Parla Gaetano Vassallo, l’ex “ministro dei rifiuti” dei Casalesi che si è pentito anni fa. «Schiavone può ricostruire la fine del fondatore del clan Bardellino. E dica dove sono i soldi»
«Quando, nel 1998, le forze dell’ordine stavano arrestando Francesco Schiavone io ero al mare a Baia Domizia, stavo sulla spiaggia e abbiamo saputo della perquisizione in tempo reale. All’inizio non lo trovavano, poi alla fine si è arreso». A parlare è il pentito Gaetano Vassallo, all’epoca ministro dei rifiuti del clan dei Casalesi. L’imprenditore, che ha aperto la sua discarica alle tonnellate di fanghi industriali e nocivi provenienti dalle industrie di stato e del Nord, si è pentito nel 2008. Il suo pentimento è stato decisivo per ricostruire trame imprenditoriali e politiche, è stato tra gli accusatori dell’ex ministro dell’Economia Nicola Cosentino, poi condannato come referente nazionale del clan.
Oggi che ha cambiato vita commenta la collaborazione tardiva di Francesco Schiavone, detto Sandokan, capo assoluto del clan dei Casalesi insieme a Francesco Bidognetti, detto “Cicciotto ’e mezzanotte”. Anche Sandokan si è pentito, se vuole può terremotare tutto. «Io mi occupavo di spazzatura, avevo la mia discarica, e i miei rapporti erano con Gaetano Cerci e Bidognetti, Sandokan su quell’affare enorme prendeva i soldi». Quanti? «La mia discarica, quella di Luca Avolio e l’altra di Cipriano Chianese (imprenditori legati al clan, ndr) fatturavano miliardi di lire, più o meno un miliardo lo giravamo mensilmente ai capi del clan, anche se io li fregavo perché di monnezza non capivano niente. Li fregavo sui quantitativi in entrata, così da girargli meno soldi», risponde Vassallo.
Chi scrive, in passato, ha incontrato il collaboratore anche in carcere, e in quell’occasione aveva svelato l’orrenda mattanza compiuta: «Una volta aprimmo una cisterna e il liquido bruciava ogni cosa, al contatto le plastiche friggevano. Abbiamo scaricato milioni di tonnellate di veleni ovunque possibile. Non ho mai messo un telo di protezione, non ho mai avuto un controllo, pagavamo e vincevamo noi».
I massoni
Erano gli anni Ottanta, alla fine di quel decennio i clan entrarono nell’affare dividendo la torta dei guadagni insieme ai politici, ai professionisti e agli imprenditori. Nel 1994 il settore veniva commissariato, ma la musica non cambiava, anzi, le aziende dei clan diventavano principali clienti dello stato. In quell’affare c’era un altro protagonista: la massoneria.
«Gaetano Cerci andava a casa di Licio Gelli, mi spiegò che Gelli era un procacciatore di imprenditori del Nord che potevano inviarci i rifiuti». Nel 2006 la procura di Napoli chiese addirittura l’arresto di Licio Gelli, il gip Umberto Antico negò la misura. I pubblici ministeri scrivevano: «I rapporti preferenziali tra Gaetano Cerci e Licio Gelli appaiono poi assolutamente certi, essendo riferiti da Carmine Schiavone, De Simone, la Torre, Quadrano, Di Dona, sia de relato che per conoscenza diretta».
Gelli da quella indagine ne è uscito pulito, e come lui tante aziende che all’epoca furono inquisite per aver smaltito veleni, molte oggi si occupano di green e i loro titolari animano convegni sui temi ambientali. Di certo Sandokan Schiavone di quegli accordi era a conoscenza, e non solo di quelli.
«Il sistema Eco4 (quello nel quale è rimasto coinvolto Cosentino, ndr) è sicuramente affare che ha riguardato la fazione Bidognetti alla quale ero legato io, ma anche quella Schiavone, e Sandokan può raccontare tanto anche di quel patto tra politica, impresa e camorra. I rapporti con gli amministratori locali, con i professionisti sono materia della quale può riferire», dice Vassallo.
La fine di Bardellino e i soldi
«Hanno guadagnato miliardi, e non solo con i rifiuti, su ogni tipo di appalto avevano la percentuale, fornivano i materiali e i mezzi per il movimento terra, dovrebbe dire dove hanno messo i soldi e fare luce su alcuni omicidi, a partire da quello di Antonio Bardellino», dice Vassallo.
Bardellino è stato il fondatore del clan dei Casalesi, secondo la sentenza Spartacus e la ricostruzione dei pentiti è stato ucciso nel 1988 in Brasile dove era latitante, ma il suo corpo non è stato mai ritrovato, la sua scomparsa ancora oggi è avvolta dai dubbi, la sua fine potrebbe essere stata una messinscena, si sarebbe ritirato in cambio di una vita tranquilla. «Solo lui può fare luce su quella storia, nel nostro ambiente si diceva che Sandokan avesse piena responsabilità in quell’omicidio, visto che poi era stato proprio Schiavone a organizzare l’uccisione del nipote di Bardellino, Paride Salzillo. Lui è l’artefice della fine di Bardellino (vera o presunta, ndr), in che modo lo può sapere solo lui», spiega Vassallo.
C’è un altro argomento che sfiora gli anni in carcere al 41 bis di Schiavone, che, nei fatti, potrebbero pregiudicare la conoscenza di temi d’interesse a partire dal 1998, anno del suo arresto. «Gli inquirenti devono capire se ha rivestito un ruolo anche dopo, di certo quando i boss mandavano comunicazioni fuori a volte lo facevano utilizzando anche gli avvocati, e su questo lui potrebbe parlare e raccontare se ci sono stati favori, collusioni», dice Vassallo.
La collaborazione con la giustizia di Sandokan segue quella del figlio Nicola e anche di un altro capo come Antonio Iovine, pentimenti che non hanno portato terremoti e grandi scoperte. «Io ero libero quando ho deciso di collaborare con la giustizia. Ho fatto trovare i veleni, ma soprattutto ho fatto trovare il mio patrimonio che è stato sequestrato. Sandokan può chiarire dove ha messo i soldi, come ho fatto io», conclude. Vassallo aveva anche svelato un incontro con agenti dei servizi segreti nel 2006, gli avevano offerto soldi in cambio della cattura di Iovine o Zagaria. Rapporti che potrebbero aver caratterizzato gli anni di dominio di Sandokan, quando quella storia criminale sembrava senza fine.
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