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Ottanta casi di abuso sono stati accertati dal centro di ascolto della diocesi di Bolzano-Bressanone per un arco di tempo che va dal 1945-50 fino agli anni Novanta. Teatro delle violenze sono gli istituti diocesani e religiosi, i convitti, le parrocchie e le sacrestie, le classi di catechismo, i campi estivi, gli oratori.

È quanto si legge nel report del Servizio diocesano per la prevenzione e la tutela dei minori da abusi sessuali e da altre forme di violenza: «Un dato che rappresenta soltanto la punta dell’iceberg rispetto a un fenomeno che la chiesa ha trascurato per decenni e che si potrebbe tranquillamente moltiplicare per dieci», afferma il responsabile, il sacerdote Gottfried Ugolini. Nel periodo successivo si registrano “soltanto” tentativi di adescamento tramite canali social o foto porno nei gruppi WhatsApp dei chierichetti. «Questo non significa certo che la questione delle violenze fisiche si sia esaurita – precisa Ugolini – ma che, come attestano gli studi in merito, le vittime hanno bisogno anche di 30 o 40 anni per elaborare il trauma».

La diocesi, che copre tutto il territorio della provincia autonoma di Bolzano, è stata la prima. Si è dotata già nel 2010 di uno sportello per le vittime di pedofilia nella chiesa e ogni anno fornisce i numeri delle denunce. È proprio sui servizi diocesani e sui centri di ascolto che si basa la “via italiana” inaugurata a fine maggio dalla Cei del nuovo presidente Matteo Zuppi. Ma anche in Alto Adige prevale la voglia della chiesa di proteggere anzitutto sé stessa.

Il metodo Bolzano

A Bolzano chi vuole fare una denuncia può scrivere una mail al responsabile dello sportello, che provvede a fissare un appuntamento in un luogo neutro, non riconducibile alla chiesa. Se il fatto viene accertato, colui che l’ha commesso è segnalato (se ancora possibile) alle autorità religiose e alla procura; anche se, ammette Ugolini, «è successo una volta sola trent’anni fa». Inoltre un gruppo di esperti, religiosi e laici, affianca il responsabile del Servizio diocesano nel lavoro di prevenzione, promuovendo momenti di formazione interna e incontri pubblici.

Nel 2021 l’affare si è complicato: Ugolini e la sua équipe propongono di fare un’indagine approfondita sulle violenze nella diocesi, ma l’iniziativa viene stoppata dal vescovo Ivo Muser e dalla curia per ben due volte. Sono soprattutto le congregazioni religiose a opporre resistenza: «Molti superiori hanno detto che avevano già risolto i propri casi risarcendo le vittime con accordi extragiudiziali», spiega il teologo morale Martin Lintner. Ugolini lo dice fuori dai denti: «Sulla prevenzione sono tutti d’accordo ma non vogliono che qualcuno metta le mani nei loro cassetti».

Lintner e Ugolini sono anche fra i promotori di una mozione approvata a marzo dal Consiglio provinciale di Bolzano che prevede l’istituzione di una commissione indipendente di indagine sulla pedofilia in ogni ambito sociale. Un’iniziativa nata dall’insofferenza di vedere la chiesa ancora ferma ai blocchi di partenza.

Il no del vescovo a un’indagine interna, a gennaio, ha coinciso con la denuncia del coinvolgimento di Joseph Ratzinger nello scandalo abusi a Monaco. «Le vittime sono insorte e hanno cominciato a parlare di insabbiamenti anche qui in Alto Adige», testimonia Robert Hochgruber, teologo ed ex insegnante di religione, «chi ha subito violenze non ha voce nemmeno all’interno del gruppo di esperti del Servizio diocesano».

La stessa esperienza dello sportello non è sempre positiva. Una donna, abusata dai cinque ai sette anni da un frate, si è sentita respingere la denuncia per una questione formale: la sede centrale della congregazione non è infatti a Bolzano, dove il fatto è avvenuto 40 anni fa, ma a Innsbruck. «Ho chiesto a due anziani confratelli se ricordavano quello che mi era successo – racconta Ulrike (nome di fantasia) – e loro non soltanto hanno confermato ma mi hanno confessato di aver subito abusi a loro volta, dicendo che a quel tempo era normale». Una “normalità” su cui è calato un coperchio di piombo. Ulrike è poi riuscita a farsi ascoltare (e risarcire) dalla diocesi di Vienna «ma – dice – avrei volentieri evitato di rivivere le sofferenze per anni, alla ricerca della verità fra Alto Adige e Austria».

Il no ai risarcimenti

A Bolzano, invece, non sono previsti risarcimenti: «Noi paghiamo la psicoterapia alle vittime in caso di sacerdoti defunti o che per età o malattia non possono più avere un confronto costruttivo con chi li accusa», precisa il vicario generale Eugen Runggaldier. «Come principio non diamo soldi alle persone che denunciano perché può sembrare un modo per farle tacere». Una preoccupazione che non deve aver pesato nel caso di don Giorgio Carli, arrestato nel 2003 con l’accusa di aver stuprato una bambina dai nove ai 14 anni quando era cappellano nella parrocchia di San Pio X a Bolzano.

La vicenda fece clamore: dopo un’assoluzione in primo grado, il prete fu condannato in appello a sette anni e sei mesi e infine prescritto in Cassazione nel 2009. La prima sezione civile del tribunale di Bolzano, riconoscendo per la prima volta in Italia la chiesa locale responsabile in solido con il prete, nel 2013 aveva condannato la diocesi e la parrocchia a pagare 700mila euro alla vittima. Sull’accordo economico raggiunto alla fine fra le parti c’è stretto riserbo ma don Ugolini conferma che la diocesi in effetti pagò. Oggi don Giorgio si occupa del catechismo nella parrocchia di Vipiteno.

Ai piedi delle Dolomiti il cattolicesimo pesa ma fa anche pesare ambiguità e colpevoli silenzi. Il più recente riguarda don Timothy Meehan, un sacerdote di Boston appartenente ai Legionari di Cristo e in servizio nella diocesi di Bolzano, accusato di aver fatto sesso, quando era istruttore nel noviziato, con un diciassettenne affidato alle sue cure. La vicenda emerge nel 2013 negli Stati Uniti e quando Meehan, quattro anni dopo, decide di lasciare la congregazione e iniziare il percorso per diventare sacerdote, i Legionari informano la diocesi dei suoi precedenti e dell’indicazione di non farlo lavorare con i minori. Ma non solo padre Timothy non è mai stato lontano dai ragazzi: stava addirittura per essere nominato responsabile della pastorale giovanile.

«Il vescovo Muser e il vicario episcopale per il clero Michele Tomasi, oggi vescovo di Treviso, erano al corrente ma non hanno mai detto nulla al Servizio per la protezione dei minori», dice il vicario Runggaldier. Non si sarebbe forse mai saputo nulla della faccenda se i Legionari non avessero deciso, a marzo 2021, di pubblicare i nomi dei pedofili membri dell’ordine. «Mi sono confrontato con la Congregazione per la dottrina della fede, non c'era un processo canonico o civile in corso e per questo motivo non ho ritenuto di parlarne con il Servizio diocesano – commenta il vescovo Muser – Oggi riconosco che sarebbe stato opportuno confrontarmi anche con don Gottfried Ugolini». Nell’agosto scorso, padre Timothy è stato sollevato dall’incarico di amministratore parrocchiale della chiesa di San Pio X e da allora non si sa più nulla di lui.

Proteggere l’istituzione

Così, anche se in una lettera pastorale del 2020 il vescovo assicura che le accuse sugli abusi in ambito ecclesiale sono «finalmente prese sul serio» e che la tutela dei minori ha la «massima priorità», l’impressione è che la Chiesa pensi innanzitutto a proteggere sé stessa e si guardi bene dall'iniziare un radicale e doloroso processo di autocritica (o di aufarbeiten, di rinnovamento, come dicono qui in Sud Tirolo). «I vescovi sostengono di vergognarsi per lo scandalo della pedofilia ma non ne trovi uno disposto a fare un mea culpa sulle proprie responsabilità personali», chiosa amaro Lintner.

Ora una task force di quattro persone (fra cui Ugolini) si occuperà di esaminare accuse a carico di sacerdoti ancora in servizio. Una terza proposta di indagine interna sarà presentata pubblicamente in autunno, previa approvazione del vescovo. Basandosi soltanto sui casi registrati dallo sportello diocesano, l’inchiesta non si occuperà di quelli non denunciati, tantomeno del sistema che li ha permessi, e gli scheletri potranno riposare tranquilli negli armadi ecclesiastici. Ci si occuperà dei pochi casi emersi, con buona pace dei sommersi.

(continua)

 

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