- Il pagamento sospetto di 390mila euro per un subappalto nei lavori ferroviari innesca una storia che ormai dura da quattordici anni. E che coinvolge ambienti molto potenti in Slovenia, a cominciare dallo studio legale del presidente Uefa.
- I Ćeferin sono una dinastia illustre di giuristi in patria. Il padre Peter è fra i principali riferimenti nelle professioni legali e il fratello di Aleksander, Rok, è giudice costituzionale.
- L’accusatore Milović attende che arrivi per lui il giudizio della Corte suprema per esporre in pubblico la sua versione dei fatti, ma i documenti già circolano sul web.
C’è una vicenda nel passato di Aleksander Ćeferin che si ostina a non inabissarsi. Risale al tempo in cui il presidente dell’Uefa non aveva ancora scalato il vertice del calcio europeo ma da presidente della federazione calcistica slovena, nonché avvocato appartenente a una potente dinastia forense nel paese, era in piena ascesa.
È una storia che a un certo punto pareva finita su un binario morto, e come si vedrà l’uso della metafora non è casuale. Invece la vicenda non è rimasta ferma lì. Anzi, nei mesi scorsi la stampa slovena ha ripreso a parlarne. Provocando nel capo del calcio europeo, che nei prossimi mesi andrà a giocarsi la rielezione, lo stesso disagio provato in quei lunghi mesi del 2016 che lo hanno visto impegnato nella corsa per la prima elezione alla presidenza dell’Uefa. A volte ritornano. Altre volte non se ne sono mai andati. E rischiano di farti deragliare quando pensavi di non avere più intoppi nella corsa.
La tratta ferroviaria dello scandalo
Kočevo è una splendida località della Slovenia meridionale, una cittadina da 17mila abitanti posta al centro del comprensorio amministrativo più vasto del paese. Bagnata dai due fiumi, circondata da una foresta fra le più lussureggianti d’Europa, la cittadina è stata oggetto di un’opera di ammodernamento della linea ferroviaria nel periodo a cavallo fra gli anni Zero e gli anni Dieci.
L’opera riguarda 26 chilometri della tratta fra Kočevo e Grosuplje. Un intervento finanziato con 42 milioni di euro, la cui gestione è affidata dalle ferrovie slovene (SŽ) al loro braccio specializzato in materia di costruzioni ferroviarie (SŽ-ŽGP). Il direttore di quest’ultima, Leon Kostiov, nel contesto delle operazioni legate all’opera, procede ad assegnare nel 2008 un subappalto alla società NB Inženiring. La somma impegnata per questo cespite è di 390mila euro, non particolarmente significativa rispetto alla portata complessiva dell’affare. Ma a suonare immediatamente strano è che NB inženiring è una società priva di dipendenti, che non ha mai pubblicato informazioni sulle sue attività e verrà cancellata dal registro delle imprese subito dopo avere ricevuto il subappalto e il denaro.
Si fa immediatamente largo il sospetto che si sia trattato di un’operazione fittizia. E a proiettare toni ulteriormente oscuri sulla transazione è il fatto che la “one business company” risulti controllata da un personaggio non proprio limpido. Si tratta di Nihad Bešić, soggetto che nel corso degli anni ha dovuto far fronte a diversi infortuni giudiziari.
La verità di Milović
E poi c’è un terzo personaggio, quello che più degli altri evita di fare inabissare la vicenda iniziata ormai quattordici anni fa. Il personaggio in questione si chiama Miloš Njegoslav Milović. E fra i tre è quello che presenta il profilo più complesso. Ex componente dei corpi speciali della polizia, Milović è stato capo della sicurezza personale di Janez Drnovšek, il secondo presidente della repubblica di Slovenia dopo la secessione dall’ex Jugoslavia.
Successivamente diventa l’uomo di fiducia di Zoran Janković, che formalmente sarebbe il sindaco di Lubiana ma di fatto ne è il monarca poiché la governa quasi ininterrottamente dal 2006 (un solo anno di interruzione, fra il 2011 e il 2012, quando prova senza successo a formare un governo nazionale dopo aver vinto le elezioni a capo della lista Slovenia Positiva).
In quegli anni Milović consolida un profilo da lobbista che lo vede muoversi costantemente sottotraccia per risolvere problemi di amici del mondo politico e imprenditoriale. E proprio grazie a questo profilo egli viene arruolato da uno dei più prestigiosi studi legali del paese: lo studio della famiglia Ćeferin, fondato dal patriarca Peter, cui è stata data continuità dai due figli. Uno è Rok, attualmente giudice della Corte costituzionale slovena da settembre 2019, l’altro è Aleksander, presidente dell’Uefa dal 2016.
Milović prende a prestare i propri servizi allo studio legale Čeferinnel 2008, cioè nel periodo in cui la compagnia ferroviaria slovena assegna il subappalto che attirerà i sospetti degli inquirenti. E lo è ancora nel 2016, quando il procedimento giudiziario prende il via. Per due dei tre soggetti coinvolti, Kostiov e Bešić, la vicenda processuale si conclude con un patteggiamento: i due se la cavano con 480 ore di servizio sociale. Invece Milović decide di andare avanti. Viene assolto nei primi due gradi di giudizio, ma il pubblico ministero insiste e trascina il procedimento fino alla Corte suprema slovena.
Per ottenere questo esito la pubblica accusa cambia ben quattro volte il capo d’imputazione nei confronti di Milović. Che però nel frattempo decide di raccontare la propria versione dei fatti. E tira in ballo lo studio Čeferincon particolare riferimento al presidente dell’Uefa. Raccontando la sua verità sui fatti.
Tutelare la presidenza dell’Uefa?
Per il momento Milović preferisce non parlare coi giornalisti. Rimane in attesa che la Corte suprema di Slovenia emetta il verdetto e per questo evita circostanze che possano influenzarlo negativamente. Ma un suo documento difensivo presentato ai magistrati circola già e ampi stralci ne sono stati pubblicati sul web.
Vi si racconta che quei 390mila euro sarebbero la parcella pagata allo studio Ćeferin per una consulenza prestata alla società ferroviaria statale. Ma secondo la versione tratteggiata nel documento di Milović, quei soldi dovevano rimanere non dichiarati. Per questo motivo sarebbe stato architettato un marchingegno pasticciato come quello di far transitare il denaro attraverso la società di Bešić. Ovviamente questa è la versione di un imputato che prova a difendersi e rispetto a questa rappresentazione dei fatti Ćeferin ha smentito. Ma al di là della singola questione relativa alla somma che la società ferroviaria slovena ha ufficialmente pagato per finanziare un subappalto, le carte prodotte da Milović contengono molte altre informazioni a proposito del presidente Uefa e dello studio legale di famiglia.
Anche queste informazioni sono tutte da verificare, ma se infine dovessero corrispondere a verità sarebbero parecchio imbarazzanti. Vi si trovano molti riferimenti al modo di lavorare all’interno dello studio Ćeferin. Ma soprattutto viene esposta la tesi secondo cui l’esplosione del caso giudiziario nei primi mesi del 2016 avrebbe provocato una mobilitazione per proteggere Aleksander Ćeferin, impegnato in quei mesi nella corsa alla presidenza dell’Uefa.
Accuse molto pesanti che coinvolgono anche il procuratore Boŝtian Jeglić, colui che ha cambiato quattro volte il capo d’imputazione nei confronti di Milović. Jeglić è anche uno dei giudici in forza alla giustizia sportiva della federcalcio slovena, organismo di cui Ćeferin è stato presidente dal 2011 al 2016 (cioè fino al momento in cui è stato eletto alla presidenza dell’Uefa) e che comunque rimane pienamente nella sua sfera d’influenza.
Per rispondere a quelle che considera illazioni sorte intorno a questo intreccio fra controllori e controllati, ma soprattutto all’ipotesi che Aleksander Ćeferin sia stato messo al riparo dall’inchiesta giudiziaria mentre si trovava nel pieno della corsa per la presidenza dell’Uefa, la procura di stato slovena è scesa in campo a difesa di Jeglić scrivendo una lunga replica a un articolo pubblicato nello scorso mese di aprile dalla testata slovena Demokracija. Nel testo della replica si eccepisce sul fatto che l’articolo abbia assunto, come unica versione dei fatti, quella della parte finita sotto processo, diffondendo così una rappresentazione unilaterale. E da lì in poi viene aggiunto che la ricostruzione dei fatti proposta nel documento difensivo di Milović sarebbe infarcita di menzogne o versioni parziali. Un intervento inusuale, che sposta sul terreno della rissa mediatica argomenti dell’accusa che avrebbero dovuto rimanere in ambito processuale.
Ma al di là di queste considerazioni non resta che attendere l’esito dell’ultimo grado di giudizio. Senza che ciò significhi cessare di analizzare meglio la figura di Ćeferin, uno fra i leader politici del calcio mondiale di cui però poco si conosce al di là della pubblica esibizione di virtù. E invece ce ne sarebbe da raccontare, e anche parecchio. Sia sul personaggio che sul modo con cui sta governando l’Uefa. Se ne riparlerà.
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