Per effetto degli oneri degli sgravi fiscali per l’edilizia è in arrivo un’altra revisione al rialzo del deficit pubblico e così sarà ancora più complicato trovare lo spazio nei conti pubblici per tagliare le imposte
E adesso non ci resta che sperare nelle Poste. Dopo la fortunata operazione sul Monte dei Paschi, Giancarlo Giorgetti ha una gran fretta di fare il bis. La vendita del 37,5 per cento della banca senese ha fruttato in totale al Tesoro oltre 1,5 miliardi di euro, sommando il risultato del collocamento di novembre a quello di martedì scorso. La manovra allo studio su Poste Italiane potrebbe invece garantire un incasso fino a 4,4 miliardi, che è il valore della quota controllata dal Mef, pari al 29,2 per cento.
L’operazione è ancora allo studio, ha chiarito Giorgetti ieri in audizione alla Camera. Serviranno settimane, o forse mesi, per passare dalle parole ai fatti. Il ministro dell’Economia, però, ha quanto mai bisogno di spargere ottimismo mentre all’orizzonte si profila la tempesta.
Interventi in corsa
Entro un paio di settimane, il prossimo 10 aprile, il governo deve presentare al Parlamento il Def, il documento che traccia il programma della finanza pubblica fino al 2027. In altre parole, andranno messi nero su bianco gli obiettivi da raggiungere sul fronte del deficit, del debito e della crescita in un quadro che faccia chiarezza, per quanto possibile, sui provvedimenti destinati a sostenere l’impalcatura dei conti pubblici.
Il problema, però, semplificando al massimo, è che sembrano proprio mancare le basi su cui fondare previsioni attendibili. L’incognita numero uno, come dimostra l’ennesimo intervento in corsa annunciato martedì sera, riguarda il Superbonus. È da febbraio dell’anno scorso che il governo sforna decreti che dovrebbero chiudere il rubinetto degli sgravi fiscali garantiti dalla misura varata nel 2020 dal governo Conte 2 (Cinque Stelle e Pd) ma in seguito difeso da tutti i partiti, compresi quelli dell’attuale maggioranza. Ogni volta però, a cose fatte, ci si è accorti che l’argine eretto in gran fretta dall’esecutivo non bastava a contenere l’onda di piena dei costi.
L’ultimo aggiornamento ha portato il deficit pubblico del 2023 dal 5,3 per cento al 7,2 per cento del Pil. Un’impennata di 40 miliardi dovuta in buona parte (ma non si esattamente quanto) all’effetto Superbonus. Le ultime indiscrezioni accreditano una nuova correzione al rialzo, addirittura verso l’8 per cento. Giorgetti ha spiegato martedì che la nuova revisione delle norme annunciata martedì, che prevede lo stop definitivo a sconto in fattura e cessioni dei crediti, vuol mettere «il punto finale rispetto all’impatto sul 2023».
Neppure il ministro, però, può negare che visti i precedenti riesce difficile fidarsi delle rassicurazioni di fonte governativa. Solo nei primi due mesi del 2024 i bonus edilizi sono costati in totale altri 14 miliardi alle casse dello Stato. Al conto manca ancora marzo, che difficilmente farà segnare cifre inferiori.
Crescita a rischio
L’ottimismo è merce rara anche sul fronte delle previsioni di crescita del Pil. Giorgia Meloni non si stanca di ripetere che l’Italia marcia a un’andatura più veloce rispetto alla media dei Paesi dell’area dell’euro. La sfida però si gioca su percentuali da zero virgola, che non bastano certo ad accreditare prospettive rassicuranti per i conti pubblici. Sull’andamento del Pil, infatti, si misurano deficit e debito. Ebbene, la Nota di aggiornamento (Nadef) dell’autunno scorso accreditava per il 2024 una crescita dell’1,2 per cento, già corretta al ribasso rispetto all’1,5 indicato nel Def della primavera 2023.
Nel Documento da varare entro il 10 aprile è quasi certa una nuova revisione. È possibile che il governo non scenda sotto l’asticella dell’1 per cento, anche se le previsioni della quasi totalità dei centri studi nazionali e internazionali non vanno oltre lo 0,8 per cento. Va poi considerato che quest’anno, e anche il prossimo, verrà a mancare quasi del tutto l’inflazione che ha l’effetto di gonfiare, grazie all’aumento dei prezzi, i valori nominali, compreso quello del Pil che andrà confrontarsi con deficit e debito.
Le tabelle della Nadef fissavano al 140,1 per cento e al 139,9 per cento il rapporto debito Pil per il 2024 e per il 2025, due obiettivi che a quasi sei mesi di distanza da quelle previsioni appaiono ancora più difficili da raggiungere. A maggior ragione alla luce delle promesse del governo, che certo non verranno sconfessate in queste settimane di campagna elettorale in vista delle
Europee.Impegni da mantenere
L’impegno solenne, ribadito in ogni sede, è quello di confermare l’accorpamento delle aliquote Irpef e il taglio del cuneo fiscale, che sono stati varati per il solo 2024. Queste due sole misure costano almeno 15 miliardi. Meloni però ha più volte annunciato che quest’anno il peso delle tasse scenderà ancora, con misure mirate a ridurre il prelievo per i redditi medi, quelli tra 40 e i 60 mila euro.
Sul fronte delle entrate va poi considerato anche l’impatto delle riforme fiscali varate in questi mesi. Non è da escludere che anche questi provvedimenti possano alla fine un costo non trascurabile.
Quelle appena citate sono solo le incognite principali che gravano sull’andamenti dei conti pubblici. Entro il prossimo 10 aprile il governo dovrà fornire risposte e numeri. Un compito difficoltoso di per sé, che diventa un pericoloso esercizio di equilibrismo se si considera il clima di campagna elettorale che si respira ormai da settimane.
Meglio concentrarsi, allora, sugli incassi extra da Mps e, forse, presto anche da Poste. Perché per Giorgetti le buone notizie per ora si fermano qui.
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