- A Venezia il comune ha affidato lo studio di fattibilità di un nuovo terminal terra mare che concentra buona parte dei flussi turistici in ingresso in città sul terreno del sindaco. Si tratta solo di uno dei tanti conflitti di interesse del primo cittadino Luigi Brugnaro.
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Intervistato dai quotidiani locali, ha evitato di rispondere su molte questioni, dicendo che questo giornale lo attacca per motivi politici e che vogliamo indebolire «un avversario politico». Tuttavia, anche quel poco che Brugnaro ha detto pubblicamente non torna.
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Prima di tutto sulla vicenda dell’area dei Pili, sui progetti che la riguardano e sulla sua edificabilità.
A Venezia il comune ha affidato lo studio di fattibilità di un nuovo terminal terra mare che concentra buona parte dei flussi turistici in ingresso in città sul terreno del sindaco. Si tratta solo di uno dei tanti conflitti di interesse del primo cittadino Luigi Brugnaro che, intervistato dai quotidiani locali, ha evitato di rispondere su molte questioni, dicendo che questo giornale lo attacca per motivi politici e che vogliamo indebolire «un avversario politico». Tuttavia, anche quel poco che Brugnaro ha detto pubblicamente non torna.
Il terreno del sindaco
Prima di tutto sulla vicenda dell’area dei Pili, sui progetti che la riguardano e sulla sua edificabilità. Lo studio di fattibilità che il comune ha da poco affidato prevede che si riversino in quell’area poco meno di 10mila persone al giorno.
Secondo quanto riporta il Corriere del Veneto, il patron di Umana ha dichiarato che quel terminal «lo aveva previsto il Pat (piano di assetto del territorio) approvato dal centrosinistra, da un certo assessore Ferrazzi. Io da imprenditore non volevo perché quell’area è edificabile e avrei potuto costruire, ma non ho mai voluto farlo, un milione di metri cubi».
Sul Gazzettino dichiara: «Quel lotto è edificabile da quando lo ho acquistato e credo dal 1965. Il Pat ha riconfermato e ha aggiunto la funzione del terminal. È un atto dovuto quando fai il piano della mobilità prevedere un approdo dove dice il Pat. Questa giornalista non si è informata di niente».
Intervistato dalla Nuova Venezia dice: «Ho già risposto mille volte. Abbiamo già fatto due consigli comunali. Ho detto come stanno le cose. Questa previsione del nuovo piano è un atto dovuto, previsto dal Pat.
Come stanno le cose
Il Piano di assetto del territorio di Venezia è stato approvato nel 2012, non era assessore Andrea Ferrazzi e ovviamente Brugnaro, proprietario del terreno, non era sindaco.
Il piano prevedeva diversi terminal, quello di Tessera, quello di Fusina che oggi è in funzione e serve Pellestrina e quello di San Giuliano.
La giunta Brugnaro ha adottato il progetto su Tessera, basato un accordo con l’aeroporto. Ma nel piano per la mobilità quel polo viene ridotto a un terminal stagionale, mentre si è aggiunto un terminal a Montiron vicino a Burano.
Brugnaro dice che la realizzazione del terminal a San Giuliano è un atto dovuto, eppure in altri casi la sua giunta non si è attenuta al Pat: per esempio sulla variante che modifica l’edificabilità dell’area dalla società Reyer riconducibile al sindaco acquistata dieci giorni prima della scelta del consiglio comunale oppure del progetto della torre a Mestre, realizzata dallo sponsor della squadra di basket del sindaco.
L’edificabilità
Soprattutto è falso che si poteva costruire su quel terreno, perché le costruzioni sono vincolate al rispetto della destinazione d’uso. E la destinazione d’uso di quel terreno è verde pubblico attrezzato. Significa che al massimo ci si potevano costruire impianti sportivi di base, un campo da calcio non un palazzetto dello sport e piccoli esercizi commerciali. Brugnaro, invece, nel 2018 presentò un mega-progetto, poi stoppato, tra le polemiche, con residenze e strutture ricettive riuscendo a far approvare un ordine del giorno in consiglio comunale.
Per di più il Pat aveva cancellato la possibilità di funzioni private quell’area, limitandola all’uso per “funzioni pubbliche”, dunque tutto in mano del comune. Infine il Pat non prevedeva lo scavo di un canale, addirittura sottolineava che le navi non compatibili dovevano sarebbero dovuto stare fuori dalla laguna.
L’attuale Pums invece prevede «l’individuazione di un’area di ormeggio per le imbarcazioni private» e lo scavo di un canale di collegamento tra il terreno di Brugnaro e il canale Vittorio Emanuele.
Sui suoi progetti per quell’area il sindaco imprenditore ha detto tutto e il suo contrario. Nella campagna elettorale del 2015, quella in cui si presentava per la prima volta sulla scena politica, ammise il conflitto di interessi e disse che non avrebbe fatto nulla. Dopo il mega-progetto del 2018, all’apertura della seconda campagna elettorale disse chiaramente che bisognava fare lì il palasport: «Un progetto che se mi voterete inserirò nel mio mandato». Nelle interviste dei giorni scorsi ha spiegato, rassegnato, che vista la situazione non lo farà e che a questo punto si farà a Tessera, coi soldi pubblici.
La storia dell’Abate Zanetti
Il sindaco al Gazzettino ha parlato anche dell’Abate Zanetti. Si tratta di una scuola del vetro con una storia prestigiosa, che il sindaco ha acquisito dagli enti locali, diventando proprietario dell’ultima quota durante la sua stessa amministrazione aprendo all’insegnamento privato e utilizzandolo anche come vera e propria vetreria per la produzione.
A proposito Brugnaro dice: «L’ho tenuta per una decina d’anni perdendo ogni esercizio dai 2 ai 400mila euro per tenerla in piedi. E hanno continuato ad offendermi, dicendomi che io facevo la settimana del vetro perché avevo l’Abate Zanetti. L’abbiamo restituita alla Fondazione Musei risanata e funzionante».
Questa risposta è molto interessante. Innanzitutto, perché Brugnaro dice di aver restituito una società che fa parte di quel trust che il sindaco ha sempre detto che era cieco, cioè privo di connessioni dirette con lui, per evitare conflitti di interesse. La scuola era partecipata dalla Salviati, una vetreria storica acquisita nel 2010, tramite Umana, controllata dalla ormai celebre LB Holding.
In secondo luogo perché l’ultimo bilancio disponibile della società, quello chiuso al 31 dicembre del 2019 quindi qualche mese prima dello scoppio della pandemia, racconta una storia abbastanza diversa.
La Abate Zanetti ha chiuso il 2019 perdendo 240 mila euro, il risultato operativo lordo è più pesante -322mila euro e il passivo totale è di un milione e 432mila euro. Tra 2018 e 2019 i costi della produzione sono diminuiti di 400mila euro scendendo a 1,2 milioni, ma contemporaneamente anche i ricavi sono crollati, scesi da un milione a 715mila euro «con un decremento di circa il 34 per cento», si legge, «sull’anno precedente». Il valore della produzione è passato da 1,2 milioni a poco più di 900mila euro.
Poi è arrivato il Covid che, si legge sempre nel bilancio, ha imposto la totale chiusura a partire dal 27 febbraio 2020. Oggi, quando Brugnaro dice che è stata riconsegnata sana parla di una società che è in realtà in liquidazione. Secondo quanto ha spiegato nell’agosto del 2020 lo stesso comune di Venezia tramite il vicesindaco Luciana Colle rispondendo a una interrogazione di una consigliera comunale, la Abate Zanetti ha ceduto il ramo d’azienda a un istituto privato, mentre i locali restano a disposizione anche della Fondazione. Per risanamento, infatti, si intende che i locali sono stati riconsegnati al comune che a sua volta li ha dati in concessione gratuitamente alla Fondazione Musei civici per nove anni, assieme ad alcuni macchinari.
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