- Si vota per scegliere il candidato sindaco, destinato quasi sicuramente a vincere le elezioni del prossimo novembre.
- Nonostante il virus, la campagna elettorale è dominata da un tema che ritorna ciclicamente in città: la paura del crimine e quella per la propria sicurezza.
- Gli elettori democratici sono divisi: tra chi teme di più l’aumento dei reati durante la pandemia e chi, soprattutto tra le minoranze, ha più paura della polizia.
Se non fosse per la luce emanata dagli enormi schermi che coprono i palazzi, per la quale sembra che sia sempre giorno, Times Square sarebbe stata quasi irriconoscibile in questo ultimo anno. Si è svuotata di turisti, e davanti a ristoranti e negozi chiusi sono rimasti visibili solo i senzatetto.
Alcuni dicono che anche durante la pandemia abbia rappresentato “New York on steroids” ovvero le trasformazioni subìte dalla città all’ennesima potenza. Nelle ultime settimane, con più della metà dei newyorchesi completamente vaccinati, anche l’iconica piazza ha ricominciato a popolarsi, ma ancora una volta è stata teatro di un evento eclatante, un fatto che rappresenta una questione tanto attuale quanto vecchia per New York e i e i suoi abitanti: il senso di sicurezza e la lotta alla criminalità.
Una sparatoria
Un sabato pomeriggio di inizio maggio, sulla 45esima strada, è scoppiato un litigio tra due fratelli, entrambi venditori ambulanti. Uno dei due ha tirato fuori la pistola e sparato dei colpi, mancando l’obiettivo ma colpendo e ferendo tre persone che non si conoscevano: due donne in visita a New York e una bambina di quattro anni che da Brooklyn era stata portata a Manhattan per comprare dei giocattoli.
La notizia dell’accaduto ha fatto il giro del mondo e ha infiammato il dibattito politico delle primarie del Partito democratico in vista dell’elezione del prossimo sindaco. Il giorno successivo alla sparatoria, due dei candidati favoriti nei sondaggi, Andrew Yang ed Eric Adams, si sono recati sul posto.
Yang, un imprenditore nato da genitori taiwanesi e cresciuto fuori città, ha commentato dicendo che «New York non può permettersi di togliere fondi alla polizia». Adams, un ex poliziotto nero cresciuto in una zona povera del Queens, ha ribattuto dicendo che Yang dovrebbe vergognarsi di essersi svegliato solo adesso.
Il giovedì seguente, su Zoom, si è tenuto il primo dibattito tra gli otto candidati. Due ore in cui non si è trovato il tempo di parlare di salute pubblica nonostante i 33mila residenti morti di Covid-19, ma in cui, fin dalle prime battute, si è discusso animatamente di crimine, polizia e sicurezza, ovvero le questioni che probabilmente determineranno l’esito di queste primarie e dunque – in una città a netta prevalenza democratica – l’elezione del sindaco.
Omicidi in aumento
Ora che la diffusione del virus sembra essere più sotto controllo, i sondaggi rivelano che la principale preoccupazione dei newyorchesi è il crimine. Un sentimento diffuso che è stato alimentato dallo scenario creatosi nel picco della pandemia, con metropolitane poco frequentate, strade vuote e isolamento forzato anche in situazioni abitative e sociali di disagio.
E che è corroborato dai dati: nei primi tre mesi del 2021 sono state colpite con armi da fuoco 246 persone, il numero più alto per lo stesso periodo dell’anno dal 2012. Anche gli omicidi sono aumentati: secondo i dati diffusi dalla polizia, nel 2020 sono state uccise 426 persone, il 45 per cento in più rispetto all’anno precedente.
Detto questo – per contestualizzare i numeri – New York continua ad avere un tasso di omicidi decisamente inferiore rispetto a quello di molte città americane e a quello che registrava 20 anni fa.
Non è la prima volta che la paura per il crimine influenza così fortemente l’elezione di un sindaco. Anzi, la questione della sicurezza ha sempre dominato la scena politica e segnato le sorti dei suoi protagonisti. Per comprenderlo non è necessario tornare indietro fino agli anni Trenta quando l’allora sindaco Fiorello La Guardia combatteva il crimine organizzato confiscando e distruggendo flipper (visti come emblemi del gioco d’azzardo) e proibendo il commercio di carciofi il cui mercato era in mano alla mafia.
E neppure agli anni Settanta, quando ad Albany, la capitale dello stato di New York, l’allora governatore Nelson Rockefeller pensò di fermare la diffusione del consumo e spaccio di droghe per le strade della metropoli con leggi che estendevano e inasprivano le pene anche per reati minori. Leggi per cui Rockefeller viene ricordato ancora oggi quando si analizzano le cause dell’incarcerazione di massa sull’onda della “war on drugs”, la guerra alle droghe, dichiarata dal presidente Richard Nixon.
Metamorfosi di Times Square
Per comprendere quanto la questione della criminalità innervi la storia politica di New York, è sufficiente tornare indietro di qualche decina di anni e restare a Times Square. Tra gli anni Settanta e Novanta l’iconica piazza è stata infatti la cartina di tornasole di una delle trasformazioni più radicali della città.
Da ombelico della “perdizione” – con negozi di articoli porno, decine di locali di striptease e piccoli alberghi a ore – Times Square si è trasformata nella mecca disneyana del turismo che è ancora oggi.
Artefice del cambiamento è stato l’allora sindaco Rudolph Giuliani, poi divenuto legale di Donald Trump, oltre che uno dei suoi più fedeli sostenitori. Giuliani, che ha guidato New York per due mandati, dal 1994 al 2001, si è ostinato a far rientrare Times Square tra le zone commerciali in cui sono proibite attività “solo per adulti”, nonostante la maggioranza di queste fossero legali.
L’iniziativa faceva parte di una più generale lotta al crimine, intrecciata in modo più o meno esplicito ad una campagna di “moralizzazione” delle strade. Durante la campagna elettorale del 1993 la principale promessa di Giuliani fu quella di restituire gli spazi aperti ai “comuni cittadini”, eliminando prostituzione e piccoli crimini legati allo spaccio di droga.
La sua strategia per “ripulire” la città e ripristinare una certa qualità della vita fu adottare un approccio a “tolleranza zero” nei confronti di tutto quello che poteva destare un senso di insicurezza nei residenti. Appena eletto, ha nominato a capo della polizia William Bratton che ha applicato la teoria delle “finestre rotte”, secondo la quale un palazzo con un vetro rotto è più probabile che venga vandalizzato e sfasciato rispetto a uno integro e in buone condizioni.
Allo stesso modo, secondo Bratton e Giuliani, reprimere anche piccole infrazioni e reati, come scavalcare il tornello della metropolitana per non pagare il biglietto o scrivere sui muri, avrebbe portato a una diminuzione di crimini più gravi.
Secondo i dati trasmessi allora dall’amministrazione, tra il 1993 e il 1997 il numero di denunce per crimini è sceso del 44 per cento. Giuliani è stato rieletto, mentre nel 1998 Bratton ha pubblicato un libro che ha contribuito alla sua fama di stratega della polizia, una sorta di manuale per sconfiggere quella che nel titolo stesso viene definita “l’epidemia di crimine”.
Ciò che l’amministrazione di Giuliani ha evitato di pubblicizzare è invece l’altro lato della medaglia, ovvero il proporzionale aumento di denunce per comportamenti violenti e scorretti da parte della polizia. Secondo il registro delle denunce civili, tra il 1992 e il 1996 le segnalazioni di questo tipo sono aumentate del 60 per cento. Ed è su questo cortocircuito – la paura del crimine che si sovrappone a quella per l’operato della polizia – che si è costruito il dibattito politico in tema di sicurezza negli anni a seguire.
Lo dimostra anche il successore di Giuliani, il miliardario Michael Bloomberg, anche lui eletto per due mandati. Bloomberg ha segnato profondamente l’economia di New York, creando un terreno ideale per gli investimenti privati e dando una grande spinta al mercato immobiliare, oltre che al divario economico tra i cittadini.
Ha anche “riqualificato” la zona di Coney Island attraverso la stessa strategia di “rezoning” di Giuliani, cercando come il suo predecessore di lasciare il marchio nella storia di un quartiere. Tuttavia, la ragione per cui viene ricordato di più è un’altra. La pratica dello stop-and-frisk, che sotto Bloomberg è stata utilizzata in modo sistematico, per la quale la polizia era autorizzata a fermare ed eventualmente perquisire chiunque sulla base di sospetti arbitrari, e dunque potenzialmente razzisti e discriminatori. Durante la sua amministrazione il numero dei fermi è aumentato di sette volte, passando da 97.296 nel 2002 a 685.724 nel 2011.
I dati parlano da soli: il 90 per cento delle persone che sono state fermate, e lo sono tutt’ora, sono neri o latini. È proprio lo stop-and-frisk che è costato a Bloomberg la campagna nelle ultime elezioni presidenziali, nonostante – messo all’angolo – abbia anche ammesso di aver fatto un errore.
Due paure a confronto
Se per Bloomberg si è rivelato una condanna, per il sindaco uscente, e suo successore, Bill de Blasio, lo stop-and-frisk è valso forse l’elezione. Sebbene nei primi anni della sua amministrazione ci siano stati tentativi di riformare e limitare l’uso della pratica, di fatto i fermi sono di nuovo aumentati tra il 2018 e il 2019, fino a diventare uno dei temi centrali delle proteste contro le azioni violente e razziste del corpo di polizia, esplose la scorsa estate in tutti gli Stati Uniti, New York inclusa, a seguito della morte di George Floyd.
È sull’onda di questa ribellione, guidata dal movimento Black lives matter, che è entrata a gamba tesa in tutti i dibattiti di politica locale l’espressione “defund the police”, ovvero “taglia i fondi alla polizia”.
Espressione che ci riporta alla Times Square di queste ultime settimane, all’aspro scambio di battute tra Yang e Adams e più in generale alle primarie in corso. Si tratta di primarie di un solo partito, ma lo spettro delle posizioni dei candidati potrebbe essere abbastanza ampio da coprire lo spazio tra una presunta sinistra che rompe con la sinistra e una sinistra radicale.
Tra i favoriti, oltre a Yang e Adams, c’è anche Kathryn Garcia, che ha ricevuto l’appoggio ufficiale del New York Times e del New York Daily News. Nessuno dei tre è favorevole all’idea di tagliare i fondi al corpo di polizia. A differenza, per esempio, di Maya Wiley, avvocatessa per i diritti civili che ha ricevuto l’endorsement della deputata Alexandria Ocasio-Cortez.
Wiley nel corso di un dibattito ha anche attaccato Adams su un altro fronte, quello delle armi da fuoco. Adams infatti, in quanto ex poliziotto, spesso porta con sé una pistola. «Non ti sembra di dare un cattivo esempio ai nostri ragazzi?», gli ha chiesto Wiley, per poi sentirsi raccontare di come l’arma sia stata utile a fermare dei crimini anche quando non era in servizio.
La questione delle armi da fuoco è tra l’altro particolarmente calda in questo momento, dato che riguarda una delle cause che prenderà in esame la Corte suprema federale e il cui esito potrebbe ridurre i forti limiti imposti al possesso e uso di armi a New York e non solo. Il New York Times ha titolato di recente un suo lungo articolo: “New York è tornata. Adesso ha una seconda possibilità”. L’impressione però è che in queste elezioni si stia aggrappando alla paura, indecisa se sia più forte quella nei confronti del crimine o quella nei confronti della polizia.
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