È stato Marco Minniti da ministro dell’Interno a introdurre le sezioni specializzate in materia migratoria con il decreto 13 del 2017, conosciuto come decreto Minniti-Orlando, convertito in legge il 12 aprile anche grazie alla fiducia apposta dall’allora governo di Paolo Gentiloni. 

L’intenzione non era quella di assicurare maggiormente i diritti ai richiedenti asilo ma, come emergeva anche dal titolo del decreto, di accelerare i procedimenti in materia di protezione internazionale e adottare «misure per il contrasto dell’immigrazione illegale». Nello stesso decreto infatti si potenziava il sistema della detenzione amministrativa, prevedendo un centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) in ogni regione. Obiettivo che non è poi stato raggiunto, ma che è stato condiviso e rilanciato dal ministro dell’Interno del governo Meloni, Matteo Piantedosi, dopo il naufragio di Cutro. 

Tornando al 2017, le misure – aveva detto il premier Gentiloni in conferenza stampa – «attrezzano il Paese a nuove sfide, innanzitutto lavorando per rendere più rapidi i processi di riconoscimento del diritto all'asilo, rendendo più trasparenti meccanismi e sistemi dell'accoglienza, facilitando i meccanismi e i sistemi necessari per i rimpatri dei migranti che non hanno diritto all'asilo».

E per questo era stato anche abolito il secondo grado di giudizio contro i dinieghi della protezione internazionale – «per ridurre i tempi di concessione dell’asilo», aveva detto Minniti – ed era stata abolita l’udienza in primo grado. Ridurre i tempi e le garanzie, aumentando invece il numero delle espulsioni.

Negli anni precedenti i flussi migratori erano fortemente aumentati, con picchi nel 2014 e nel 2016, e le richieste di protezione internazionale avevano sovraccaricato i tribunali. 

Le sezioni specializzate

Le sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e di libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea sono quindi state istituite in ogni tribunale ordinario nel quale hanno sede le Corti d’appello, incaricate a decidere le impugnazioni – in composizione collegale – delle decisioni delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale. In tutto ventisei, presso i tribunali di Ancona, Bari, Bologna, Brescia, Cagliari, Caltanissetta, Campobasso, Catania, Catanzaro, Firenze, Genova, L’Aquila, Lecce, Messina, Milano, Napoli, Palermo, Perugia, Potenza, Reggio Calabria, Roma, Salerno, Torino, Trento, Trieste e Venezia.

La specializzazione di queste sezioni si è rivelata importante, vista la complessità della materia, fatta di fonti sovranazionali e un incrocio di norme multilivello, oltre alla dinamicità con cui cambiano procedure e disposizioni. L’asilo infatti figura tra le materie di competenza dell’Ue, che persegue una politica comune, attraverso un sistema comune di asilo.

E per questo ai magistrati, dotati di specifiche competenze, è assicurata una formazione continuativa e obbligatoria, organizzata dalla Scuola superiore della magistratura, in collaborazione con l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo e l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr). Corsi che erano obbligatori almeno una volta l’anno, per i primi tre anni, ridotti poi a una formazione biennale negli anni successivi. 

L’emendamento

Sono proprio le sezioni specializzate a essere nel mirino degli attacchi del governo, e in particolare quella di Roma, competente per i trattenimenti per i richiedenti asilo portati nei centri in Albania. La legge di ratifica del protocollo Italia-Albania ha anche previsto un aumento dell’organico di dieci unità.

Le decisioni dei giudici di Roma, negli unici due casi affrontati finora, hanno avuto come effetto il trasferimento delle persone migranti in Italia. Nel primo caso, il 18 ottobre il tribunale di Roma non ha convalidato i trattenimenti, applicando il diritto dell’Unione europea e l’interpretazione della Corte europea di giustizia, secondo cui un paese non può essere considerato sicuro se non lo è nella sua interezza e per tutti i gruppi di persone. Nel secondo caso, l’11 novembre – intervenuto il decreto “Paesi sicuri” del governo – hanno sospeso la decisione sulle convalide dei trattenimenti, rinviando alla Corte Ue affinché risolva il contrasto tra norme interne e norme europee. 

Decisioni che non sono piaciute al governo e che sono state fortemente attaccate, portando anche una delle giudici della sezione a sporgere denuncia per le minacce ricevute e a ricevere la vigilanza generica. Si spiega così l’emendamento al Decreto flussi, presentato in serata il 12 novembre dalla relatrice di Fratelli d’Italia, Sara Kelany, della Commissione Affari costituzionali della Camera con cui si sposta la competenza in materia di convalida del trattenimento dei richiedenti asilo alla Corte d’appello.

Togliere la competenza alle sezioni specializzate per darla alle corti di secondo grado, già ingolfate, ha fatto notare l’Associazione nazionale magistrati, non sembra andare nella direzione della migliore amministrazione della giustizia. «L’impugnazione in Corte d’appello contro i provvedimenti in materia di protezione internazionale e l’attribuzione alla stessa corte della competenza sulle convalide dei trattenimenti renderanno plausibilmente meno celere la definizione dello status dei richiedenti asilo, col rischio di allungare anche i tempi di permanenza di coloro che non hanno titolo per restare in Italia», ha detto il 13 novembre Salvatore Casciaro, segretario generale dell’Anm. 

«Sono modifiche in grado di ingolfare gli ingranaggi della macchina della giustizia alimentando, in tempi di Pnrr, nuovo rilevante contenzioso per le Corti d’appello, già – come noto – oltremodo oberate», ha aggiunto.

«È ancora una proposta e bisognerà vedere il testo finale e se il presidente Mattarella firmerà la conversione in legge», ha commentato Nazzarena Zorzella, avvocata di Bologna e vicepresidente dell’Associazione studi giuridici sull'immigrazione, «ma al momento appare come una mossa irrazionale, che getta le persone migranti in un circolo vizioso che appare, a prima vista, incostituzionale».

Allungare i tempi significa mettere a rischio il raggiungimento degli obiettivi di velocizzazione della giustizia del Pnrr. Senza contare la possibile incostituzionalità, come rilevato da diversi esperti, dell’emendamento, poiché i giudici di secondo grado, per funzione, sono chiamati a revisionare la decisione fatta da un altro giudice, non sono giudici del fatto. 

© Riproduzione riservata