Donne e bambini stranieri, migranti con regolare permesso di soggiorno, molti italiani: chi resta escluso dal Sistema sanitario nazionale e dal diritto alla cura? Quest’anno gli ambulatori di Emergency hanno seguito più di 10.000 persone in tutta Italia, erogando 30.000 prestazioni, perlopiù necessarie per poter accedere al Servizio sanitario. I dati risalgono all’anno scorso, con l’ultimo rilevamento effettuato a dicembre 2024, e sono stati diffusi alcune settimane fa. Sono importanti perché offrono uno scorcio interessante su chi resta escluso dal sistema sanitario in un momento in cui la sanità sta subendo pesanti definanziamenti.

Il girone degli esclusi

Rimangono esclusi i figli di migranti irregolari, ad esempio, per cui l’iscrizione al sistema sanitario dovrebbe essere un diritto, ma in molti casi non lo è, obbligando i genitori ad andare da un dottore solo in caso di emergenza. Nonostante infatti in Italia l'articolo 35 del Testo unico sull’immigrazione stabilisca come obbligatoria la presa in carico del minore da parte del sistema sanitario, e quindi da un pediatra, indipendentemente dallo status giuridico dei genitori. Tra i più di mille casi trattati da Emergency è emerso come non riescano ad accedere alle cure se non attraverso il pronto soccorso. In Italia infatti l’iscrizione al sistema sanitario è assicurata ai minori solo in Campania e Veneto.

Nell’ambulatorio di Ponticelli a Napoli dove il progetto è attivo dal 2015, la coordinatrice Tatyana Shershneva, racconta che «qui facciamo ciò che dovrebbe garantire lo Stato attraverso un ambulatorio di prossimità» come: medicazione, somministrazione di terapie, supporto psicologico e educazione sanitaria, la rimozione dei punti, l’assistenza di un infermiere e di un Oss. «Ma non c’è la pretesa di sostituirci ad esso, anzi. L’obiettivo è quello di suscitare l’interesse delle Asl locali e costruire insieme alla sanità regionale percorsi di cura per chi resta fuori».

E questo succede agli italiani come agli stranieri. Tra gli italiani in molti casi parliamo di percorsi di abbandono iniziati da tempo, prima perdendo il lavoro poi la residenza e infine anche l’iscrizione al sistema sanitario. Parliamo di persone – spesso senza fissa dimora – che possono essere curate solo in emergenza, ma che pure in questi casi si ritrovano in situazioni di morosità a causa di un accesso alle cure considerato improprio. Ma non solo. In Sicilia, ma come in Campania e Lombardia, molti i disabili e gli anziani a cui non è garantito un mezzo di trasporto che li accompagni a fare le visite mediche e allora ci pensano gli operatori di Emergency. Stesso discorso per quelli italiani senza assicurazioni private che devono accedere a semplici esami e cure ambulatoriali di base che molto spesso non sono garantite dagli ospedali.

La maggior parte delle persone escluse dalle cure sono migranti con regolare permesso, bloccati dalle varie prassi burocratiche necessarie per ottenere la tessera sanitaria. Come racconta la coordinatrice del progetto di Brescia, Silvia Koch, «conseguire tutti i requisiti può non essere un percorso breve, anzi. Le risposte si fanno attendere anche per otto e dodici mesi e questo si traduce molto spesso in dinieghi».

Inoltre, nonostante la normativa preveda una semplice autodichiarazione di dimora per ottenere il codice fiscale e quindi l’iscrizione al Servizio sanitario nazionale, non si tratta di cosa facile da ottenere, e neppure garantita in alcune regioni, come Sicilia e Calabria. A Brescia oltre il 75% delle persone prese in carico avrebbe dovuto avere pieno accesso alle cure come qualsiasi cittadino italiano, ma spesso non riescono ad accedervi a causa di problemi burocratici o amministrativi. Molte situazioni si risolvono semplicemente informando le persone sui loro diritti, orientandole sulle procedure e sui luoghi dove recarsi per completare le pratiche, spiega Koch. «Molto spesso le persone devono solo essere indirizzate: rese consapevoli dei propri diritti per poterli esercitare».

Le storture dei decreti flussi

A Ragusa invece i migranti non vengono neppure messi nelle condizioni di poterli esercitare. Specialmente quelli che hanno deciso di entrare regolarmente grazie al decreto flussi – migranti che molto spesso rimangono intrappolati a causa di un rapporto di lavoro mai regolarizzato. «Una volta arrivati in Italia infatti e nel caso l’azienda agricola esista effettivamente, iniziano a lavorare – in nero – restano qui per il primo mese, il secondo, il terzo, il quarto, senza mai conoscere il datore di lavoro o lavorare con lui», racconta Ahmed Echi, coordinatore del progetto in Sicilia. Mentre invece la norma prevede che il datore di lavoro si presenti subito con il lavoratore all’ufficio immigrazione per sottoscrive il contratto di soggiorno.

Lo dicono anche i dati del Governo, nel 2024 solo il 7,8 per cento delle quote di ingressi stabilite si è trasformato in permessi di soggiorno e impieghi stabili. Nel 2023 era del 13 per cento.

Nel frattempo il visto concesso dal decreto flussi non dà accesso alle cure, e finché è valido non è possibile neppure ottenere l’iscrizione al registro per gli stranieri temporaneamente presenti, e quindi la possibilità di accedere al sistema sanitario. Perché finché il visto è valido vengono considerati migranti regolari. Finendo in molti casi per rimanere intrappolati in casolari nelle campagne isolate, dove anche i servizi di base, come andare in farmacia, sono messi a profitto dagli intermediari, veri e propri caporali.

«Questi migranti sono stati fatti entrare in Italia e poi lasciati a se stessi» spiega Ahmed Echi. «Ci si aspetta ancora oggi che un datore di lavoro in Italia assuma uno sconosciuto, che si trova in Tunisia, senza mai averlo visto di persona, non avendo idea di quello che sa fare. È una truffa, uno spreco di denaro pubblico, diventato terreno fertile per gli sfruttatori e per chi traffica esseri umani. È un sistema arcaico, superato. Siamo nel 2025 ed esistono molte altre modalità per garantire un accesso legale e sicuro alle persone nel nostro paese».


 

© Riproduzione riservata