Il governo Meloni continua ad alzare il livello di scontro con le organizzazioni non governative che salvano vite in mare, mentre i tribunali smontano il decreto Ong del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Lo scorso 4 dicembre – mentre in Senato veniva approvato il nuovo decreto Flussi – il tribunale di Vibo Valentia ha annullato il fermo amministrativo della nave Sea-Eye 4, deciso il 30 ottobre 2023 dopo un soccorso avvenuto nel Mediterraneo centrale durante il quale sono state salvate cinquanta persone.

L’imbarcazione aveva attraccato nel porto di Vibo Valentia, dopo una sosta di emergenza a Lampedusa per far sbarcare un migrante che versava in gravi condizioni di salute. Qui è stata colpita da un fermo amministrativo per 20 giorni. Secondo le autorità avrebbe messo in pericolo la vita dei migranti ostacolando le manovre della guardia costiera libica cui non aveva dato ascolto. Per i giudici, invece, non è andata così. «Il salvataggio effettuato dalla Sea-Eye non ha mai rappresentato una minaccia per la sicurezza delle persone coinvolte. Il tribunale ha sottolineato che seguire le istruzioni della cosiddetta guardia costiera libica non sarebbe stato conforme al diritto internazionale», scrive in una nota l’organizzazione. «Questa sentenza è un successo perché il giudice non si è concentrato su questioni procedurali, ma ha piuttosto sottolineato il dovere del salvataggio in mare e ha chiarito che nessuna persona dovrebbe annegare nel Mediterraneo», ha detto Gorden Isler, presidente di Sea-Eye.

Nell’ultimo anno e mezzo sono stati sospesi o annullati molti fermi o ordinanze di ingiunzione con sentenze dei tribunali di Crotone, Reggio Calabria, Genova, Brindisi, Ragusa, Salerno e per ultimo Vibo Valentia. La maggioranza, tuttavia, attraverso nuovi tecnicismi adottati nel decreto Flussi ha reso ancora più difficili i ricorsi e ha allungato la permanenza delle navi in porto.

Le nuove misure

Una volta tornate in porto, le navi accusate di aver violato il decreto Piantedosi, infatti, potranno aspettare fino a dieci giorni prima che l’ordinanza del fermo amministrativo venga emessa e quindi poter fare ricorso. Secondo quanto previsto dal decreto Flussi «l’organo accertatore contesta la violazione mediante notificazione al destinatario e, senza ritardo e comunque entro cinque giorni, trasmette gli atti alla prefettura-ufficio territoriale del governo competente in relazione al luogo di accertamento della violazione», dopodiché «il prefetto, nei cinque giorni successivi, emana l’ordinanza».

Solo in quel momento gli avvocati possono opporsi. Di fatto il rischio è stare fermi in porto fino a dieci giorni. La conseguenza è lasciare il Mediterraneo sguarnito di navi per il soccorso delle persone. Non solo, ora i tempi per impugnare i provvedimenti del prefetto sono diminuiti da sessanta a dieci giorni. A queste due nuove disposizioni si somma, poi, un rischio di incostituzionalità frutto di diverse interpretazioni della norma. «Il tentativo è quello di sottrarre ai giudici la possibilità di decidere proprio sui fermi amministrativi, perché la relativa valutazione sembrerebbe essere rimessa alla competenza decisionale del solo Prefetto», spiega l’avvocato Dario Belluccio che insieme a Lidia Vicchio e Daniele Valeri ha difeso Sea Eye nel procedimento di Vibo Valentia.

Questa visione emerge anche dalla difesa proposta dal ministero dell’Economia e quello dei Trasporti, in quanto guardia di finanza e guardia costiera, nel processo di Vibo Valentia nel quale hanno sostenuto che «l’alternatività tra rimedio giurisdizionale e ricorso al Prefetto, sancita dall'art. 204 bis del Codice della strada, non trovi alcun richiamo» e che dunque non si possano esperire sia l’uno che l’altro. I difensori delle Ong, invece, hanno obiettato che si possono esperire entrambe le strade, perché «l’autonoma impugnabilità del provvedimento risponderebbe alla necessità di disporre di un rimedio effettivo a fronte di un provvedimento che incide fortemente sulla sfera dei diritti degli interessati». I giudici di Vibo Valentia hanno dato ragione alle Ong, confermando proprio che «l’autonoma impugnabilità del fermo amministrativo sia l'unica conforme a Costituzione (art. 113 e 24 Cost)».

L’attacco dei Patrioti

Intanto gli eurodeputati del gruppo Patrioti per l’Europa di cui fa parte anche la Lega hanno firmato un documento definito la “dichiarazione di Budapest sulla migrazione”, con cui chiedono «l’istituzione di un fondo per la stabilità dell’asilo per l’accoglienza nei paesi terzi» e «l’estensione dell'elenco dei paesi sicuri». I Patrioti dicono di essere «determinati a proteggere i confini esterni dell'Europa, a fermare la migrazione illegale e a preservare l’identità culturale europea e la sicurezza dei nostri cittadini».

Chiedono anche un pacchetto che contenga «una rigorosa politica di rimpatrio», «misure rigorose contro le Ong e le lobby che facilitano l'arrivo e l’ingresso di migranti illegali in Europa», e il ritiro immediato di «tutte le sanzioni che puniscono gli Stati membri che hanno adottato misure efficaci per fermare la migrazione illegale». L’ultimo attacco alle ong, questa volta da Bruxelles. Intanto occhi puntati sulla Corte di giustizia europea, che dovrà pronunciarsi sui paesi sicuri. E dunque sul destino del “modello Albania”.

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