Come se fosse una puntata di Affari tuoi, il programma dei pacchi su Raiuno, Wiz ha deciso di «rifiutare l’offerta e andare avanti». L’offerta in questo caso è la più importante che Google abbia mai fatto per acquisire una società, ben 23 miliardi di dollari, secondo le indiscrezioni riportate dal Wall Street Journal e mai smentite. La volontà di procedere si traduce con l’annuncio della futura quotazione in Borsa, un debutto che potrebbe arrivare presto e che proprio l’interesse di Google potrebbe aver accelerato.

Perché sbarcare a Wall Street con in dote un tale interessamento è un ottimo biglietto da visita. Ma ce n’è anche un altro: il disastro informatico che ha coinvolto la scorsa settimana Crowdstrike, una società dello stesso settore di Wiz (quello della cybersicurezza). E anche se le due piattaforme non sono proprio identiche, il danno reputazionale che ha coinvolto Crowdstrike potrebbe essere un altro acceleratore, capace di attrarre clienti e investitori, con la promessa di una maggiore affidabilità.

Ovviamente di tutto questo non c’è traccia nelle comunicazioni che sono filtrate dal cuore dell’azienda, con il ceo Assaf Rappaport che si è limitato a dire, in una comunicazione inviata ai suoi dipendenti, che «dire di no a offerte così promettenti è dura. Ma abbiamo sperimentato una convalida del mercato che rafforza soltanto il nostro obiettivo».

Investimenti

In realtà i segnali dell’interesse del mercato per Wiz c’erano già tutti e da tempo: a maggio la società era stata valutata 12 miliardi di dollari, praticamente la metà di quanto Google avrebbe speso, ma comuna una cifra notevole. Soprattutto, quando ancora era una piccola start up, Wiz ha iniziato a raccogliere montagne di finanziamenti “a rischio” degli investitori. Le varie grandi società di venture capital hanno offerto quasi 2 miliardi di dollari e non è scontato per una start up che non si occupa direttamente di intelligenza artificiale.

Se l’affare con Google fosse andato in porto, gli investitori ora starebbero stappando bottiglie di champagne e incassando un profitto stellare. Ovviamente, visto come si stanno mettendo le cose, la sensazione è che il ritorno dell’investimento non sia comunque in dubbio. Le bottiglie possono già essere messe in ghiacciaia.

Farcela da soli

O almeno è questa la scommessa di Rappaport, che ritiene che la sua creatura possa farcela da sola e possa presto raggiungere il traguardo del miliardo di dollari in fatturato ricorrente (ora è a 500 milioni di dollari). La quotazione in borsa sarebbe il passo successivo che si immagina possa avvenire entro pochi anni, secondo una fonte riportata sempre dal Wall Street Journal.

Ma c’è probabilmente anche un altro aspetto che ha influito nella scelta di rifiutare l’accordo. Come avevamo spiegato, era probabile che l’antitrust americana avrebbe voluto vederci chiaro. Secondo vari esperti, non significava per forza che avrebbe posto il veto sull’operazione, ma quasi sicuramente avrebbe richiesto lunghi approfondimenti. Avrebbero avuto forse poche conseguenze per Google, ma potenzialmente enormi per Wiz, che si sarebbe trovata in un pericoloso limbo.

Inoltre, non era chiaro se Wiz sarebbe rimasta indipendente o sarebbe stata fagocitata da Google. Qualcosa di simile era successo nel passato di Rappaport, quando la sua primissima start up – chiamata Adallom – era stata acquisita da Microsoft, che poi l’ha trasformata nello scheletro del suo sistema di cyberdifesa.

Start up israeliane

Forse negli affari non è vero che per ogni porta che si chiude si apre sempre un portone. Ma potrebbe succedere ora, in un contesto in cui le start up di cybersicurezza di origine israeliana sono in grande ascesa. Aziende come Palo Alto Networks, Check Point e Fireblocks – tutte nello stesso settore – hanno in comune le stesse radici.

Ovvero, sono state fondate da ex ufficiali dell’esercito israeliano che hanno sviluppato le loro competenze nell’Unità 8200, la sezione dell’esercito israeliano dedicata alla cybersicurezza. Proprio lì si sono conosciuti anche i fondatori di Wiz: oltre a Rappaport, Ami Luttwak, Yinon Costica e Roy Reznik. Oggi la società ha il quartiere generale a Menlo Park, nel cuore della Silicon Valley, dove c’è anche il quartier generale di Facebook. Ma mantiene una sede distaccata anche a Tel Aviv.

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