Il debito pubblico italiano? «È sostenibile», ripetono le fonti ufficiali del Tesoro e molti analisti internazionali, quelli che periodicamente sono chiamati a valutare la convenienza e la rischiosità dei nostri Btp.

Tutto vero, tutto giusto, ma gli investitori sono consapevoli che la montagna dei pagherò accumulati dal nostro paese è esposta a ogni movimento tellurico, anche di bassa intensità, della finanza internazionale. E così una singola fiammata che fa scattare al rialzo i tassi sul rischio sovrano finisce spesso per innescare una tempesta sui titoli di Stato targati Italia.

Fiammate estive

È successo di recente, per esempio, tra giugno e luglio, quando la paventata vittoria della destra nelle elezioni politiche in Francia ha messo in agitazione i mercati per qualche settimana. Tanto è bastato per spingere al rialzo i rendimenti dei Btp, un rialzo che in proporzione si è rivelato ancora maggiore di quello fatto segnare dai titoli di altri paesi ad alto debito come Grecia e Portogallo. E anche in Francia, epicentro della scossa, il movimento al rialzo dei rendimenti ha superato di poco quello registrato dalle emissioni nostrane.

L’allarme è rientrato nelle scorse settimane. Lo spread con il Bund tedesco ora galleggia intorno a quota 140 dai massimi di 155 dei primi d’agosto, quando c’è stato un altro scossone in Borsa, e il Btp a dieci anni rende il 3,6 per cento circa, distante dai 4,11 per cento di inizio luglio.

Guardare avanti

Tutte buone notizie, certo, ma i tecnici del ministero dell’Economia sono ben consapevoli che i risultati dei lavori in corso sul debito non vanno valutati nell’arco di pochi mesi. Lo stesso ministro Giancarlo Giorgetti non si stanca di ripetere che il governo è impegnato in una gara di fondo.

Proprio per questo motivo, quindi, è bene guardare avanti, per individuare i rischi che incombono sulla finanza pubblica. La strada resta tutta in salita, a maggior ragione mentre l’ammontare complessivo dell’indebitamento della pubblica amministrazione viaggia spedito verso la soglia psicologica (ma non solo) dei 3 mila miliardi di euro. A giugno, il dato più recente, siamo arrivati a 2.948,5 miliardi, un valore assoluto che preso di per sé dice poco.

Il discorso cambia se si considerano, per esempio, gli interessi che lo Stato è chiamato a pagare agli investitori che hanno comprato i nostri titoli. Nel Def di primavera il governo ha stimato che questa voce passerà dal 3,8 per cento del Pil fatto segnare nel 2023, al 3,9 per cento di quest’anno, per poi salire ancora al 4 per cento nel 2025, al 4,1 per cento nel 2026 e al 4,4 per cento nel 2027.

Interessi al top

La crescita si spiega in parte con l’aumento dei rendimenti dei Btp emessi fino alla fine del 2023, quando i tassi di mercato, per effetto delle decisioni della Bce, erano reduci da una lunga impennata. In cifre assolute la previsione è che nel 2025 la spesa per interessi supererà i 100 miliardi l’anno, oltre 20 miliardi in più rispetto ai 78,6 miliardi messi a bilancio nel 2023. Una somma enorme, che non ha eguali in Europa, che va a premiare gli investitori, compresi milioni di cittadini italiani, e d’altra parte sottrae risorse che invece potrebbero essere destinate a investimenti produttivi oppure per il welfare, dalla sanità alle pensioni.

Sarebbe sufficiente la diminuzione di un punto percentuale sugli oneri del debito pubblico per rendere disponibili almeno una ventina di miliardi che potrebbero essere dirottati su altre voci della spesa pubblica.

Le forbici di Lagarde

Negli ultimi anni, però, il governo si è trovato costretto a finanziare un fabbisogno crescente da parte delle amministrazioni pubbliche. Di pari passo sono aumentate anche le emissioni di nuovi titoli e siccome nel frattempo si sono impennati anche i tassi di mercato, la spesa per interessi non poteva che crescere. Ora al ministero dell’Economia sperano che a settembre la Bce inauguri una serie di tagli al costo del denaro. È molto probabile, però, che le forbici della presidente Christine Lagarde non basteranno a dare sollievo alle ansie del governo, almeno nell’immediato.

Le tabelle del Tesoro segnalano che l’anno prossimo scadono titoli di Stato, in larga parte Btp, per 240 miliardi e altri 270 miliardi nel 2026. Con la Bce che ha sospeso gli acquisti, la scelta di Palazzo Chigi è stata quella di puntare sempre di più sui piccoli risparmiatori italiani, all’inseguimento del mito del debito sovranista.

Una strategia che ha avuto un buon successo, grazie a prodotti nuovi come i Btp Italia e poi i Btp Valore. Nei mesi scorsi, però, i risultati dell’emissione più di quest’ultimo tipo di titoli dimostra che l’interesse degli italiani verso queste novità si è un po’ raffreddato.

Che fare allora per far fronte alle necessità del bilancio senza far crescere troppo la spesa per interessi? Una soluzione valutata dai tecnici del Tesoro sarebbe quella di lanciare nuovi titoli a scadenza molto lunga, a 30 o addirittura a 50 anni. In questo modo la curva al rialzo degli interessi verrebbe spostata un po’ più in là nel tempo. Come dire che il problema viene scaricato sui prossimi governi, senza contare che per emissioni pluridecennali il premio, e quindi i rendimenti, da offrire agli investitori sarebbero ben più elevati di quelli correnti. Chi vivrà vedrà, dice il saggio.

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