L’omaggio in Arabia Saudita in memoria dell’ex calciatore e allenatore, annunciato e poi revocato da Figc e Lega, ha creato un cortocircuito che infiamma i social. Il timore che si ripetessero i fischi alla memoria di Gigi Riva, come successo la scorsa stagione, ha consigliato di soprassedere. Ma è stata una scelta giusta? È questo il prezzo da pagare per i milioni dei sauditi?
Un velo di silenzio. Si è innescato uno strano cortocircuito intorno alla morte di Aldo Agroppi e alla possibilità di onorarne la memoria stasera a Riad, prima che inizi la semifinale di Supercoppa italiana fra Inter e Atalanta. Il proposito di osservare il minuto di silenzio, che in un primo tempo era parso cosa scontata, si è immediatamente scontrato col ricordo di quanto accaduto un anno fa.
Quando, nello stesso contesto, la pausa di raccoglimento in memoria di Gigi Riva, tenuta in modo anomalo prima che iniziasse il secondo tempo della finale fra Inter e Napoli, venne fischiato dal pubblico di casa. Un comportamento che fu uno shock, oltre a creare vasto disappunto fra gli appassionati italiani per una così grave mancanza di rispetto.
Proprio la memoria di quell’episodio ha convinto la Federazione italiana gioco calcio (Figc) e la Lega di Serie A a desistere dall’intento. E a effettuare una marcia indietro che lascia il segno di un dilemma: meglio tenere il punto e affrontare il rischio dei fischi, o evitare l’oltraggio alla memoria di Agroppi ma esporsi all’accusa di acquiescenza verso i padroni di casa? La scelta è caduta sulla seconda opzione.
Ciò che ha scatenato l’inevitabile polemica social, che già viaggiava a intensità moderata sul tema ormai giunto alla settima replica annuale (tante quante sono le edizioni di Supercoppa disputate in terra saudita): è giusto portare la manifestazione in un Paese dove lo standard dei diritti della persona è così basso? Da oggi pomeriggio l’agenda tematica è cambiata e la polemica vira sul silenzio che non c’è. Con la variante che ne segue: per i 100 milioni di euro che i sauditi versano in cambio di quattro edizioni in casa loro, dobbiamo sacrificare anche il dovere di commemorare i nostri morti?
Il tema è serio e vasto, oltrepassa il caso specifico e chiama in causa l’aspetto delle differenze culturali. Per comprendere, bisogna capire perché il pubblico saudita fischia il minuto di silenzio, tenendo un comportamento che a noi pare sommamente riprovevole. Qualcuno ha spiegato che, secondo un’interpretazione conservatrice dell’Islam, la pausa di silenzio è una cosa che va contro gli insegnamenti del profeta, perché “Maometto non lo ha mai fatto”.
Nemmeno ai sovrani viene riservato il silenzio per celebrarne la dipartita. Posta così la questione, risulta che l’idea di commemorare qualcuno osservando una pausa muta è persino cosa oltraggiosa per il pubblico saudita. Per questo, posti davanti allo spettacolo delle due squadre radunate al centro del campo per commemorare la dipartita di qualcuno, un anno fa gli spettatori sugli spalti hanno fischiato e disapprovato. Trattasi di scarto culturale non negoziabile, né più né meno.
E tuttavia, preso atto che c’è una così netta differenza nel dare significato alla cosa medesima, è stato giusto rinunciare? Con qualche riserva, data la complessità del saldo fra pro e contro, rispondiamo che no: rinunciare è stato un errore.
Una volta annunciato, sarebbe stato meglio mantenere il minuto di silenzio. Anche a costo di vedere replicare l’oltraggioso spettacolo di uno stadio che fischia la memoria di un defunto. Perché se è una questione di significati, allora ciascuna parte dia il significato che sente. Senza recedere dalla difesa del proprio.
Se il calcio è un linguaggio universale, intorno al campo e al grande circo si muovono definizioni diverse della realtà e dei fatti che accadono. Quella diversità va tutelata, anche rivendicata, non messa fra parentesi. Stavamo per scrivere “non silenziata”. Ma sarebbe suonato paradossale.
© Riproduzione riservata