Durante la gestione del francese Jean-Marc Chery le competenze industriali del sito di Agrate Brianza si sono fortemente indebolite. A favore della sede francese. Se il piano di tagli Ocean non venisse fermato, l’azienda italiana si troverebbe a fronteggiare gli esuberi
Dietro al botta e risposta fra il numero uno della StMicroelectronics, Jean-Marc Chery e il ministro dell’Economia italiano, Giancarlo Giorgetti, c’è in ballo il futuro dello stabilimento di Agrate Brianza, che rischia di finire in un cono d’ombra. Un’eventualità che il ministro a trazione leghista vorrebbe evitare visto che la Brianza resta uno dei bacini elettorali di riferimento per il gruppo di Matteo Salvini.
Ma andiamo con ordine. Due settimane fa è il nostro giornale a raccontare dello stallo nel consiglio di amministrazione della StM, società specializzata nella produzione di microprocessori, quotata e controllata in modo paritario dal Mef e dalla banca statale francese Bpifrance.
Mentre due giorni fa Chery ha rilasciato una dichiarazione al Sole 24 Ore, affermando di non essere a conoscenza della richiesta da parte italiana di rimuoverlo dal suo incarico, visto che era stato riconfermato con il pieno sostegno degli azionisti nel 2024. Non si è fatta attendere la risposta del ministero italiano che venerdì 14 marzo – a riprova di quanto anticipato da Domani – ha detto di essere pronto al veto per bloccare le delibere del cda. Ma cosa c’è esattamente in queste delibere? C’è per l’appunto un piano per adombrare Agrate.
Nei documenti depositati da StM alla Sec americana, il modulo 20-F obbligatorio per le aziende che hanno business all’estero, si dice che il 31 ottobre 2024 l’azienda ha annunciato «un nuovo programma di ristrutturazione per ridurre i costi globali e accelerare la capacità produttiva degli stabilimenti produttivi di wafer di silicio da 300 millimetri, ovvero gli impianti di Agrate e di Crolles in Francia, e quelli del carburo di silicio da 200 millimetri che viene prodotto a Catania e per ridurre i costi per un valore di non meno di 300 milioni l’anno da qui al 2027».
Un programma che, si legge nella documentazione, prosegue nel 2025 e seguirà le regolamentazioni applicabili in ogni paese.
L’effetto che fa
Per capire esattamente l’effetto di questa strategia su Agrate, è necessario entrare nel dettaglio dell’attività industriale di Stm sulle singole sedi. In Stm le produzioni a 300 mm sono state avviate a Crolles a fine anni Novanta, in ragione dei finanziamenti da parte dello stato francese, non disponibili in Italia. La fabbrica di Crolles si è sviluppata fino a superare la soglia critica (al di sotto della quale la produzione avviene in perdita) di 4mila fette di silicio la settimana già nel 2017.
Quello stesso anno, mentre alla guida della società c’era l’italiano Carlo Bozotti e Jean Mark Chery era il capo delle attività produttive, è stato avviato il progetto di fabbrica a 300 mm ad Agrate, finanziato dal governo italiano con 720 milioni di euro di contributi, incassati dalla società. Il progetto iniziale prevedeva la creazione di una linea produttiva da 8mila fette di silicio la settimana, da completare entro il 2025. Al giro di boa del nuovo consiglio di amministrazione, che ha visto Chery prendere la guida del gruppo, però, il piano originario è cambiato: tra il 2019 e il 2023 Stm ha investito per l’impianto sui 300 mm 1,7 miliardi di dollari in Italia e 3,9 miliardi in Francia.
La fabbrica Crolles 300 ha così raggiunto una capacità di 13mila fette di silicio a settimana. È stata poi annunciata una terza fase che ne raddoppierebbe la capacità. Ad Agrate 300, invece, il progetto si è fermato a metà, e nel 2024 ha raggiunto una capacità settimanale di 1.500 fette di silicio, in severo ritardo rispetto all’accordo di finanziamento col governo italiano, nonostante la domanda di mercato.
Trasferimenti di competenze
Nel frattempo è successo che diverse tecnologie produttive storicamente di Agrate sono state spostate nella fabbrica di Crolles, altre ancora sono state trasferite o sono in corso di trasferimento in Cina, a Singapore e Catania.
Il piano di fine ottobre indicato nel modulo 20-F depositato alla Sec – che è stato internamente denominato Ocean – prevede una riduzione dei costi di circa 900 milioni di dollari per rispondere alla delusione degli investitori ed è comprensivo di «un programma globale per ridisegnare la base manifatturiera accelerando la capacità produttiva a 300mm e ridimensionando la struttura di costo globale» che comporterebbe il progressivo phase-out delle produzioni in tecnologie BCD della fabbrica Agrate 200 mm (cioè i due terzi della capacità dell’impianto), con significative riduzioni del personale. È stata anche indicata una strategia gemella nelle due fabbriche 300 mm – cioè Crolles e Agrate – per quanto riguarda tecnologie e prodotti.
Da qui la preoccupazione occupazione: ad Agrate sono occupate circa 3.000 persone in produzione, oltre alle funzioni di supporto e all’indotto, e il piano traguarderebbe una riduzione di 1.500 persone, secondo dati ufficiosi. Questo piano per Agrate comprometterebbe la sostenibilità nel tempo e la vocazione di polo produttivo avanzato per le famiglie di prodotto sviluppate in Italia.
Agrate un futuro da satellite
La questione è che mentre nella fabbrica 300 mm di Crolles, forte di 25 anni di esperienza e dell’80 per cento della capacità, c’è già una taglia critica che ne assicura la perpetuità nel medio-lungo termine, lo stesso non si può dire per Agrate. Qui un futuro industriale basato solo sui 300mm, da poco avviati, è fragile, data l’attuale dimensione sotto taglia critica e l’incertezza di quando questa possa essere raggiunta.
La scelta di qualificare in parallelo tutte le tecnologie anche a Crolles toglie ad Agrate il ruolo industriale specifico che doveva avere e lo declasserebbe a impianto ausiliario a quello di Crolles, utile nelle fasi alte del ciclo della domanda. Al contrario, in ogni fase di domanda inferiore alle capacità complessive, sarà il sito di Agrate a pagarne i costi economici e occupazionali, fino a incontrare una crisi sufficientemente severa da metterne in discussione la continuità.
Già oggi le produzioni di circuiti integrati in Francia rappresentano il 38 per cento del fabbisogno (della società) e quelle in Italia il 20 per cento. «Il piano sembra traguardare un aggravamento di questo squilibrio proprio nel momento in cui, da alcuni anni, il governo italiano ha aperto a sostanziali contributi alle attività produttive», racconta un analista a Domani.
Ad alimentare il malcontento ci sono gli aumenti salariali accordati ai manager da parte dei consiglio di amministrazione: mentre i ricavi tra il 2023 e il 2024 sono scesi del 23 per cento e l’utile netto è sprofondato del 73 per cento, il compenso di Chery è cresciuto del 30 per cento, con incentivi approvati dal consiglio di sorveglianza, composto da membri nominati dai governi italiani e francesi.
© Riproduzione riservata