Nel 2010 Giuseppe Paolini viene eletto sindaco dell’Isola del Piano e la prima cosa che fa è telefonare all’Agenzia dei beni confiscati di Reggio Calabria per chiedere la riassegnazione di un terreno confiscato alla mafia. Quel bene diventerà la sede della “Fattoria della legalità”
Continua con la sua 20esima puntata la rubrica “Politica resiliente” curata da Avviso Pubblico, l’associazione nata nel 1996 per riunire gli amministratori pubblici che si impegnano a promuovere la cultura della legalità democratica.
«La volpe sta dove non pensi»: già dall’incipit della nostra chiacchierata Giuseppe Paolini, classe 1954, rivela le sue radici contadine che affondano nella scelta controcorrente che lo vide protagonista, negli anni ’70, di non emigrare, di non abbandonare Isola del Piano, Isla, come la chiamano i 548 compaesani. Una trentina di chilometri da Fano, provincia di Pesaro, riva destra del Metauro. «Fino alla fine degli anni ’90 «come tutti i marchigiani, pensavo che le nostre terre fossero un’isola felice dove non potevano esserci infiltrazioni mafiose», racconta il primo cittadino. Finché un ispettore della polizia di Lecco, Carlo Spitoni, scese a indicargli la “tana della volpe”.
Un casale in collina, un po’ fuori dal paese, in una tenuta di 30 ettari dove s’era stabilito negli anni ’80 un certo Cantoni. Secondo quella procura lombarda, l’uomo controllava un’organizzazione criminale, gestendo droga, estorsioni e prostituzione per conto delle ‘ndrine. S’era comprato anche un ristorante nel vicino comune di Montefelcino.
Si atteggiava a grande imprenditore, costruiva (abusivamente) rustici, muri di cinta e terrazze. Più avanti si scoprirà che la villetta era anche servita per sequestri a scopo intimidatorio oltre che ad ospitare la famiglia Cantoni lontano dal raggio d’azione dei suoi affari criminali.
In quel periodo Paolini è vicesindaco. Aveva raccolto il testimone di Gino Girolomoni, sindaco a Isla negli anni ’70 e “profeta del biologico”. «È con lui – racconta - che inizia il mio percorso di impegno nei confronti della società, del lavoro, dell'ambiente, in giovanissima età, quando insieme a degli amici, loro 14 anni e io leggermente più grande, cerchiamo di capire assieme a Gino quali erano le cause che avevano determinato l'esodo dalle campagne, cioè perché la gente andava via dalla campagna per andare ad abitare nelle periferie».
«Allora noi eravamo convinti che le ragioni fossero di ordine economico, ovvero che la gente andava via delle campagne perché non si guadagnava oppure si guadagnava più in fabbrica, invece scopriamo, con nostra grande sorpresa, che le motivazioni erano di ordine culturale. Il termine contadino era usato allora, e qualche volta anche oggi, come un termine dispregiativo e l'idea che questi potessero, con la fabbrica, salire di un gradino nella scala sociale per tutta una serie di ragioni faceva in modo che se ne andassero dalle campagne. La domanda che ci ponemmo fu: cosa facciamo noi, andiamo via come hanno fatto gli altri o facciamo qualcosa per restare qua? Quello che venne fuori è che la soluzione per restare nel nostro paese, nelle nostre colline era fare i contadini». Naturalmente il problema era dirlo ai genitori, erano gli anni che “anche l’operaio vuole il figlio dottore”. È in quel clima che Isola del Piano fu teatro dell’incontro tra intellettuali e realtà contadine a cui presero parte, tra gli altri, Paolo Volponi, Guido Ceronetti, Sergio Quinzio, Carlo Bo, Fausto Belfiore.
Mentre racconta Paolini osserva i poster nel suo studio, locandine di spettacoli teatrali messi in scena da contadini che, sui manifesti, figuravano col loro soprannome, «un marchio che ti porti per tutta la vita, indelebile». Nei dibattiti e sul palco si parlava dell'ingresso della meccanizzazione nei campi e delle pratiche tradizionali di coltivazione. «Poi cominciammo a fare delle produzioni e dopo una serie di ricerche iniziammo a fare coltura biologica. Nel ‘77 quando tutti quei ragazzi diventarono maggiorenni fondammo una cooperativa chiamata Alce Nero e iniziammo a fare delle produzioni prima di grano poi di farina e poi di pasta. Il nostro obiettivo era riportare lo stesso numero di persone in una zona che era stata completamente abbandonata, e oggi possiamo dire di esserci riusciti visto che la cooperativa - oggi chiamata Girolomoni - dà lavoro a 70 persone, gestisce un mulino, un pastificio, l'acqua di sorgente e la nostra pasta biologica viene venduta in tutto il mondo dagli Stati Uniti al Giappone». Un percorso tracciato da allora sul sociale, sull'ambiente e sul rispetto della legalità.
Ma torniamo alla volpe. Dopo lo choc iniziale, la pervasività della criminalità mafiosa non era ancora acquisita dal senso comune, così Paolini, da contadino e amministratore, si impegna nella questione. Nel 2005 si compiono gli atti che hanno portato alla confisca dei beni. La Giunta di allora non era favorevole a farsene carico, si rischiava una vendita all’asta, che allora era possibile e che sarebbe avvenuta, invece, per il bene confiscato nel vicino Montefelcino.
«Allora puntai i piedi minacciando una crisi di maggioranza: se un’amministrazione pubblica non ha il coraggio di fare certe scelte, mi chiedo perché si sono fatti ammazzare Falcone, Borsellino, Pio La Torre, Peppino Impastato. Saremmo dei vigliacchi se non trovassimo il coraggio di affrontare certe situazioni. L’idea venne accettata e il bene sequestrato ci venne assegnato, con confisca definitiva, nel 2006».
Nemmeno un anno dopo, Paolini passa all’opposizione e dopo un anno si dimette proprio in polemica per l’utilizzo non consono di quel bene. Ma nel 2010 Paolini viene eletto sindaco e la prima cosa che fa è telefonare all’Agenzia dei beni confiscati di Reggio Calabria per chiedere la riassegnazione di quel terreno. Nel 2011, finalmente, avviene l’assegnazione definitiva. Ed è così che dopo pochi mesi il primo cittadino di Isola del Piano decide di organizzare insieme all’associazione Libera contro le mafie il primo campo estivo.
«Uno dei campi più interessanti – ricorda Paolini - ha coinvolto i ragazzi di Isola del Piano con i detenuti del carcere di Pesaro venuti a piantare gli ulivi, a rimettere a posto la casa. Insieme a loro i magistrati che li avevano condannati. La linea che divide la legalità dall’illegalità è sottile: questo era il messaggio di quel campo, una esortazione a restare vigili. Quell’anno vennero anche le famiglie dei detenuti: la mattina si lavorava, il pomeriggio si facevano i dibattiti».
Pochi mesi dopo nasce l’idea di creare una Fattoria della legalità. Da allora ogni anno si piantano ulivi in memoria delle vittime innocenti di mafia, e uno anche in ricordo di quel valoroso poliziotto di Lecco, Carlo Spitoni. Lo Spi di Lecco s’è gemellato con la Fattoria della legalità e da quel ramo del lago lombardo scendono ogni anno nelle Marche a cucinare per i ragazzi del campo. Assieme a magistrati e alla videoteca Memo di Fano, la Fattoria ha chiesto e ottenuto dalle case editrici 101 volumi che spiegano la legalità ai ragazzi. È così che è nata anche la Biblioteca della Legalità. Da 101 sono diventati 202, 303 e questi libri girano per le scuole italiane che li rimandano a Isola del Piano che ora non è l’unica biblioteca del genere.
Nel 2015 il Comune mette a bando l’assegnazione del bene che fino a quel momento aveva gestito direttamente. Libera partecipa e vince con un progetto impostato sulla continuità con le iniziative precedenti. Il bene viene assegnato all’associazione “Fattoria della legalità”.
Per tutto questo e altro ancora, a Giuseppe Paolini, che nel 2018 è stato eletto anche presidente della Provincia di Pesaro-Urbino, è stata conferita una menzione speciale del Riconoscimento Pio La Torre, promosso annualmente, dal 2016, da Avviso Pubblico, dalla Cgil e dalla Federazione nazionale della stampa italiana, per la categoria amministratori pubblici “per l'impegno profuso nel promuovere e diffondere la cultura della legalità e della responsabilità civile”. Il suo comune oltre a essere socio di Avviso Pubblico, è Bandiera verde per l’agricoltura, membro dell’Associazione dei comuni virtuosi e delle Città del Bio.
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