- Il Dicastero per la dottrina della fede non ha dato seguito alla denuncia pervenuta in Vaticano, i fatti erano prescritti. Una nota diffusa dai gesuiti spiega solo in parte come sono andate le cose. Il religioso resta soggetto a misure restrittive
- I gesuiti si dividono sul caso: per padre Matarazzo non ci si può aggrappare alla prescrizione, è invece necessaria la massima trasparenza. Il Superiore generale dell’Ordine, padre Sosa, difende l’operato della Compagnia e si appella al diritto alla privacy
- La vicenda Rupnik mette in luce varie carenze nella gestione dei casi di abuso sessuale da parte delle istituzioni ecclesiastiche; resta il sospetto di comportamenti omissivi. Pesa su tutto anche il silenzio del papa.
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Pope Francis boards a car as he leaves the St. Ignazio church after celebrating a Mass of Thanksgiving for the Canonization of St. Jose de Anchieta, a Spanish Jesuit Missionary to Brazil, in Rome Thursday, April 24, 2014. (AP Photo/Gregorio Borgia)
Il caso del gesuita di origine slovena Marko Ivan Rupnik, accusato di aver commesso abusi sessuali su alcune suore all’inizio degli anni Novanta, sta mettendo in crisi il Vaticano e la stessa Compagnia di Gesù.
Il sospetto piovuto sui sacri palazzi è di aver trattato con eccessivi riguardi per il religioso l’intera questione. Rupnik, infatti, non è un gesuita qualunque; artista e teologo di fama, le sue opere si trovano sparse nelle chiese di mezzo mondo: i suoi mosaici decorano la Cappella Redemptoris Mater nel palazzo apostolico in Vaticano, ma anche la nunziatura apostolica di Parigi, quella di Damasco, la sede dei Cavalieri di Colombo a New Haven, negli Stati Uniti, i santuari di Lourdes e Fatima, il santuario di San Giovanni Paolo II a Cracovia, molte chiese in Spagna e in Italia.
Non solo: è considerato uno dei massimi studiosi di arte e architettura sacra, ha insegnato all’università Gregoriana di Roma e al pontificio ateneo S. Anselmo dove pure, all’inizio del 2023, è previsto che terrà alcune lezioni.
Padre Rupnik è, inoltre, ben introdotto in Vaticano: il 3 gennaio del 2022 è stato ricevuto da papa Francesco, il suo nome figura o figurava anche fra i consultori di vari dicasteri: da quello per la cultura a quello per la nuova evangelizzazione, dal dicastero per il clero a quello per il Culto divino.
A lungo, infine, è stato direttore del Centro Aletti, struttura della Compagnia di Gesù il cui scopo è quello di far incontrare la cultura e la tradizione cristiana dell’Europa occidentale con quella orientale. Un personaggio che conta insomma, una figura rispettata e stimata anche oltre i confini ecclesiastici. Ma siccome l’abito non fa il monaco, il ricco curriculum del religioso si è arricchito di recente di un’accusa di abusi sessuali.
L’accusa di abusi
E’ accaduto che nel 2021 presso il Dicastero per la dottrina della fede, guidato dal cardinale gesuita Luis Francisco Ladaria, è arrivata una denuncia contro Rupnik risalente ai primi anni Novanta. I fatti contestati riguarderebbero abusi psicologici, spirituali e sessuali commessi ai danni di varie suore della Comunità Loyola di Lubiana, fondata da una religiosa di cui Rupnik era amico e padre spirituale.
La Comunità è stata successivamente commissariata, e tuttora risulta esserne commissario monsignor Daniele Libanori, anch'egli gesuita, vescovo ausiliare della diocesi di Roma.
La Compagnia di Gesù, da parte sua, dopo che il caso è stato sollevato dai media, ha diffuso una nota arrivata all’Ansa, nella quale spiega almeno in parte le cose: un’indagine sulla vicenda è stata in effetti svolta all’interno dell’Ordine su indicazione del Dicastero per la dottrina della fede che aveva ricevuto la denuncia nel 2021, i fatti in oggetto sono risultati però prescritti.
«Dopo aver studiato il risultato di questa indagine», spiega la nota, durante la quale sono state ascoltate diverse testimonianze, il Dicastero «ha constatato che i fatti in questione erano da considerarsi prescritti e ha quindi chiuso il caso, all'inizio di ottobre di quest'anno 2022».
Quindi si afferma: «Durante il percorso dell'indagine previa, varie misure cautelari sono state prese nei confronti del padre Rupnik: proibizione dell'esercizio del sacramento della confessione, della direzione spirituale e dell'accompagnamento di esercizi spirituali», misure che, si apprende, sono ancora in vigore.
«La Compagnia di Gesù – è la conclusione – prende in seria considerazione ogni denuncia nei riguardi di uno dei suoi membri. La missione della Compagnia di Gesù è anche una missione di riconciliazione».
Senza confermare esplicitamente che gli abusi siano avvenuti, le conseguenze dell’indagine indicano che evidentemente qualcosa è successo. La nota, inoltre, precisa che non sono stati convolti minori (come se la violenza su una religiosa fosse meno grave).
Qualche giorno fa, infine, è intervenuto il Superiore generale dei gesuiti, padre Arturo Sosa, per difendere la Compagnia di Gesù dalle accuse di aver occultato la vicenda; in un’intervista alle testate portoghesi 7Margens e Rádio Renascença, ha affermato: «Non dobbiamo rendere pubblico ogni caso. Una delle cose a cui tutti abbiamo diritto come persone è una certa privacy».
«Non abbiamo nascosto nulla» ha aggiunto. Poi la precisazione: «In questo caso mi sembra importante sottolineare che non ci sono minori coinvolti. In altre parole, questi sono problemi tra adulti».
Uno tsunami di ingiustizia
Tuttavia la vicenda ha sollevato le critiche di alcuni autorevoli confratelli gesuiti di padre Rupnik. Dapprima è intervenuto via Twitter l'ex Superiore della Provincia euro mediterranea della Compagnia di Gesù, padre Gianfranco Matarazzo.
«Noi gesuiti - ha scritto - siamo identificati, con merito e senza merito, con le frontiere della fede, della giustizia, della carità, del dialogo, dell'attenzione ai poveri, della ricerca: eppure oggi con il caso Rupnik ci aggrappiamo alla prescrizione e speriamo che tutto possa fermarsi qui. Il Signore ci sta chiamando a questo approccio?».
E ancora: «Il "caso Rupnik" è uno tsunami di ingiustizia, mancanza di trasparenza, gestione discutibile, attività disfunzionale, personalizzazione, comunità apostolica sacrificata al leader e disparità di trattamento. E il comunicato dei gesuiti rilancia questo tsunami. Un caso paradigmatico di giustizia negata».
Quindi padre Matarazzo ha chiesto di convocare una conferenza stampa per spiegare ogni cosa e di aprire gli archivi. E in effetti, il tema della prescrizione del caso Rupnik, è stato sollevato indirettamente anche dal gesuita Hans Zollern, uno dei più autorevoli e ascoltati esperti sulla questione degli abusi sessuali nella Chiesa; Zollner, fra l’altro, è membro della Pontificia Commissione per la Protezione dei Minori.
Il religioso ha affermato che la recente dichiarazione della Compagnia di Gesù su padre Marko Ivan Rupnik «ha sollevato questioni a cui, per quanto vedo, può essere data risposta solo dal Dicastero per la dottrina della fede».
Insomma, il Vaticano dovrebbe spiegare quali sono stati i risultati dell’indagine e perché si è deciso per la prescrizione. Zollner ha anche detto di essere «fermamente convinto che la trasparenza nella Chiesa, inclusa la Compagnia di Gesù, sia essenziale per combattere la piaga degli abusi in tutte le sue forme».
Senza trasparenza
Il rischio, evidente, in tutta questa storia, è che senza ulteriori chiarimenti da parte delle istituzioni ecclesiastiche coinvolte, prevalga un giudizio di condanna da parte dell’opinione pubblica fondato più sul comportamento omissivo delle stesse istituzioni che sui fatti.
D’altro canto, se le accuse fossero fondate, la vicenda andrebbe approfondita e chiarite anche le modalità con le quali il Vaticano e la Compagnia di Gesù hanno seguito il caso. Di certo da questa storia non escono bene i gesuiti, alcuni dei quali sono fra i più stretti collaboratori di Papa Francesco.
D’altro canto, non può essere dimenticato che quando il cardinale George Pell alcuni anni fa, mentre ricopriva l’incarico di prefetto della Segreteria per l’Economia, fu chiamato in causa per rispondere davanti a un tribunale civile australiano dell’accusa di aver abusato di due minori negli anni Novanta, lasciò il proprio incarico in Vaticano e affrontò il processo e la prigione prima di essere prosciolto nel terzo grado di giudizio dall’Alta Corte australiana perché esisteva un ragionevole dubbio che il reato non fosse stato commesso.
E certo la sentenza di una corte australiana per gravità e conseguenze personali, non può essere paragonata a quella del Dicastero per la dottrina della fede.
Ma il caso Rupnik ha messo in luce, fino ad ora, anche una visibile incertezza dello stesso Papa a intervenire per fare chiarezza.
Non è possibile sapere quali elementi abbia in mano il vescovo di Roma, ma certo se il tema della trasparenza è uno dei cardini del pontificato, non c’è dubbio che in questo caso il nodo non sia stato sciolto. Resta invece intatta la realtà di uno scandalo abusi che continua a pesare come un macigno sulla vita della Chiesa.
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