- Cosa succede a chi si è vaccinato, ma con un tipo di vaccino che l’Ue in generale, e l’Italia in particolare, non riconoscono? È tagliato fuori dal pass.
- La questione riguarda persone di tutto il mondo, compresi gli europei – come gli ungheresi con vaccini russi e cinesi – e gli italiani residenti all’estero che hanno ricevuto vaccini non riconosciuti qui.
- L’Ue considera solo i vaccini approvati dall’Ema, anche se i singoli stati possono fare deroghe. Alcuni le hanno fatte per l’Ungheria, molti per Covishield. L’Italia ancora no. «Mi sembra che per il mio paese, l’Italia, siamo invisibili» dice M., che lavora per l’Onu in Senegal.
Cosa succede a chi si è vaccinato, ma con un tipo di vaccino che l’Unione europea in generale, e l’Italia in particolare, non riconoscono? È tagliato fuori dal green pass. La questione riguarda persone di tutto il mondo, compresi gli europei – come gli ungheresi che sono stati vaccinati con dosi russe e cinesi – e gli italiani residenti all’estero che hanno ricevuto dosi di vaccini non riconosciuti qui. «Mi sembra che per il mio paese, l’Italia, siamo invisibili» dice M., che lavora alle Nazioni unite in Senegal. Il pass è sempre più necessario per tutto, ma non è accessibile a tutti. È per tutto, ma non per tutti.
Regole e ostacoli
Il nostro paese è il primo in Europa a inseguire il modello Macron, cioè quello del “pass totale”: il pass non è inteso più solo come un certificato Covid per viaggiare tra gli stati membri dell’Ue, ma diventa un passepartout indispensabile e inevitabile per la vita quotidiana; pure per un caffè. Il tampone rapido fatto entro 48 ore prima, che è l’alternativa all’essere vaccinati o guariti per ottenere il pass, diventa una soluzione onerosa e poco sostenibile nel lungo periodo. Perciò il fatto che non tutti abbiano la possibilità di vaccinarsi, e che non tutti i tipi di vaccini siano riconosciuti per avere il pass, diventa un problema di portata sempre più ampia.
Il sito Schengen Visa Info una volta registrava le sospensioni di Schengen in una Unione europea che in teoria non dovrebbe conoscere frontiere interne né quindi controlli. Oggi il portale fa i conti con il pass, prende nota di quali vaccini vengono riconosciuti e quali no. Come mai? Perché l’Ue, che non ha dato obblighi sull’uso del green pass all’interno di ciascun paese, ha stabilito però i criteri di interoperabilità tra i vari pass nazionali, così che ci si possa spostare all’interno dell’Unione avendo un codice Qr che sia leggibile e riconoscibile nei vari paesi. Il certificato Covid concordato nell’Unione è in vigore dal primo luglio, e negli intenti del legislatore europeo non dovrebbe avere effetti discriminatori; ecco perché in alternativa alla vaccinazione è prevista la soluzione del tampone.
La regola di base che si è data l’Ue è che per vaccinati si intendano coloro ai quali è stato inoculato un vaccino riconosciuto dall’agenzia europea del farmaco. Il problema è che pure tra gli stati membri c’è chi ha usato vaccini non approvati dall’Ema; l’Ungheria di Viktor Orbán ha fatto da apripista, prima adottando quello russo, Sputnik, poi quello cinese, Sinopharm. Cosa succede ora agli ungheresi? Sono intrappolati dentro confine o costretti a pagare per i tamponi? In realtà l’Ue prevede che i singoli stati membri possano fare deroghe e accogliere anche chi è vaccinato con dosi non approvate da Ema. L’Italia per il momento non ha stabilito nessuna deroga. Invece Slovacchia e Romania, per esempio, accolgono senza problemi gli ungheresi; hanno fatto appositi accordi bilaterali. La questione diventa più geopolitica che sanitaria. Il giurista Alberto Alemanno la commenta così: «Dietro il funzionamento dei tanti certificati si cela una forma di nazionalismo vaccinale che rischia di introdurre nuove forme di discriminazione, che non trovano fondamento nella scienza ma nella geopolitica».
Roma e le deroghe
Il problema con Sputnik è che non è riconosciuto neppure dall’Oms, dice una fonte del ministero della Salute. A quanto pare, l’unico caso per il quale il nostro paese sta valutando una deroga è quello di Covishield. Si tratta di un vaccino che l’Ue non contempla tra quelli riconosciuti, ma che per paradosso è prodotto attraverso il meccanismo Covax di cui l’Ue stessa fa parte: è la cartina tornasole delle discriminazioni in atto. Covishield non è altro che un’AstraZeneca prodotta in India. Ema ha approvato AstraZeneca, ma solo la versione “Vaxzevria”, fabbricata nel Regno Unito o in Ue. Quella manufatta nel Serum Institute indiano per mandato di Covax rimane tagliata fuori; e però, come conferma l’Oms, «è identica, offre lo stesso livello di protezione». L’ambasciata indiana a Bruxelles spiega che l’India sta chiedendo ai vari paesi Ue di accettare anche quella, e per ora 15 lo hanno fatto. L’ultima arrivata è la Francia. Ci sono anche Germania, Spagna, Svezia e altri; ma l’Italia non è ancora nella lista. M., che ha finito il ciclo di vaccinazione a giugno in Senegal, dove lavora per l’Onu, si chiede se avrà problemi nel suo paese, cioè l’Italia; sul suo documento di vaccinazione c’è scritto AstraZeneca, la prima dose arrivava dall’India (dunque Covishield) e la seconda dalla Francia. Sua madre ha contattato i ministeri di Esteri e Salute per capire come far rilasciare il green pass a M. e le è stato risposto che il percorso non è ancora predisposto. Covishield in Africa è il vaccino più diffuso. India e Sudafrica, sostenuti da 118 paesi e con il placet di Joe Biden, lavorano a una deroga sui brevetti perché tutti possano produrre tutti i tipi di vaccini, e per ridurre la disuguaglianza globale di accesso alle dosi. Ma proprio l’Ue fa di tutto per insabbiare questa soluzione.
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