questione di soldi, certo, visto che nelle ultime tre stagioni sportive gli azionisti di comando hanno pompato 380 milioni nelle casse del club torinese assediato da scandali e conti in rosso, per non parlare dei modesti risultati sul campo. I soldi però in questa storia non sono tutto. C’entrano anche i simboli. E l’immagine.
Il declino della Juve, già vincitrice di scudetti in serie, ha accompagnato in questi anni la crisi della famiglia un tempo più potente del paese, ora costretta sulla difensiva e sempre più lontana dall’Italia, nei fatti e nei progetti per il futuro.
Scioperi e proteste
In questi giorni, poi, piove sul bagnato, dopo mesi di polemiche e tensioni. Dall’America lunedì è rimbalzatala l’indiscrezione su un possibile siluramento di Carlos Tavares, il manager che ha sin qui gestito l’integrazione tra Fca e Peugeot che ha dato vita a Stellantis. La notizia è poi stata ridimensionata: il gruppo starebbe solo pianificando la possibile successione del capoazienda, che ha il contratto in scadenza a inizio 2026.
Nulla di imminente, insomma, si affannano a smentire i portavoce della multinazionale, ma il solo fatto che se ne parli e che i rumors d’oltreoceano vengano rilanciati da autorevoli agenzie di stampa, suona come l’implicita conferma che il futuro di Stellantis è quanto mai incerto, tra profitti in calo e difficoltà di mercato negli Stati Uniti e in Europa.
La crisi morde soprattutto in Italia, dove i solenni impegni di rilancio degli stabilimenti si scontrano con la realtà delle fabbriche che lavorano a ritmo ridotto o addirittura, come a Mirafiori, sono costrette a chiudere per settimane a causa dello scarso volume degli ordini.
I sindacati hanno infine deciso di andare allo scontro frontale con la proprietà, proclamando per il prossimo 18 ottobre lo sciopero di tutti i lavoratori di Stellantis e dell’intero settore automotive con manifestazione nazionale a Roma. Non succedeva da quarant’anni che i dipendenti scendessero in piazza tutti insieme per protestare. E già questo fatto la dice lunga sulla gravità di una situazione che è confermata dai numeri. In base alle stime più recenti, quest’anno dalle fabbriche italiane del gruppo guidato da Tavares dovrebbero uscire circa 300mila auto, un numero lontanissimo dalle 521mila prodotte nel 2023.
Meloni ostile
L’ostilità dei sindacati si somma a quella del governo, che per bocca del ministro delle Imprese, Adolfo Urso, chiedeva a Elkann di investire in Italia per portare la produzione fino a un milione di veicoli, contando anche furgoni e simili che nel 2023 sono arrivati a quota 230mila. La richiesta governativa è sembrata fin da principio molto difficile da esaudire e ora, con il mercato dell’auto in frenata, quei numeri fanno ormai parte di un passato a cui difficilmente si ritornerà. Questo significa che la destra al governo avrà ancora gioco facile nell’attaccare la strategia di Stellantis “in fuga dall’Italia”. Del resto, l’anno si era aperto con le parole di Giorgia Meloni che descriveva gli Elkann come quelli che «hanno preso la Fiat e l’hanno ceduta ai francesi, hanno trasferito all’estero la sede fiscale e legale, hanno messo in vendita i siti delle nostre storiche aziende italiane».
Parole pronunciate a gennaio e seguite da uno stillicidio di dichiarazioni polemiche da entrambe le parti. E certo non sarà utile a calmare le acque l’annuncio di Stellantis che si prepara a lanciare in Italia due modelli dell’azienda cinese Leapmotor, presentati alla stampa in questi giorni. Per il momento, però, almeno una delle due vetture, la più piccola, non verrà assemblata in Italia, dove soprattutto Mirafiori soffre l’assenza di nuove produzioni, ma in Polonia, nello stabilimento di Tichy. Insomma, Stellantis altrove, certo non a Torino.
Il problema, per gli Elkann, oltre a John anche il fratello Lapo e la sorella Ginevra, è che dal capoluogo piemontese riemergono le vicende dello scontro tutto interno alla famiglia. Una contesa sull’eredità di Marella Caracciolo e prima ancora di Gianni Agnelli, innescata dalla denuncia di Margherita Agnelli, madre dei tre Elkann.
Parallela alla causa civile c’è l’inchiesta della procura della Repubblica torinese che tira in ballo un patrimonio miliardario occultato all’estero per sottrarlo al fisco italiano. Il sequestro preventivo per 74,8 milioni disposto dai magistrati nei giorni corsi è solo l’ultima puntata di una vicenda che avrà ancora tempi lunghi ma che potenzialmente potrebbe addirittura mettere in discussione gli assetti azionari del gruppo, ora controllato dagli Elkann, gli eredi designati dall’Avvocato.
Indagini e soldi offshore
I legali della famiglia si arroccano a difesa della buona fede dei loro clienti, che nel 2023, a inchiesta aperta, hanno corretto le loro dichiarazioni dei redditi aggiungendo anche gli introiti delle proprietà offshore, così come viene riaffermata la residenza svizzera di Marella Caracciolo, messa in dubbio da un gran numero di indizi, anche documentali, raccolti dalla Guardia di Finanza in questi mesi di indagini.
Inseguiti dai pm e dal fisco, in rotta di collisione con governo e sindacati, gli Elkann non possono fare altro che giocare in difesa, almeno in Italia, che però, ormai, appare sempre più lontana e marginale per una famiglia che gioca una partita globale. Lo confermano i conti della holding Exor, che ha appena pubblicato la relazione semestrale. La società guidata da John Elkann come amministratore delegato ha trasferito tempo fa la sede in Olanda e due anni fa ha abbandonato anche la Borsa di Milano.
Ebbene, nei primi sei mesi del 2024, Exor ha realizzato un utile monstre di 14,7 miliardi euro, dovuto al cambio dei criteri contabili con cui sono state valutate le partecipazioni. Dai conti però emerge anche che la partecipazione in Stellantis, un tempo il cuore dell’impero, a giugno valeva ormai solo il 22 per cento del totale degli investimenti in portafoglio. Il calo è proseguito anche durante l’estate, nei mesi in cui il titolo del gruppo automobilistico ha perso in Borsa un altro 25 per cento.
Il vero gioiello ormai è Ferrari, che sui mercati azionari vale il doppio di Stellantis, ed è diventata di gran lunga la partecipazione azionaria più importante di Exor, che ormai da anni investe soprattutto lontano dai confini italiani. La scommessa più importante è quella su Philips, l’ex gigante degli elettrodomestici con base in Olanda che si è trasformata in una multinazionale specializzata in tecnologie medicali.
Con una scalata in Borsa cominciata nell’agosto di un anno fa, gli Elkann sono diventati il principale azionista di Philips con il 17,1 per cento del capitale, una quota che fa dell’azienda olandese il terzo più importante investimento ad Exor, dopo Ferrari e sempre più vicina a Stellantis. Con la differenza che Philips ha visto aumentare il suo valore del 50 per cento in un anno, mentre Stellantis naviga in ribasso da mesi.
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