Dopo oltre quaranta giorni senza aggiornamenti sulle sue condizioni, arriva la notizia che il cooperante italiano arrestato in Venezuela il 15 novembre sarebbe detenuto in stato di isolamento. La madre esprime preoccupazione e chiede al governo «la stessa determinazione» usata nel caso di Cecilia Sala
Alberto Trentini è detenuto nel carcere di El Rodeo I, nello Stato di Miranda, periferia di Caracas, a circa 30 chilometri della capitale. È la prima notizia da oltre quaranta giorni sul cooperante veneziano di 46 anni, arrestato in Venezuela oltre quattro mesi fa. Arrivato nel paese sudamericano il 17 ottobre per coordinare le attività della Ong “Humanity&Inclusion”, è stato arrestato il 15 novembre e per 115 giorni non si sono avute sue notizie.
Una sparizione forzata, senza notizie per oltre cento giorni dal Venezuela, che ricorda il caso di Giulio Regeni e che si inserisce in un più ampio quadro di arresti e sparizioni di oppositori politici e attivisti nel paese sudamericano, tra cui compaiono anche otto italo-venezuelani.
Stando alle ultime informazioni giunte in queste ore dal Venezuela, Trentini si troverebbe in regime di isolamento.
L’intervento di Tajani
Sul caso è intervenuto giovedì 13 marzo, a margine del G7 in corso a Charlevoix, il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che ha dichiarato di voler discutere della situazione venezuelana con i suoi omologhi nel corso del summit. «Al G7 parleremo anche della questione Venezuela – ha commentato in un punto stampa – Noi abbiamo alcuni italiani che sono detenuti ingiustamente, un giovane anche, Trentini. Da ieri sono di nuovo in contatto con la mamma. Chiederemo la liberazione immediata di tutti i detenuti politici, di tutti i detenuti ingiustamente e senza motivazione nelle carceri del Venezuela».
Un rinnovato impegno che segue dichiarazioni dei giorni precedenti in cui Tajani aveva dichiarato che la Farnesina segue costantemente il caso nonostante «la trattativa per farlo uscire dal carcere è molto, molto, molto complicata».
La preoccupazione della madre
La mamma di Trentini, ospite al programma Che tempo che fa, è intervenuta sul caso esprimendo tutta la sua preoccupazione e il dolore di questi mesi. «Vorrei incontrare la presidente del Consiglio – ha detto la signora Amanda – ho bisogno di sapere che il governo sta facendo tutto il possibile per mio figlio. Spero agisca con la stessa determinazione che ha dimostrato in altri momenti».
Un riferimento non troppo velato al caso di Cecilia Sala, detenuta in Iran a dicembre, liberata grazie anche all’intervento in prima persona della premier e presente in studio durante l’intervento della mamma di Trentini. E proprio Sala ha rilanciato l’appello a uno sciopero della fame a staffetta per chiedere la liberazione del cooperante veneziano.
L’iniziativa, partita il mercoledì delle ceneri, ha già visto la partecipazione di oltre ottocento persone che quotidianamente scelgono di digiunare per chiederne il rilascio immediato. Una iniziativa che si aggiunge alla raccolta firme che, sulla piattaforma Change.org, ha già raccolto oltre 80mila adesioni.
Le difficoltà
A rendere più complessa la situazione vi è la reticenza di Caracas a collaborare. Consolati e ambasciate sono sistematicamente tenute all’oscuro dei fermi e degli arresti di cittadini stranieri. Diplomatici e funzionari esteri per venire a conoscenza di particolari situazioni sono quindi costretti a monitorare i report di organizzazioni non governative e piattaforme social locali che periodicamente o in tempo reale aggiornano i dati sugli arresti di cittadini stranieri.
Stando ai dati diffusi dalla ong Foro Penal, e aggiornati il 28 febbraio 2025, sono 66 i cittadini stranieri nelle carceri venezuelane e il nostro paese è al terzo posto, dopo Colombia e Spagna, con 9 persone in stato di fermo.
© Riproduzione riservata