Le politiche migratorie dell’ex ministro dell’Interno fanno da modello a quelle di Salvini e Piantedosi, che provano a intestarsi come un loro successo l’abbassamento del numero di ingressi via mare. Oggi Minniti è presidente di Med-Or, partner strategico del Piano Mattei
«Io seguo sempre Meloni». Queste parole sono state pronunciate ad Atreju, la festa organizzata dai giovani di Fratelli d’Italia, da un ministro dell’Interno prima di salire sul palco per parlare di migrazioni e sicurezza. Non una persona fidata o un esponente del partito della premier. Era il 2017 e ad assicurare l’allineamento era stato un esponente del governo guidato da Paolo Gentiloni, Marco Minniti, che, ieri come oggi, sui temi migratori e di sicurezza ha molti punti in comune con Giorgia Meloni, e non lo nasconde. Sette anni dopo, poco è cambiato e Minniti continua a essere un modello per le politiche migratorie della destra al governo.
Un naufragio in acque territoriali italiane, a circa venti chilometri da Lampedusa. Ventuno i dispersi, che molto probabilmente potevano essere salvati, nessuno è intervenuto. Fermo di venti giorni alla Sea-Watch 5. Diffida da parte dell’autorità marittima all’ong Mediterranea «dal continuare a intraprendere ogni attività preordinata alla effettuazione sistematica del servizio di ricerca e soccorso in mare». Questo è quanto accaduto in soli due giorni, il 3 e il 4 settembre, in Italia.
Eventi che non sono frutto delle politiche recenti delle destre, ma vengono da più lontano e questo, quello della migrazione, è uno dei pochi casi in cui gli allievi non superano il maestro. I primi, Salvini e Piantedosi. Il secondo, Minniti. Anzi, si intestano le conseguenze delle sue azioni e ne ricalcano il percorso. Dagli accordi con paesi in cui non c’è alcuna garanzia del rispetto dei diritti umani, anche violando il diritto internazionale, alla guerra culturale e legale alle organizzazioni della società civile, che con le loro navi umanitarie ancora oggi – tra molti ostacoli – cercano di effettuare salvataggi in mare.
Ed è proprio l’ex ministro dell’Interno quota Pd, con un passato nel Pci, oggi fuoriuscito dal parlamento e a capo di una fondazione di Leonardo, Med-Or, a complimentarsi in un’intervista a Libero per le politiche portate avanti dal governo Meloni in tema di migrazione.
Il Piano Mattei
«Un grande successo del governo», ha detto a Libero Minniti, parlando del G7 a presidenza italiana: «Significa che il mondo ormai guarda all’Italia». Ma al centro del suo endorsement c’è il Piano Mattei, che dovrebbe – secondo Minniti – assumere una dimensione europea. Un’azione politica che, per l’Italia, tra i paesi con il debito pubblico più alto, ha un rilievo più importante rispetto agli equilibri economici.
Ma la posizione dell’ex ministro dell’Interno sul piano strategico non può considerarsi neutrale, visto che la fondazione che presiede – chiamata a espandere la rete di relazioni tra l’Italia e i paesi dell’area del Mediterraneo allargato, del Medio ed Estremo Oriente – è «partner strategico e advisor per il Piano Mattei». A confermare la collaborazione la ministra dell’Università, Anna Maria Bernini, a margine del Med-Or Day, il festival che nel 2024 si è concentrato proprio sul progetto lanciato da Giorgia Meloni in Africa.
Per capire però la continuità dell’azione del ministero guidato da Minniti e di quelli successivi guidati dalla destra, bisogna fare un passo indietro e capire quali sono gli «ottimi risultati» dati dagli «accordi bilaterali firmati con i paesi africani, in intesa con l’Ue», di cui il dirigente del Pd parla nell’intervista.
Il memorandum
Gli applausi all’edizione di Atreju del 2017, riservati al delegato ai servizi nei governi Letta e Renzi, erano dovuti al Memorandum Italia-Libia, l’accordo che da ministro dell’Interno aveva concluso con un paese senza alcuna stabilità, in mano a bande e milizie, con un governo incapace di avere un controllo sul territorio. Con questa intesa l’Italia di Minniti è stata accusata di aver pagato milioni di euro alle milizie libiche, per impedire ai migranti di raggiungere l’Europa, e quindi legittimato la negoziazione con soggetti accusati di torturare le persone nei centri di detenzione finanziati dal nostro paese, aprendo così la strada anche nell’Ue.
Altrettanto applaudito ad Atreju 2023, Minniti si è raccomandato di esigere dai governi che l’Italia e l’Europa aiutano economicamente che «non [ci sia] spazio per i trafficanti di esseri umani». Gli stessi, lo dimostrano diverse inchieste giornalistiche e report di organizzazioni internazionali, che sono stati finanziati sotto il nome di Guardia costiera libica con soldi italiani.
Ne è un esempio Bidja, ufficiale dei guardiacoste libici, ucciso con una raffica di proiettili lo scorso 1 settembre. Noto a livello internazionale come il numero uno dei trafficanti di esseri umani in Libia, era venuto in Italia nel 2017 in visita ufficiale, invitato dalle autorità per un corso di formazione organizzato dal Viminale. Milioni di euro per la gestione di centri di detenzione, definiti lager da molti attori internazionali, e motovedette per intercettare barconi nella zona Sar libica.
Il risultato: violazioni dei diritti umani per procura, soldi alla criminalità, il blocco di migliaia di migranti in territorio libico, morti in mare e condanne allo stato italiano per respingimento collettivo, in un luogo che secondo la cassazione non può essere considerato un porto sicuro. E quindi, oltre 13mila intercettazioni dei guardiacoste libici nel 2021 e oltre 3mila dispersi nelle acque del Mediterraneo, pur di evitare gli sbarchi.
A questo si aggiungono gli ostacoli posti all’attività delle ong, dal codice di condotta all’ordine di indagare sulle organizzazioni, arrivato direttamente dal Viminale nel 2017, e quindi da Minniti. Sette anni dopo il più grande processo contro le ong che operano salvataggi in mare quel che ne è rimasto è una decisione di non luogo a procedere, perché il fatto non costituisce reato, e quotidiani tentativi di ostacolare la loro attività. Un processo, anche mediatico, che ha contribuito all’idea, più volte smentita, che la presenza delle navi alimentasse il flusso.
L’eredità
Una narrazione e una politica che poi sono state cavalcate da Salvini nel 2018 e da Piantedosi, da capo di gabinetto del segretario della Lega prima e poi da ministro dell’Interno. Dagli oltre 119mila arrivi nel 2017, l’anno successivo erano poco più di 23mila, nel 2019 11.471. Nel 2020 i numeri sono tornati ad aumentare (34mila circa), così come nel 2021 (circa 67.500), nel 2022 (105mila) e nel 2023 (158mila). Nel 2024 sono invece diminuiti del 63 per cento.
Sulla scia delle politiche avviate da Minniti, Salvini e Piantedosi, che oggi rivendicano il calo degli arrivi via mare come una loro vittoria, si sono avvantaggiati dell’impatto delle operazioni avviate dal presidente di Med-Or e le hanno perpetrate. Con la Tunisia, ad esempio, e la sua svolta autoritaria: il ruolo della guardia costiera libica è stato infatti riprodotto con quella tunisina. O con i Cpr, potenziati proprio nel 2017 e poi rilanciati nel 2023.
I ministri di destra hanno così capito che quel blocco navale tanto urlato e inserito nel programma era impossibile da attuare, mentre la linea di Minniti si è rivelata molto più efficace, a qualunque costo.
Ad Atreju 2023 Minniti si è però raccomandato: «Noi non ci giriamo dall’altra parte quando vengono violati i diritti umani. Non sono soddisfatto di quello che ha fatto l’Ue». Una posizione pilatesca, in fondo è stato lui a dare il via alle politiche di esternalizzazione delle frontiere, quelle che “occhio non vede e cuore non duole”.
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