Nascosta dietro il paravento della “difesa del risparmio degli italiani”, la battaglia del governo per consegnare le Generali a una cordata di investitori amici, capeggiata da Francesco Gaetano Caltagirone e dalla famiglia Del Vecchio, sta per entrare nella sua fase decisiva. Il numero uno di Unicredit, Andrea Orcel, ieri ha fatto tappa a Palazzo Chigi, e la trasferta del banchiere, per quanto derubricata dalle fonti ufficiali a “visita di routine”, è un segnale chiaro che, dopo settimane di bluff, le parti si stanno preparando a mettere le carte in tavola.

Unicredit, come noto, vanta una quota del 5,1 per cento di Generali, una quota che potrebbe in qualche modo far pendere l’ago della bilancia da una parte o dall’altra nello scontro tra i soci filogovernativi e Mediobanca, che con il suo 13,1 per cento da decenni detta legge a Trieste.

Venerdì scorso, intervistato da Bruno Vespa nel corso del Forum in masseria a Saturnia, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giovanbattista Fazzolari ha messo in chiaro che l’esecutivo non ha nessuna intenzione di fare da arbitro nella partita che deciderà il destino della compagnia triestina, da sempre crocevia del potere finanziario nazionale. «In questa fase di risiko bancario ci sono delle situazioni che oggettivamente ci preoccupano, primi tra tutti questi movimenti che riguardano Generali», ha detto Fazzolari.

I sospetti di Meloni

Il riferimento è all’accordo tra l’assicurazione italiana e il gruppo francese Natixis per unire nelle forze nella gestione di patrimoni, creando un colosso globale con 1.900 miliardi di euro in gestione. Il timore di Giorgia Meloni, di cui si è fatto portavoce il fido Fazzolari, è che l’operazione consegni in mani straniere decisioni strategiche sulle centinaia di miliardi che gli italiani hanno affidato a Generali.

A poco sono servite le rassicurazioni inviate da Trieste sul fatto che la compagnia “continuerebbe ad avere piena autorità sull’allocazione delle risorse”, come si legge nei comunicati ufficiali. Anzi, dalle parti di Palazzo Chigi, c’è il timore che la rapidità con cui il 21 gennaio è arrivati alla firma di un preaccordo sarebbe un segnale chiaro che l’amministratore delegato di Generali, Philipe Donnet punta a chiudere l’intesa in primavera. Anche la decisione di anticipare l’assemblea della compagnia dall’8 maggio al 24 aprile (l’ultima parola in proposito spetta al cda del prossimo 12 marzo) contribuisce ad alimentare la tensione.

Grandi manovre in Borsa

La cordata che vorrebbe dare il benservito a Donnet si trova infatti costretta ad accelerare i tempi per presentare entro il 9 aprile la propria lista di candidati per il board che andrà ad aggiungersi a quella dell’azionista principale Mediobanca (forte del 13,1 per cento del capitale) con Donnet nel ruolo di ad. In Borsa poi c’è chi ritiene che la cordata di Caltagirone stia comprando titoli Generali in vista della resa dei conti di fine aprile. Anche in questo caso, l’anticipo dell’assemblea riduce i tempi a disposizione per mettere a segno nuovi acquisti sul mercato.

Al momento Caltagirone è accreditato di una quota del 6,5 per cento circa che si aggiunge al 9,9 per cento di Delfin, la holding lussemburghese dei Del Vecchio. Un ‘ipotesi molto accreditata in Borsa è che il costruttore ed editore romano punti ad avvicinarsi alla soglia del 10 per cento.

Un copione simile a quello già andato in scena nei giorni scorsi sul Monte dei Paschi. Nella banca senese, che punta a rilevare Mediobanca con un’Offerta pubblica di scambio (Ops), pure in questo caso con una scalata sponsorizzata dal governo, Caltagirone sarebbe già salito dal 5 all’8 per cento.

Intanto, la giostra delle voci ha messo le ali al titolo Generali che da un paio di settimane oscilla intorno a quota 32 euro, mai raggiunta in passato. Il rialzo supera il 15 per cento in tre mesi con volumi di scambi in forte aumento a partire da febbraio. Un pacchetto del’1 per cento della compagnia vale circa 500 milioni, giusto per dare un’idea della dimensione dello scontro e dei capitali che i contendenti sembrano pronti a mobilitare pur di prendere il controllo delle attività finanziarie e del gigantesco patrimonio immobiliare delle Generali.

In un contesto in continua evoluzione come quello appena descritto, Orcel potrebbe avere gioco facile a mettere all’asta la quota del 5,1 per cento nel capitale della compagnia triestina accumulata negli ultimi mesi. Quei titoli si prestano a essere usati come merce di scambio per ammorbidire la posizione del governo sull’Ops lanciata dalla Unicredit sul BancoBpm. Visto l’andamento in Borsa delle azioni coinvolte, l’offerta da 10 miliardi di euro dovrà essere rivista al rialzo per avere una qualche probabilità di successo.

Questo però non è l’unico problema che Orcel dovrà risolvere. Dalle fila della maggioranza, in particolare dalla Lega, sono arrivare parole ostili contro questa scalata annunciata nel novembre scorso.

Golden Power

L’acquisizione andrà comunque valutata in base alle norme del Golden Power e anche se difficilmente l’esecutivo potrà ordinare uno stop, Palazzo Chigi sarebbe comunque in grado di rendere meno vantaggiosa l’operazione imponendo una serie di condizioni relative, per esempio, alla tutela dell’occupazione o al numero degli sportelli da cedere a tutela della concorrenza.

Cresciuto alla scuola delle grandi banche d’affari americane, in trent’anni di carriera Orcel si è guadagnato la fama di abile negoziatore, capace, se necessario di giocare su più tavoli. In questo caso le partite che si incrociano sono addirittura tre, visto che Unicredit potrebbe aver bisogno di una mano dal governo anche per completare la scalata alla tedesca Commerzbank, osteggiata dalla politica a Berlino. Unicredit può mettere sul tavolo una quota di Generali che ora vale più di 2,5 miliardi. Tra poco capiremo se basteranno a chiudere i giochi, oppure se Orcel, già soprannominato il Ronaldo dei banchieri, dovrà rinunciare al Pallone d’oro.

© Riproduzione riservata